Il Volto del Figlio di Dio e la faida interna alla Chiesa

In margine allo spettacolo della Socìetas Raffaello Sanzio e alla santità della critica teatrale

Pubblicato il 16/02/2012 / di / ateatro n. 138

Non è bastata la figuraccia della Curia e del Cardinale di Milano arcivescovo Scola. Le gerarchie cattoliche (o meglio, una parte di esse) ripartono all’attacco contro lo spettacolo della Socìetas Raffaello Sanzio. Per i suoi chiassosi e rissosi detrattori – un mix di fondamentalisti cristiani, negazionisti, estremisti di destra, antisemiti – lo spettacolo sarebbe “gnostico e satanista”, o addirittura blasfemo.
Basterebbe, a squalificare la campagna contro lo spettacolo, questa imbarazzante compagnia, che invece viene legittimata dagli attacchi delle gerachie cattoliche. Basterebbero le presdi posizione a favore della libertà d’espressione e/o dello spettacolo di alcuni intellettuali che certo non sono radical chic, da Vittorio Sgarbi a Antonio Socci, passando per Riccardo Bonacina e i cronisti di “Avvenire”.
In realtà molto probabilmente il lavoro di Romeo Castellucci è finito nel tritacarne mediatico per ragioni che hanno molto poco a che vedere con lo spettacolo in sé, o con il teatro. Sul concetto del Volto del Figlio di Dio è semplicemente stato strumentalizzato dalle lotte di potere interne alla Chiesa cattolica, che sono state rese ancora più evidenti dalle recenti polemiche sui “papaleaks”, ovvero i documenti interni al Vaticano resi pubblici dal “Fatto Quotidiano” e ripresi dai media di tutto il mondo.
Non a caso, al centro dell’intrigo c’è il cardinale Scola, considerato il candidato del “partito italiano” al Conclave che eleggerà il successore di Benedetto XIV (che morirà entro l’anno, secondo la velina mostrata allo stesso interessato…)L’estrema destra cattolica sta cercando di spostare gli equilibri a proprio favore: arruolare nella campagna anti-Raffaello una parte della Curia e il futuro papa dev’essere sembrato un buon affare.
Il cardinale Scola è cascato nella trappola, attaccando lo spettacolo e il Teatro Franco Parenti che lo ha ospitato. Che non fosse così difficile attirarlo in un tranello – magari potendo contare su qualche “amico” nell’arcivescovado – lo dimostra un’altra gaffe “spettacolare” di Scola: quando ancora era arcivescovo di Venezia, attaccò uno spettacolo di danza della Biennale, senza alcun esito se non quello di rimediare una figuraccia…. Insomma, come critico di spettacolo, vien da dire, Scola non ci azzecca mai.
Adesso lo spettacolo della Socìetas approda a Casalecchio. Un altro cardinale, l’arcivescovo di Bologna Carlo Caffara, si getta nella mischia, senza evidentemente aver capito nulla di quello che è accaduto, senza aver nemmeno letto i giornali cattolici e fidandosi dei consiglieri sbagliati. Certo, nella prima fase l’affaire era stato gonfiato da una stampa che, non sapendo gran che di teatro, di arti figurative o di teologia, ha soffiato sul fuoco, prendendo alcuni gruppi estremisti per autentici portavoce dei cattolici. Ma poi era subentratoil byuon senso, e tutto era rientrato nella norma.
Così, dopo tutto quello che è successo a Milano, rilanciare una campagna indecorosa e riaccendere gli animi non pare certo una scelta saggia. D’altro canto, per chi pratica la critica teatrale è certamente piacevole seguire il dibattito che vede per protagonisti diversi alti prelati. Qui di seguito, gli interventi dell’arcivescovo di Bologna e del vescovo di Anversa (dove lo spettacolo è passato dopo Milano, suscitando qualche protesta.

