Storie mandaliche 2.0 di Andrea Balzola e Giacomo Verde a Castiglioncello

Verso una narrazione ipertestuale

Pubblicato il 10/08/2003 / di / ateatro n. 056

Mandala è un diagramma di forme geometriche e antropomorfiche che manifestano diverse sfaccettature di significato (…) Immagine del mondo e luogo della teofania, proiezione della psiche e percorso che conduce all’illuminazione, il mandala è costruzione sintetica e dinamica (…) poiché è integrazione dell’uomo nell’universo e dell’universo nell’uomo; il termine più calzante per definirlo resta ancora quello di “psicogramma” coniato da Tucci.
(M. Albanese-G. Cella, Mandala, il linguaggio del profondo)


Nella primavera del 1998 Giacomo Verde e il drammaturgo e critico Andrea Balzola pongono per la prima volta mano ad un progetto di narrazione teatrale con uso di tecnologia interattiva ispirandosi, per la stesura dei testi, alla forma e al significato del Mandala, guida della meditazione e simbolo della trasformazione spirituale dell’individuo, “cosmogramma” e “psicogramma” come ricordava Tucci. 1
Al Festival Scantafavole di Ripatransone (Ascoli Piceno, luglio 1998) inizia il primo laboratorio con conferenza dimostrativa pubblica in cui contestualmente alla scelta già predeterminata del sistema interattivo Mandala System, si pongono le premesse per la scelta dell’iconografia e il primo abbozzo di un testo che per adattarsi alle esigenze della macchina tecnologica fu concepito da Andrea Balzola con caratteristiche ipertestuali, ovvero connessioni, incastri, corrispondenze tra i personaggi e i luoghi. Balzola li definisce “iperracconti”. Sono sette storie di trasformazioni nei diversi regni: umano, minerale, vegetale, animale e divino, ovvero sette storie di personaggi “linkate” tra loro che hanno un andamento “concentrico”: il bambino-uomo, il mandorlo, la principessa nera, il corvo, il cane bianco, la pietra del parco, l’ermafrodita. Ogni storia e ogni personaggio è associato a un colore, ad un elemento e a un punto cardinale (nell’orientamento mandalico l’Est è rivolto in basso) più il Nord-Est che è nella simbologia mandalica il luogo del sole, il sud-ovest che è il luogo della luna, e il centro.
Il Mandala, il “cerchio magico” della tradizione tantrica, è un elemento fondamentale delle cerimonie rituali e delle pratiche di meditazione, secondo Jung “strumento per l’individuazione del sé” e “rappresentazione simbolica della psiche”. La struttura del mandala è concentrica: ha quattro porte che corrispondono ai punti cardinali ed un centro che è particolarmente importante perché il mandala è la determinazione di un percorso che conduce all’illuminazione attraverso un rito di orientamento. Il labirinto greco, i rosoni delle cattedrali medioevali, la figura del serpente uroboros si ricollegano allo stesso sostrato simbolico.2
La narrazione teatrale ha come unico elemento scenografico una piramide di legno a tronco rovesciato, come la montagna sacra della tradizione induista, intorno al quale il narratore agisce e racconta ripreso dalla telecamera posizionata a terra e con il pubblico seduto nel perimetro mandalico. In Storie mandaliche, che raccoglie l’eredità del tele-racconto, lo spettatore teatrale, collocato dentro il cerchio, entra dentro la narrazione, nel crocevia di tutte le storie con le immagini e i suoni in continua trasformazione grazie al programma informatico Mandala System. Nel Mandala System è possibile fondere insieme sfondi, ambienti bidimensionali con oggetti tridimensionali attraverso la videocamera: la videocamera riprende in diretta il corpo o la mano del narratore che viene digitalizzata in tempo reale e la sagoma della figura ripresa, appare sovrapposta alle immagini e agli oggetti generati, invece, dal computer. Se la mano o il corpo ripreso dalla telecamera “tocca” (virtualmente) qualcuno degli oggetti, crea eventi di tipo visivo e sonoro, generando in diretta situazioni in continua trasformazione trasmesse nello schermo o nei quattro monitor angolari. Lo spettacolo ha attraversato diverse fasi e ha acquistato nuovi sviluppi narrativi e “volubilità” di forma a seconda dei “contesti partecipati” in cui era collocato e delle ipotesi di lavoro e delle ricerche del gruppo; il Mandala System3 è stato sostituito dalle animazioni in formato Flash, create da Lucia Paolini; a ogni animazione è legata una musica, del compositore elettronico Mauro Lupone. 4 Nell’architettura labirintica e ramificata della narrazione non lineare e non sequenziale della scrittura ipertestuale creata per Storie mandaliche ognuna delle sette storie percorse conduce al centro – come ogni mandala.
Il centro, ovvero alla fine del tragitto, è la soluzione e il luogo fisico dove tutte le storie si intrecciano e si incontrano. La narrazione è quindi un percorso che conduce verso il centro, dentro l’intreccio dell’unica trama che lo spettacolo va a svelare: chi si trasforma non muore, chi non si trasforma muore, dietro cui si nasconde l’archetipico topos della mutazione-traformazione presente in tutti i miti e leggende della tradizione occidentale e orientale. La trasformazione è anche la caratteristica dell’ipertesto, ovvero “rete di segni interconnessi”, la sua continua modificabilità e transitorietà dal testo di partenza in cui la responsabilità del percorso narrativo si trasferisce dall’autore al lettore (o al digitatore). Modalità “itinerante” e “creativa” è stata definita la navigazione in uno spazio di scrittura ipertestuale da parte di un “lettore attivo e a volte anche un po’ invadente”. 5
Nella modalità del racconto orale inoltre, la storia viene ogni volta modificata, ricreata, si aggiungono particolari, se ne omettono altri a seconda dello “stato d’animo” del pubblico: il narratore diventa, secondo una bella definizione di Giacomo Verde “un termometro dell’emotività della platea”; l’attore-sibilla, attraversato dall’umore del pubblico, partorisce parole, suoni e immagini ed è in qualche modo anche lui “impasto di incessanti mutazioni”. 6 Longo ha riflettuto sulla recente riscoperta della narrazione, “attività non più unilaterale, rigorosa e sequenziale tipico della scienza bensì dalla dimensione immaginaria e dalla colorazione affettiva”. 7 A tale scopo il lavoro del tecnonarratore unisce alla memoria orale collettiva (quella che Pietro Barcellona definisce “il deposito della gruppalità, la cui elaborazione è fondamentale per la creazione dell’individualità” 8), l’abilità digitale (nel senso letterale e anche etimologico del termine): il cyber contastorie (la definizione è di Giacomo Verde, che ci tiene a definire il narratore sulla base dell’immagine del raccontastorie 9) anziché la tela disegnata, ha davanti a lui immagini in videoproiezione che lui stesso può trasformare seguendo il ritmo in tempo reale del suo racconto.
Storie mandaliche, luogo politonale di ricerca di un teatro della parola, è la possibilità di giocare una parola differente, che prende corpo, suono e immagine potendo sdoppiarsi, metamorfosarsi, concettualizzarsi e riconvertirsi in nuovo significato conferendo allo spettacolo mobilità di identità e di senso, come era nella originaria natura della maschera. In questo nuovo teatro, gioco di scambio di estetiche e di stati d’animo, il narratore tra computer e video in scena, conduce l’azione in un percorso labirintico prima della storia, prima di tutte le storie e lo spettatore dentro miti e archetipi invisibili. Lo spazio torna così ad assumere le connotazioni antropologiche e magico-rituali del “sacro recinto” arricchito di una sorprendente imagerie, frutto di un’elaborata scrittura scenica e di una raffinata partitura a più voci.

