Teresa Mannino rimescola le carte tra teatro e cabaret
L'attrice e il suo Sono nata il ventitrè tra scena e tv
Il Teatro Michelangelo di Modena, 490 posti, è pienissimo. Pubblico popolare, fa pensare al clima festoso che doveva accompagnare gli spettacoli di Totò e il varietà. Il sipario si apre e si presenta una scena di città. E’ Palermo: in fondo e al centro Porta Felice, quella che dà verso il mare; a destra e sinistra palazzi, e alle estremità luminarie come nelle feste per santa Rosalia. Sembra un teatrino infantile, allegro nella sua sobrietà e ben disegnato, oppure una scena dipinta da Pina Patti Cuticchio per far da sfondo all’Opera dei pupi. Teresa Mannino si colloca alla ribalta ma un paio di volte sale dentro uno dei palazzi, come fosse una tribuna, per commentare delle fotografie. Da moderno cantastorie.
Inizia intavolando dialoghi con il pubblico, che a Modena è molto reattivo, le dà soddisfazione. Si scalda per lo spettacolo vero e proprio relazionandosi con le persone e improvvisando. Da subito una cosa colpisce, pur essendo nota: l’artista di cabaret, chi pratica la comicità, non può prescindere dall’amore per il pubblico, anche se lo provoca non può mai perdere il contatto, se gli succede deve subito riacciuffarlo, pena il flop. Non ci possono essere tempi morti o sbagliati ma solo tempi esatti, calcolati sentendo il respiro della sala.
Teresa Mannino cambia nel corso dello spettacolo i suoi ritmi. La sua abilità di attrice abituata alla tv, che domina nella prima parte dello spettacolo, nella seconda diventa propriamente teatrale. Sicché la sua stessa immagine muta: più aggressiva all’inizio poi si addolcisce, sembra farsi più minuta, senza mollare il registro comico. Come quando si presenta quale inedita, brillante intervistatrice di Andrea Camilleri nel docufilm Il maestro senza regole: senza rinunciare alle battute resta garbata e, assumendo piacevolmente la sua sicilianità, ne mostra le diversità.
La prima parte si ispira al suo intervento spettacolare nel ciclo Odissea un racconto mediterraneo per Rai 5. Lì leggeva il canto delle sirene, con incursioni comiche s’intende, ma soprattutto si misurava con la recitazione. Le incursioni facevano lievitare l’attenzione: il cabaret, del resto, somiglia all’epica perché “gioca sugli stereotipi, generalizza ed enfatizza”. Ma era poi l’amore per il pubblico ad animare la voce e il corpo: che il testo giungesse tutto, al meglio, assunto con scrupolo e vissuto emotivamente, puntando alla comunicazione senza paura di colori ed enfasi. In Sono nata il ventitrè parla di Odisseo e delle sue donne: Calipso, Circe, Nausicaa, Penelope… un viaggio “di 509 km” che sarebbe dovuto durare dieci giorni (lo attesta la cartina geografica!) e dura dieci anni. Parte così per approdare al tema del rapporto fra uomini e donne, al tema del tradimento. Come reagisce un uomo e come una donna, come una svedese e come una siciliana?
Senza fare pause, entra poi nella seconda parte, il cuore dello spettacolo: essere bambina nella Palermo degli anni Settanta. Il tema è autobiografico ma il linguaggio comico lo allontana dall’autoreferenzialità: l’ombelico non si vede! Terza di tre figli con tutto ciò che questo comporta (lo sanno bene i figli minori!), Teresa Mannino racconta i ricordi indelebili: la mancanza cronica dell’acqua a Palermo, le lunghe giornate fra giochi (spesso pericolosi) e momenti di noia, i bagni al mare e la prima comunione, il rapporto madre figli e le famiglie numerose del sud, la bellezza e la bruttezza, quanto erano diversi allora i calciatori… Va al presente, i bambini di oggi, a partire dalla sua esperienza di madre di una figlia unica. Ma non c’è nostalgia come non c’è moralismo. Lo sguardo amoroso non esclude lo sguardo critico, lo sguardo critico non comporta il giudizio. Il rapporto con la realtà viene prima di tutto, la comicità chiama pensiero. Si ride tanto. Avessi una registrazione potrei citare le battute folgoranti, e sono tante.
Palermitana, laureata in filosofia, Teresa Mannino, ha frequentato la Scuola europea di recitazione del Teatro Carcano a Milano e stage con vari maestri (dal dotto Luigi Lunari al clown Jango Edwards). Ha lavorato in teatro, cinema, radio, televisione, pubblicità. E’ legata a Zelig, “il cabaret più famoso d’Italia”. Ha fatto spettacoli da sola come Terrybilmente divagante, scrivendo il testo insieme a Giovanna Donini. Lo stesso in questo Sono nata il ventitrè, dove è pure regista. Le sembrava presuntuoso, è stato Camilleri a dirle: “La regia del tuo spettacolo te la devi fare tu. Chi meglio di te può farlo? […] Già quando scrivi sei presuntuoso, portalo all’eccesso.”
Non esistono “i comici” tout court. “Ogni comédien è un caso particolare” secondo Louis Jouvet. Un essere umano con “un gusto per la metamorfosi”, “una vocazione all’avventura;avventure o disavventure, gloriose o miserabili che siano”. Allo stesso tempo il lavoro teatrale è diverso da tutte le altre professioni e la comicità ha le sue leggi. In una situazione come quella italiana che continua a erigere barriere tra alto e basso, tra Teatro e teatro, tra teatro cinema televisione… ci sono alcuni che rimescolano le carte, alla ricerca di un contatto fresco, forte, immediato con il pubblico. Come Teresa Mannino. L’arte di piacere che faceva grandi in Europa i nostri comici dell’arte al tempo della Locandiera di Goldoni, il “je ne sais quoi” di cui ha scritto Claudio Meldolesi, si manifesta anche così. E qui Mirandolina è di casa.
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