COMUNICATO STAMPA

In relazione allo spettacolo “Sul concetto di volto nel figlio di Dio” offensivo della Persona del Cristo e del sentimento religioso dei fedeli cattolici, di prossima programmazione a Casalecchio di Reno, il Cardinale Arcivescovo comunica:

Dall’insulto alla sua Madre, rivoltole nella nostra città alcuni anni or sono, si passerà ora ad una rappresentazione teatrale obiettivamente blasfema nei confronti di Gesù e del suo Volto Santo.
Siamo sdegnati e addolorati, come cittadini e come credenti. Come cittadini nel vedere che l’esercizio della libertà espressiva non conosce più neppure i limiti del rispetto dell’altro. Come credenti nel vedere inserito il Volto Santo – il quale gli angeli desiderano guardare – in uno spettacolo indegno, offensivo, e obiettivamente blasfemo e sacrilego. Sacrilegio è anche trattare indegnamente i simboli sacri, così come la bestemmia si estende anche alle sante immagini.
Vengono a mente le parole della Scrittura: «poiché hanno odiato la sapienza e non hanno amato il timore del Signore […] mangeranno il frutto della loro condotta e si sazieranno dei risultati delle loro decisioni» [Pr 1,29.31].
Dio continui ad usarci misericordia, anche quando giungiamo perfino al disprezzo del dono più grande che ci ha fatto: il suo Figlio unigenito.
«Uomo dei dolori, davanti a cui ci si copre la faccia» [Is 53,3]. Cristo è sceso nelle più amare pieghe dell’umana angoscia; Dio ha voluto sperimentare il nostro duro mestiere di vivere. Ma per donarci speranza, per riportarci alla nostra primigenia verità e splendore. Vederlo disprezzato in questa sua sofferta bellezza, è spegnere ogni speranza.
“Volto santo di Cristo, luce che rischiara le tenebre del dubbio e della tristezza, vita che ha sconfitto per sempre il potere del male e della morte … rendici pellegrini di Dio in questo mondo, assetati di infinito” [Benedetto XVI].
Sono sicuro che i buoni fedeli di Casalecchio in unione coi loro pastori sapranno reagire in modo fermo e composto.
Chiedo ai parroci di Casalecchio di fare, dopo la celebrazione delle sante Messe feriali di venerdì e sabato, una preghiera di riparazione, nella forma e modo che riterranno più opportuno. Non escludano eventualmente la celebrazione della S. Messa «per la remissione dei peccati». E che Dio abbia pietà di noi!
Bologna, 16 febbraio 2012
+ Carlo Card. Caffarra
Arcivescovo

Vescovo benedice controverso regista teatrale.
“Mi sono sentito chiamato in causa.”