NOTE

1 G. Tucci, Teoria e pratica del Mandala, Milano, Ubaldini, 1969.
2 K. Kerény nel volume Dioniso riporta le iconografie greche antiche documentate a Mileto, nel Santuario dedicato ad Apollo, al Palazzo di Cnosso e su raffiguazioni provenienti da Atene relative all’immagine (come segno e non simbolo) del labirinto: il meandro e la spirale continua (linee curve o angoli retti), percorso iniziatico aperto che conduceva al centro e poi con una giravolta decisiva di nuovo all’ingresso se la conversione avveniva esattamente al centro oppure, se tracciato chiuso, prigione eterna senza via di uscita in cui si perde la vita. Labirinto come luogo di morte o di illuminazione. Raggiungere il centro del labirinto signicava, infatti, nel mondo greco antico, penetrare nei recessi sotterranei e protetti dei misteri divini, itinerario sapienzialie per raggiungere una rinnovata condizione di “liberazione conoscitiva”. K. Kereni, Dioniso, Milano, Adelphi, 1992; vedi anche K. Kerèny Nel labirinto, Torino, Bollati Boringhieri, 1983.
3 Sui software per la danza vedi E. Quinz, La scena digitale. Nuovi media per la danza, Venezia, Marsilio, 2001. Su Storie mandaliche esiste un originale studio di Laura Gemini confluito nella sua tesi di dottorato (L’incertezza creativa. La comunicazione teatrale, Università degli studi di Urbino, Facoltà di Sociologia, 1998-2000); la ricercatrice aveva seguito alcuni laboratori e spettacoli aperti al pubblico e intervistato da una parte Giacomo Verde sugli intenti dello spettacolo, dall’altro gli spettatori per verificare quale degli aspetti contenutistici e in generale comunicativi dello spettacolo era stato maggiormento assorbito e compreso.
4 Storie mandaliche ha avuto ad oggi varie dimostrazioni-spettacoli a La Spezia, al Piccolo Regio di Torino, al Festival di Radicondoli, a Livorno, a Pisa. Documentazione più dettagliata su www.verdegiac.org. In corso di stampa il libro Storie mandaliche a cura di A. M. Monteverdi e A. Balzola. La nuova versione di Storie mandaliche prevede la collaborazione per le animazione in flash di Lucia Paolini.
5 G. Landow, L’ipertesto.Tecnologie digitali e critica letteraria, a cura di P. Ferri, Milano, Mondadori, 1998 (1a ed. 1994). L’ipertesto secondo Landow è costituito da blocchi di testo e da collegamenti elettronici tra i blocchi che permettono di “interagire, dar forma a sequenze sempre diverse, di generare percorsi di senso sempre diversi”. Ivi, p. 6.
6 La frase è di Fernando Mastropasqua in Attore e Sibilla, in Metamorfosi del teatro, Napoli, Esi, 1998.
7 G. Longo, Homo technologicus, Roma, Meltemi, 2001, p. 34.
8 P. Barcellona, L’individuo sociale, Genova, Costa & Nolan, 1996, p. 6.
9 G. Verde nello spettacolo delle Albe Lunga vita all’albero (1990) interpretava la parte del maggiante toscano che nella finzione teatrale era smemorato e chiedeva aiuto, per terminare la sua storia, al griot africano.

Anna_Maria_Monteverdi

2003-08-10T00:00:00




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