Il teatro è cambiamento

Voci dalla Biennale Teatro&: Enrico Sortino

Pubblicato il 13/08/2012 / di / ateatro n. 140

Enrico Sortino, 34 anni, attore, cantante, presentatore. Diplomato alla Scuola dello Stabile di Catania e all’’Accademia “Corrado Pani”

Qual è lo spettacolo che ti ha cambiato la vita?

Angels in America di Tony Kushner, con la regia di Ferdinando Bruni e Elio De Capitani. Penso anche che tutti gli spettacoli ti regalino qualcosa, nel bene e nel male: il teatro può veramente cambiare il modo di pensare di chi lo fa e di chi lo vede e a volte può cambiarti anche la vita. Per me il teatro è verità, ed è per questo che ho scelto il laboratorio di Declan Donnellann, perché è fondato proprio su questo tema, sulla verità. Lavoriamo sulla possibilità della negazione: solo partendo da una negazione di noi stessi, anche come attori, possiamo cambiare. Donnellan ci aiuta a dimenticare l’’io e a trasferire la nostra energia verso gli altri attori e verso lo spazio che ci circonda. C’è dietro un discorso – filosofico e psicologico – molto complesso, ma lui riesce a renderlo semplice.

Costi e ricavi: un bilancio del laboratorio veneziano. I

l bilancio è assolutamente positivo, l’’esperienza si sta rivelando stupenda. Mi sembra interessante l’idea di collettività che è venuta fuori, in un tempo di individualismo sfrenato come quello attuale. Qui ci identifichiamo tutti – attori, registi, critici – come comunità teatrale. È possibile imparare, mettersi in discussione come attori e come persone, ma anche allargare la rete di contatti, confrontarsi con altre individualità. Direi che è stato tutto un guadagno.

Che senso ha fare teatro in questi tempi di crisi?

Il teatro è una necessità, è bisogno di esprimersi. Oggi il mondo è depresso, tutti tuteliamo la nostra intimità dietro un social network, ma poi spesso la svendiamo. Il teatro ci spiazza perché è un evento dal vivo, un momento privilegiato in cui la gente cerca qualcosa che nella realtà non trova. A teatro bisogna denunciare i fatti della vita, le persone vanno a teatro perché non riescono più a sconvolgersi di nulla, ma sentono il bisogno di identificarsi negli attori, nei personaggi, nelle storie. Faccio teatro per comunicare qualcosa a chi mi guarda, e, egoisticamente, per prendere qualcosa dagli altri: cerco di cambiare lo spettatore e mi aspetto che lo spettatore cambi me. Il teatro per me è cambiamento: se non si cambia, si muore. Da un punto di vista economico, posso dire che riesco a vivere del mio mestiere, e anche dignitosamente: sono attore, cantante di musical e presentatore. Mi sono diplomato alla scuola dello Stabile di Catania e alla Corrado Pani di Roma, poi ho seguito una serie di seminari. A Catania ho fondato l’’Accademia internazionale del musical, una vera e propria fucina d’’arte, che raccoglie artisti da Napoli in giù. È fondamentale prolungare il periodo di formazione in questo mestiere, perché c’è sempre qualcosa da imparare. Un attore, un artista in genere, in un tempo di crisi come questo, non può stare ad aspettare: deve muoversi, progettare, essere creativo e darsi da fare. Ma soprattutto bisogna avere il coraggio di rialzarsi, perché si cade sempre. Ho capito, alla luce della mia esperienza, che la cosa più importante è imparare a essere umili. Umiltà è una parola troppo sottovalutata, ma è la chiave di tutto. Mi capita spesso di conoscere giovani artisti che si abbattono alla prima difficoltà, perché magari non si sentono abbastanza gratificati. Ma ormai sappiamo bene che l’’Italia non è un paese dove vige la meritocrazia, però vince chi riesce a sollevarsi dopo un fallimento: sono caduto milioni di volte e milioni di volte mi sono rialzato. La verità, forse, è che noi giovani non siamo abituati a cadere.

Giada_Russo

2012-08-13T00:00:00




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