Fausto Russo Alesi celebra il Natale in casa Cupiello
Attori & attrici ateatro
Un gran viaggio di due ore e più dentro casa Cupiello: da solo Fausto Russo Alesi si fa carico di tutti i membri della famiglia nonché di qualche personaggio di contorno. L’attore palermitano si misura con il napoletano di Eduardo, con la sua drammaticità asciutta, avendo alle spalle interpretazioni di Dostoevskij e Fernando de Rojas e, davanti agli occhi, famiglie sempre più disgregate. Il testo, subendo pochi adattamenti, compie una torsione. La famiglia Cupiello è una somma di solitudini che non comunicano. Nessuna bonomia, nessuna innocenza. Persino le frasi proverbiali e le canzoni più concilianti diventano tragicamente beffarde, i comportamenti risultano ossessivi, l’attore non “cavalca le gag”. La mancanza di dialogo, di quello spazio anche minimo che può esserci fra una battuta e l’altra, fa da detonatore. I tre atti si contraggono in uno.
Il presepe natalizio non c’è e, alla fine, non nasce nessun redentore. Muore invece il protagonista, una morte senza aura, la bocca storta, una confusione in testa che produce azioni grottesche, nel profumo del caffè che viene abbondantemente consumato attorno al suo letto. Fausto Russo Alesi dice di aver cercato il livello metaforico sotteso al testo per materializzarlo: sostituendo alle statuine gli abitanti di casa Cupiello, il piccolo presepe che ognuno si è costruito attorno. Sulla superficie in pendenza, rialzata sul palcoscenico a formare una sorta di isola, ci sono oggetti di tutti i giorni, in un disordine che non si comporrà mai in presepe. Alla fine, un lampadario ondeggia fino ad esplodere. Unica nota di luce in un mondo dove l’unico colore, a mia memoria, è un casco rosso da operaio.
Tutto è nelle mani nude dell’attore. Russo Alesi gira la faccia da un lato ed è Luca Cupiello, la gira dall’altra ed è suo fratello Pasqualino. Allarga le gambe ed è Concetta, le stringe in una posa obliqua, le mani al petto in un gesto di finta pudicizia, ed è Ninuccia che seduce. Ancheggia mollemente ed è il figlio. Si erge col ventre un po’ in avanti e le mani in tasca ed è il genero. Il viso è sempre intensamente drammatico, spesso sofferente. La musica di Giovanni Vitaletti non asseconda e non enfatizza, quando interviene dialoga con le voci, che cambiano senza strappi violenti ma in modo ben percettibile.
Lo spettatore è irretito nella sfida lanciata dall’attore, in quel fitto monologare fintamente dialogico. È talmente bravo Russo Alesi che a un certo punto mi sono detta, è troppo, c’è virtuosismo. E invece no, non c’è mai perdita di umanità. Credo che la sua sfida abbia assunto anche un aspetto filologico, come quando uno storico non riesce a rinunciare a lunghe citazioni dalle fonti documentarie per il magnetismo del loro linguaggio. Qui si tratta di un impegno imprescindibile nei confronti di ognuno dei personaggi, stretto all’atto di assumerli tutti su di sé. Una cosa fondamentale a teatro: passa di qui la sincerità di un attore, la sua possibilità di raccontare storie che il pubblico possa accogliere e portare con sé.
Russo Alesi dice di aver fatto questa operazione ardita su Natale in casa Cupiello perché tutti lo conoscono. Vedo lo spettacolo con un gruppo di studenti a Teatro Pubblico di Casalecchio di Reno. Uno di loro conosce il testo quasi a memoria, a casa sua la visione natalizia del video era un rito.
Ma gli studenti Erasmus che conoscono poco l’italiano e per nulla il napoletano? Mi dicono che hanno un po’ faticato ma poi hanno rinunciato a capire le parole e, avendo letto il testo, hanno seguito il gioco dell’attore, sono stati presi dalla espressività e dalla precisione dei passaggi da un personaggio all’altro. Russo Alesi l’aveva messo in conto. “Lo spettacolo senza la coralità dei personaggi è monco”, ma viene fuori qualcos’altro. Non avrebbe voluto essere Luca Cupiello in una messinscena “normale”: gli interessava tradurre scenicamente il suo solitario attraversamento delle solitudini dei personaggi. Un faticoso corpo a corpo con il testo durato cinque anni, dopo esserci entrato in punta di piedi, per amore del grande Eduardo.
Fausto Russo Alesi ha lasciato Palermo per frequentare a Milano la Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi”. Nel 1996, a ventitre anni, si diploma, fonda con sette compagni di corso l’Associazione Teatrale Indipendente per la Ricerca (ATIR), interpreta Mercuzio nel fortunato Romeo e Giulietta con la regia di una giovanissima Serena Sinigaglia, vince il suo primo premio come protagonista (comico) del cortometraggio Merde di Claudio Saponara. Frequenta laboratori di Commedia dell’arte e Clown (con Kuniaki Ida), con Carlo Cecchi e Mamadou Dioume, fino dell’Ecole des Maîtres di Franco Quadri, nel 2000, dove ha per maestro Nekrosius, che eccezionalmente traduce il saggio finale in spettacolo: Russo Alesi è Kostja nel suo “Gabbiano dei giovani”. Lavora con Gabriele Vacis e Armando Punzo, con Gigi Dall’Aglio e Ferdinando Bruni, ma soprattutto con Serena Sinigaglia, direttrice artistica dell’ATIR. Che, come è scritto nel documento fondativo, persegue “un teatro semplice, diretto, chiaro, energico, privo di ermetismi o retorica; un teatro che sia dentro la realtà, dentro al tempo, spunto di riflessione dell’oggi: un teatro popolare di qualità”.
Cominciano gli assolo: dopo La febbre di Matteo Curtoni (nel 2000), Natura morta in un fosso: scritto da Fausto Paravidino per Serena Sinigaglia, che ne cura la regia, e Russo Alesi, che dà voce ai sei personaggi di quella nera vicenda di provincia con una intensità mozzafiato. E il pluripremiato Il grigio di Giorgio Gaber (2004). Nel 2006 il primo spettacolo con Luca Ronconi, Il silenzio dei comunisti, e nel 2014 l’ottavo, La Celestina. Nel 2009 Peter Stein lo vuole nei Demoni. Al lavoro con grandi registi continua ad alternare gli assolo: 20 Novembre di Lars Norén (2010), Fiore di cactus di Antonio Calabrò (2011), Natale in casa Cupiello (2012). Degli ultimi tre cura anche la regia.
Un’alternanza importante: essere uno strumento fine nelle mani di registi carismatici (“per fare e dire cose in scena ci vuole un dialogo con il regista”) e continuare a cercare il proprio linguaggio, ad “allenarsi” e “fare il punto”. Essere interprete originale di ruoli anche secondari – vedi la sua intensa carriera cinematografica – e praticare il ruolo di protagonista che permette una maggiore sperimentazione. I ruoli, questa struttura antica del teatro: Russo Alesi ha la bravura e l’umiltà del grande caratterista insieme alla capacità di occupare tutta la scena del primattore. O meglio, ha una duttilità tutta moderna, ma non molto frequente: dal teatro di gruppo all’esperienza di monologante polifonico, interprete nel teatro di regia e attore autore, senza soluzione di continuità, cerca e costruisce la qualità attraverso esperienze diverse.
(24 maggio 2014)
Tag: attori & attrici ateatro (11), Eduardo De Filippo (9)
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