Da Johan Bonny, vescovo di Anversa

Non sono un critico d’arte, né tantomeno un esperto di teatro moderno. Non azzarderò pertanto un giudizio artistico sullo spettacolo di Romeo Castellucci “Sul concetto di Volto nel figlio di Dio” . Posso però dire che la pièce, a cui ho assistito domenica sera a deSingel, mi ha impressionato.
Il titolo stesso spiega di cosa si tratta: del volto di Gesù Cristo. Per tutta la durata dello spettacolo lo sfondo della scena è dominato da un enorme ritratto di Gesù Salvator Mundi, come dipinto da Antonello da Messina (intorno al 1465-1475). L’azione si svolge sotto lo sguardo di Gesù che fissa lo spettatore dritto negli occhi. La prima cosa a colpirmi è stata la verosimiglianza della storia: un figlio che si prende cura, con infinita pazienza, del padre colpito da decadenza fisica e psicologica, e da incontinenza. Anche se la messa in scena può risultare forzata, o scioccante, la sua sostanza è reale. È la realtà quotidiana di tante famiglie dove si vive la dolorosa realtà della vecchiaia, e dove con pazienza si aiutano gli anziani a sopportarla. È questa per me la prima immagine di Cristo. Il figlio che s’inginocchia per lavare la schiena e le gambe del padre fa quello che fece anche Cristo quando in ginocchio lavò i piedi degli apostoli, poche ore prima di venir tradito da uno di loro e abbandonato da tutti gli altri. Il padre, psicologicamente e fisicamente indifeso, richiama le parole del Cristo: “Ero malato e mi avete visitato.” (Matt. 25, 35-36). Nella sua sofferenza anche questo padre è un’immagine di Cristo. La situazione senza speranza in cui sia padre che figlio si trovano fa sorgere spontanea la domanda divina. Dov’è Dio nella sofferenza? È la domanda che ogni epoca si è posta, prima ancora del cristianesimo. Se Gesù è il Salvator Mundi come il dipinto suggerisce, dov’è allora? È la domanda che tutti i presenti, credenti e non, si pongono. Non c’è da meravigliarsi che il figlio dubiti e diventi ostile nei confronti del bel ritratto di Gesù. Nemmeno i credenti devono stupirsi. L’ostilità e il dubbio nei confronti di un Dio che non interviene è presente anche nella Bibbia. È il grido dello stesso Cristo: “Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato (Mar 15,34). La dolorosa decadenza del padre e l’impotenza del figlio non possono che scontrarsi frontalmente con l’immagine di Gesù di Antonello da Messina. Un Gesù che con calma e tranquillità guarda davanti a sé, con occhi chiari e un sorriso accennato sulle labbra. Non è in un tale Gesù che un uomo spezzato può riconoscersi, almeno non in un momento di sofferenza.
Per me, come cristiano, il nodo della questione è questo. Il dubbio di padre e figlio non può riconoscersi nel volto sereno del Salvator Mundi. Per tale riconoscimento hanno bisogno di ritrovare il volto sofferente del Cristo crocifisso. Volto che verrà anche mostrato loro durante lo spettacolo. Le granate lanciate dai bambini contro l’immagine del Salvator Mundi sono la versione attuale del grido della folla del Venerdì Santo: “Crocifiggilo!” (Mar 15,13). Per alcuni tempestosi minuti bombardati da rumori violenti, la sala scompare nel buio. L’immagine del Salvator Mundi è scomparsa. Per un certo tempo non si vede più nulla. È l’assurdità e il vuoto del Venerdì Santo. Scomparsi la tempesta e il rumore, ricompare lentamente l’immagine del Salvator Mundi. Non più chiara come prima, ma in filigrana, a metà tra il visibile e l’invisibile. Scomparsi tutti gli altri volti solo uno resta visibile: quello di Gesù, in filigrana. Lo considero un messaggio figurativo forte. L’artista ci conduce qui al bivio della fede. Un giorno potrebbero scomparire da questo mondo tutti i volti per lasciar posto solo a una tenebra senza volto. Oppure in questo mondo resterà un solo volto in cui ci riconosceremo e ritroveremo a vicenda: il volto del Cristo risorto. Quest’ultima possibilità guida quell’aspirazione che io chiamo fede.
Alla fine dello spettacolo sul volto di Cristo appaiono le parole Tu (non) sei il mio pastore. La parola «non» non è dominante: se ne sta in disparte, vaga e variabile. È nella posizione del dubbio. Questo Gesù è il «mio pastore» oppure no? Non è l’artista che deve rispondermi. Non è questo il suo ruolo. Sta a me trovare la risposta. Lui può però pormi di fronte alla domanda. Posso io dire che Gesù è il mio pastore? Mi sono venute in mente le parole che avevo scelto per la mia elezione a vescovo: “L’agnello sarà il loro pastore”. L’agnello che è nostro pastore non è un animaletto tenero in un pascolo primaverile. È l’agnello di cui la Bibbia dice “Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì bocca; era come agnello condotto al macello” (Isaia 53,7). Con un pastore che non fosse questo Agnello non mi rassegnerei alla sofferenza.
Queste sono le considerazioni di uno spettatore credente. Così io ho interpretato il linguaggio figurativo di Castellucci e così mi sono sentito chiamato in causa. Altri – credenti o meno – Assisteranno allo spettacolo da un’altra angolazione e lo vivranno in modo diverso. Porre una domanda lasciando allo stesso tempo la risposta aperta: questa è la forza di un artista. Al termine dello spettacolo mi sono trattenuto a parlare con Romeo Castellucci e con i due attori. È stata una conversazione estremamente interessante. Mi hanno raccontato quali erano state le loro intenzioni nel creare questo allestimento. Io ho detto come lo avevo vissuto e compreso io, e cosa ne avrei scritto: ciò che fin qui ho fatto. Hanno confermato ogni mia considerazione.
Non devo scegliere da che parte stare, ma alla discussione sul linguaggio figurativo di Castellucci, vorrei portare un contributo costruttivo, in particolare da parte della Chiesa.
« De Morgen » e « De Standaard », 7/02/2012

Redazione_ateatro_in_collaborazione_con_il_vescovo_di_Anversa_e_l’arcivescovo_di_Bologna

2012-02-16T00:00:00




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