L’editoriale

Osservatorio della cultura

Pubblicato il 10/07/2002 / di / ateatro n. 038

E’ un’esigenza comune, emersa da più parti, come risposta a una situazione che si sta facendo sempre più difficile. A Milano sta nascendo un “Osservatorio della cultura”. In giro per i festival d’Italia, negli incontri su “Nuovo teatro vecchie istituzioni” (e in particolare in quello di Rovigo), si è avvertita l’esigenza di stendere un Libro bianco. In questo sito è attivo il forum “Fare un teatro di guerra”.
Sono tre situazioni molto diverse, nate per soddisfare necessità diverse. L’“Osservatorio della cultura” ha l’obiettivo di “monitorare la vitalità e gli indirizzi di aziende e enti a partecipazione pubblica che producono cultura, spettacolo e comunicazione. Lo scopo è quello di vigilare affinché siano garantiti il pluralismo e la qualità che nei decenni passati hanno fatto del panorama culturale milanese uno dei più significativi in Italia e in Europa: in particolare saranno tenuti sotto osservazione Piccolo Teatro, Teatro alla Scala, Centro produzione Rai di Milano”. Il Libro bianco dovrà “denunciare alcune situazioni scandalose in cui versa il nostro teatro (con tanto di date e nomi)”. Il forum sul Fare un teatro di guerra?, nato sull’onda lunga del “caso Martone” e sul modello di alcuni interventi sul Patalogo (per tutti, Annozero, nel P17), raccoglie, pubblica e diffonde, con la collaborazione dei frequentatori del sito, notizie relative alla situazione attuale del teatro italiano.
Anche il testo di Carla Benedetti, pubblicato in “ateatro 37”, concentrandosi sullo stesso episodio chiave, nasce da motivazioni analoghe, e ha anch’esso un precedente sul Patalogo 9, l’esemplare saggio di Ferdinando Taviani Macello ovvero la mossa del cavallo, sulla storica affaire Magazzini a Santarcangelo.
Queste iniziative di “documentazione militante” condividono alcuni elementi. In primo luogo, la sensazione che il teatro italiano (e in generale la cultura) stiano attraversando una fase particolarmente delicata. In apparenza la causa è la mutata situazione politica. Certo, sono stati presi (e vengono presi, e verranno presi) provvedimenti che mettono a rischio molte esperienze interessanti e meritevoli, a cominciare dalle epurazioni e dalle occupazioni di diversi posti chiave (vedi in teatro la carica delle pantere grigie).
Tuttavia è inutile nascondersi che prima e dietro questa involuzione “politica” fosse da tempo in atto una profonda crisi (o, a essere ottimisti, una trasformazione). Che riflette mutazioni di carattere generale, e discusse fino a ridursi a banalità: il crollo degli schemi ideologici di interpretazione del mondo, l’impatto delle culture di massa e dell’industria culturale, l’invadente volgarizzazione televisiva, la mondializzazione culturale e il vicolo cieco della globalizzazione…
Ma il teatro italiano sta pagando anche l’impossibilità del sistema teatrale di evolversi, e la difficoltà a trovare forme organizzative nuove (dopo che gli stabili si sono ridotti da tempo a carrozzoni che difendono l’ esistente). E questo di fronte al moltiplicarsi di esperienze molto interessanti, sia dal punto di vista estetico, sia dal punto di vista del rapporto con il pubblico, sia a volte delle forme organizzative. Ovvero di fronte a quello che si definisce Nuovo teatro.
Da vent’anni a questa parte, la situazione è rimasta bloccata. La responsabilità è in primo luogo di una sinistra che non ha mai saputo affrontare il nodo del teatro con sufficiente lucidità, preoccupata soprattutto della gestione dell’esistente. Con il rischio, ora dolorosamente avvertito, di trovarsi a raccogliere i cocci di un sistema terremotato e a salvaguardare faticosamente le sue ultime cittadelle. Di questo possono provare a rendere conto Osservatori, Libri bianchi e Forum.
Ma a accomunare queste iniziative ci sono anche altre consapevolezze.
Come agiscono i meccanismi del potere? Rispondono a esigenze a volte espresse nei programmi politici, a volte impliciti, determinati dalla “forza delle cose”. A volte si tratta di scelte strategiche di ampio respiro, a volte di microdecisioni che hanno all’apparenza un impatto locale e dunque limitato. Per comprendere quello che sta accadendo, è necessario essere consapevoli degni uni e degli altri, ricondurli se possibile a un quadro unitario.
In secondo luogo, è condivisa la sensazione che i media non possano, in questa fase, soddisfare questa esigenza di informazione, e che dunque è necessario costruirsi degli strumenti “autogestiti”. Certo, i casi più eclatanti trovano spazio nei media nazionali, e le decisioni che interessano realtà minori rimbalzano sulla stampa e sui media locali. Quello che però manca è il raccordo tra i due livelli, e soprattutto la memoria storica del processo.
Un altro aspetto che i media non possono affrontare nella maniera adeguata sono le questioni più direttamente tecniche, al di là dei gridi di dolore sui soldi spesi per la cultura e inevitabilmente “sprecati” (mentre servono ospedali, scuole, ospizi…). Di questo è anche in parte responsabile un mondo del teatro che in questi anni ha goduto di una sorta di autogoverno corporativo, regolato da un costante patteggiamento con il potere politico, a livello locale e nazionale. Questo meccanismo, alla fine, ha portato alla creazione di mille centri di potere che rappresentano un ostacolo al cambiamento.
Se non affrontano questi nodi, un Osservatorio, un Libro bianco, un Forum sono pressoché inutili. Si riducono a un lungo elenco di torti subiti, a una lamentazione querula e alla lunga fastidiosa (by the way, è per questo che nel forum è bene che ci sia anche qualche pettegolezzo…

Redazione_ateatro




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