Un delicato manuale di distruzione davanti all’infinito

Come tremano le cose riflesse nell'acqua (čajka) di Liv Ferracchiati al Piccolo Teatro Studio

Pubblicato il 22/02/2024 / di / ateatro n. 195

Una casa di campagna che sembra appartenere a un tempo indefinito – forse perduto – in un luogo isolato, a tratti impenetrabile. Una cucina, con il suo tavolo per riunirsi in pranzi e cene. Un salotto, in cui fanno da protagonisti una grande libreria per acculturarsi e un televisore maxi schermo per evadere dalla realtà. Sullo sfondo un’immensa vetrata da cui si può ammirare una distesa infinita di lago. In sottofondo un gabbiano. O meglio, Il gabbiano. Più precisamente Čajka, il gabbiano di Čechov.

Come tremano le cose riflesse nell’acqua (čajka) di Liv Ferracchiati (© Masiar Pasquali)

Per quanto tempo un gabbiano può volare sopra il suo lago? Una quantità indefinita di minuti, ore, giorni. Infinitamente, forse. E poi la battuta d’arresto. La stanchezza estrema, che gli fa tremare le zampe, il corpo, le ali. E allora cerca pace, silenzio, riposo. Abbandona il suo volo.

Tutto sembrava tremare un po’, come tremano le cose riflesse nell’acqua.

Ce lo dice David Foster Wallace, ce lo ricorda il Gabbiano e ce lo mostra Lui – il Figlio – e tutti i personaggi che abitano quella casa di campagna ospiti di un pranzo che pare speciale, rendendola a tratti viva, a tratti decadente. Lui è un giovane scrittore impegnato nella stesura di un nuovo testo, che mira alla totale negazione della perfezione stilistica e dell’eccellenza sintattica, nella spasmodica ricerca di una forma inaspettata, capace di dargli un posto nel mondo, per riuscire, finalmente, a vivere. A costo di trascorrere notti insonni in compagnia di tanto buio che spaventa e troppa valeriana che dà tremolio alle gambe. A costo di imbattersi e battersi con Lei, la Madre. Un’attrice saccente, presuntuosa, arrogante. Una donna di teatro in continua lotta contro il tempo che passa, contro la fama che svanisce, contro il sipario che è pronto a calare. Una Madre ossessionata dalla perfezione e perennemente giudicante nei confronti di suo Figlio, attualmente innamorata di un famoso – e realizzato – Romanziere, non solo ospite d’onore di quel pranzo tanto atteso, ma anche suo nuovo compagno. Uno sconosciuto, un intruso pronto a minare il già fragile rapporto madre-figlio.
E poi c’è Nina, una giovane donna che sogna di fare l’attrice, che con il Figlio ha instaurato una relazione sentimentale e artistica. Ma se il rapporto tra Figlio e Madre è ora distante, ora morboso, quello con Nina è pacato, equilibrato, contenuto. Forse un modo delicato per intendere debole, precario, tiepido. E poi ci sono loro: lo zio, il dottore, la vicina, il maestro. Personaggi privi di nome proprio, ma dalle personalità ben definite. Uno zio che supporta il nipote nella scelta di essere uno scrittore. Un dottore che sembra essere l’unico in grado a guarire i malesseri dell’anima di quella vicina che proprio non vuole saperne di amare quel maestro, che ha occhi e cuore solo per lei.

E piano piano, in punta di piedi, scopriamo la sfaccettature più cupe, intime, nascoste di quegli otto personaggi interpretati da Giovanni Cannata, Laura Marinoni, Roberto Latini, Petra Valentini, Nicola Pannelli, Marco Quaglia, Camilla Semino Favro, Cristian Zandonella e delineati da Liv Ferracchiati, che dello spettacolo Come tremano le cose riflesse nell’acqua (čajka), nuova produzione del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, ne firma la regia e drammaturgia (consulenza letteraria Fausto Malcovati).
Otto anime deboli, rotte, tremolanti, proprio come le cose riflesse nell’acqua, proprio come quel gabbiano – forse čajka, o forse anche lui senza nome – che stanco di volare, sceglie di planare – o meglio – precipitare. A terra, a causa di un colpo di pistola sparato da Figlio. Perché la resa dei conti, il punto di rottura – prima o poi – arriva nella vita di tutti gli esseri umani. E allora nemmeno quegli oggetti apparentemente casuali, ma che nello spettacolo giocano un ruolo fondamentale, sono più sufficienti a tenerli uniti. Le prugne, il vino rosso, il prosecco, la tombola, i libri e la musica assumono le sembianze di una filastrocca macabra, di un ritornello stonato, di una cantilena che pare un presagio di devastazione. Le prugne sono buone, ma sono troppe. Il vino rosso e il prosecco sono necessari per sostenere il peso della vita, ma inebriano eccessivamente. La tombola è motivo di evasione e divertimento, ma è sempre uguale a se stessa. Le parole di Maupassant e le note di Mi sono innamorato di Luigi Tenco riuniscono tutti gli invitati attorno al tavolo di quella casa di campagna, ma sono anche tristi e strazianti. Come le urla del Figlio contro la Madre quando dice “Attrice senza scopo”, o quelle della donna che lo definisce una “Nullità”. E ancora quelle della vicina – che ora è infelicemente sposata con il maestro con il quale ha un figlio – che grida “Io non ti sopporto più”, mentre lui, con la voce rotta dal pianto, ammette – non solo a lei, ma anche a se stesso – “Mi guardi come se fossi uno sconosciuto”.

Il lago è secco. Il gabbiano è morto. I personaggi anche, nell’anima. Sono vestiti tutti di nero, vittime delle loro stesse decisioni. Quella di non agire, di non imporsi, di non scegliere. Qualcuno ci ha provato. Figlio è ora uno scrittore, Nina è finalmente un’attrice. Ma sono infelici, distanti, quasi estranei. “Io non posso smettere di amarti. Odio tutto quello che scrivo”. Quello che servirebbe – forse – è semplicemente una guida, un vademecum per imparare a vivere, o anche solo sopravvivere. Per smettere di vivere in apnea e iniziare a ricordare che possiamo respirare. Lo dice Nina e lo scrive Liv Ferracchiati in uno spettacolo che porta alla luce la spaventosa fragilità che accomuna tutti gli esseri umani. Noi che avremmo bisogno di un manuale di istruzioni alla vita, ma che – alla fine – seguiamo solo manuali di distruzioni.

Come tremano le cose riflesse nell’acqua (čajka) di Liv Ferracchiati (© Masiar Pasquali)

COME TREMANO LE COSE RIFLESSE NELL’ACQUA
(čajka)

drammaturgia e regia di Liv Ferracchiati
liberamente ispirato a Il gabbiano di Anton Čechov
scene Giuseppe Stellato
costumi Gianluca Sbicca
luci Emiliano Austeri
suoni spallarossa
video Alessandro Papa
consulenza letteraria Fausto Malcovati
con (in ordine alfabetico) Giovanni Cannata, Roberto Latini, Laura Marinoni, Nicola Pannelli, Marco Quaglia, Camilla Semino Favro, Petra Valentini, Cristian Zandonella
dramaturg di scena Piera Mungiguerra
aiuto regia Anna Zanetti
assistente volontaria alla regia Eliana Rotella
assistente ai costumi Rossana Gea Cavallo
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa




Tag: CechovAnton (8), FerracchiatiLiv (6)