Magnifico cabaret

Il debutto (con successo) de I Cavalieri di Mario Perrotta e del Teatro dell’Argine

Pubblicato il 21/12/2010 / di / ateatro n. 127

I Cavalieri, liberamente ispirato ad Aristofane, allestito dal Teatro dell’’Argine di Mario Perrotta per due settimane in prima nazionale a Bologna, è uno spettacolo davvero esilarante, ricco, generoso, folle, sfrontato; una fotografia mostruosa e ahimè, fin troppo realistica delle facce inalterabili degli uomini illustri (o dei sopravissuti come avrebbe detto Canetti) che la politica italiana ci serve quotidianamente su tutti i format possibili e in tutte le salse. Certamente lo spettacolo visto a pochi giorni dal voto parlamentare sulla fiducia al governo, assume altri connotati: sarà possibile oggi, dopo il 14 dicembre (che suona un po’’ come l’’ecatombe dell’’11 settembre), precipitare in un precipizio ancora più profondo? E una volta toccato il fondo di questa economia malata e militarizzata, che succederà alla classe lavoratrice, allo studente, alla famiglia monoreddito, all’’artista, al teatrante? Gli rimane la TV.

Un cabaret alla Brecht questi Cavalieri, un cabaret nero, assai incattivito (anche per noi..) contro la politica-spettacolo, contro questo governo, qua messo alla berlina con le sue maschere grottesche e i suoi clown di regime (la Carfagna, Vespa), contro l’’Innominabile, ovvero il Signor Dappertutto, insomma, Lui (non quel LUI di appesa memoria, ma il cavaliere, l’’Uomo-Stato), con i suoi vizi che sono un problema per il Paese; ma per par condicio, ce n’è anche per l’opposizione che oppone all’Uomo vecchio l’Uomo nuovo: Bersani; ed ecco in scena un becero salsicciaio che viene sconfitto al primo duello televisivo da chi meglio di lui sa rovistare le interiora altrui. Tra calembour, avanspettacolo e richiami a Nino Taranto e a Gabriella Ferri sapientemente resi in canto e in musica dagli attori tutti, ecco in mostra il teatrino della politica: su palchetti incorniciati da ferro tubi da edilizia, questi esseri spregevoli, feroci e arroganti si mostrano nella loro maschera sordida che neppure la morte, che continua a fare il suo mestiere, riuscirà a scalfire. L’’onestà è da tempo estinta dentro il Parlamento e parole come giusto, equo, legittimo sono state sostituite con compravendita illecita, prezzo, ricatto.

Ma l’’attacco in scena viene poi generalizzato a tutte le illegalità possibili nel nostro Belpaese, a chi rubacchia, a chi non paga le tasse a chi prende i soldi in nero, a chi si lamenta del vicino, dell’extracomunitario, delle leggi ad personam, delle mafie ma alla fine, in fondo in fondo, è lui stesso un truffatore, un meschino, un guerrafondaio. Lo scontento è più che altro un mugugno senza argomenti e non si manifesta in azioni di protesta da parte di protagonisti o comparse di questa misera commedia umana. Il rumore di fondo infatti, non è quello della rivolta sociale o dei manifestanti in piazza per una ridistribuzione delle ricchezze, non ci sono barricate e nessun assalto è previsto (almeno per ora..) al Palazzo d’’inverno. Gli inni corali, i canti, le musiche ritmate non sono segnale di ribellismo: sono solo i jingle della Tv.
Ed è su questa linea del riso tragico (e del riso farmaco) che lo spettacolo si articola sapientemente per raccontare qualche dura verità che va a colpire nel segno: del resto, come nota giustamente Bachtin, “il riso ha un profondo significato di visione del mondo, è una delle forme più importanti con cui si esprime la verità del mondo nel suo insieme, sulla storia, sull’uomo; è un punto di vista particolare e universale sul mondo che percepisce la realtà in modo diverso, ma non per questo meno importante (anzi forse più importante), di quello serio”.
Complice un Aristofane rovistato e scorretto, I Cavalieri imbastisce rutilante musica in diretta, gag continue, canti e un collage di testi demenziali ispirati a eventi che sembrano provenire da Marte ma che sono rubati “dalla vita in diretta” del Parlamento italiano o da una puntata di “Porca a porca” (la versione surreale del talk show vespiano). L’’assuefazione a queste maschere terrifiche non ci permette più di vederle nella loro spregevolezza e arroganza: potere dei media. Ci rimane il teatro che appunto, come nell’ottimo spettacolo di Mario Perrotta, ci fa piantare gli occhi in faccia alla vita.
Di fronte al disastro qualcuno si indigna, e sciopera: le donne, ecco le Lisistrate di oggi a dimostrare in piazza e a voler obbligare gli uomini a fare leggi giuste ed eque, pena l’astinenza sessuale per i mariti. Ma persino le guerrigliere cadono di fronte alla lusinga della carne. Così l’inno di riscossa si risolve in una capitolazione sotto le lenzuola. Ogni speranza è vana: siamo tutti schiavi senza possibilità di riscatto: “Chi è Stato è stato e chi è Stato non è, chi c’’è c’’è, e chi non c’’è non c’’è” (CCCP).

Foto di Luigi Burroni.

Anna_Maria_Monteverdi

2010-12-21T00:00:00




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