Il critico non dev’essere un arbitro ma un antropologo

L'intervista di Graziano Graziani per Dioniso e la nuvola

Pubblicato il 28/06/2017 / di / ateatro n. 162

Questa intervista è parte integrante del progetto Dioniso e la nuvola. L’informazione e la critica teatrale in rete: nuovi sguardi, nuove forme, nuovi pubblici. Alla base del volume edito da FrancoAngeli c’è una serie di interviste a giovani critici teatrali, realizzate da Giulia Alonzo, disponibili su ateatro.it alla pagina https://www.ateatro.it/webzine/dioniso-e-la-nuvola/.

Graziano Graziani è giornalista e poeta. Studioso di teatro e conduttore radiofonico. Graziano Graziani in questa intervista si rivela soprattutto romano. Più di altri (dal punto di vista della conoscenza e della frequentazione). E meno di altri (dal punto di vista dell’oleografia e del bozzetto). Grazie (e nonostante) alla scelta di scrivere in dialetto. I suoi Sonetti der Corvaccio (La Camera Verde, 2011) affrontano con coraggio e vincono sul canone rappresentando un poema che ha la forza di una Spoon River insieme universale e stracittadina.

Chi è Graziano e come arriva al teatro?

Graziano Graziani-Ph. Ilaria Scarpa

Chi sono mi sembra una domanda filosofica a cui è difficile rispondere. Diciamo che faccio il giornalista, prima sulla carta stampata, mentre ora collaboro con radio e tv su temi culturali.
Al teatro ci sono arrivato per gradi. In casa mia non si andava a teatro, ma la scuola ci portava a vedere spettacoli e anche allestirne alcuni. Alle medie una professoressa illuminata ci ha fatto studiare Beckett. Ma non ho mai approfondito molto. C’è voluta l’università e un laboratorio teatrale nel quale ho provato a fare il drammaturgo. La scrittura era la cosa che mi coinvolgeva di più. Così, finita quell’esperienza che aveva anche tenuto a battesimo una piccola compagnia, ho approfondito gli studi in antropologia teatrale. Poi ho cominciato a lavorare come giornalista, e siccome nel settimanale dove lavoravo era libero il posto di critico teatrale, ho cominciato a occuparmi di critica.

Che rapporto c’è tra la tua attività di critico teatrale e le tue altre attività (radio libri eccetera)?

È un unicum, per quello che mi riguarda. La critica come attività di recensione mi interessa sempre meno. Quello che mi stimola è la critica culturale intesa in senso ampio: indagare l’immaginario e le opere artistiche per indagare il presente. Con i miei occhi o – più spesso – attraverso gli occhi degli autori. Quindi preferisco una critica che non conosca steccati, che utilizzi il cinema e la letteratura per commentare il teatro e viceversa.
In radio mi occupo soprattutto di letteratura. In televisione ho fatto tre stagioni occupandomi di teatro, ora invece anche lì sono sulla letteratura. Cerco sempre dei ponti, soprattutto tra letteratura e teatro, perché sono mondi che tendono ad avere spinte centripete e invece, quando si riescono a connettere i mondi, ne escono fuori cose interessanti. Non parlo dell’idea basica di far scrivere teatro agli scrittori o di usare questi ultimi come performer. Parlo dell’idea di mettere assieme gli sguardi, le intelligenze, indagandosi a vicenda per capire come un medesimo tema o un medesimo interrogativo viene affrontato.
Rispetto ai libri, poi, va da sé che sono uno strumento in più in questa idea allargata di giornalismo culturale, anche quando non parlano di teatro.

Chi è il critico oggi? Che ruolo ha?

Un po’ l’ho già detto nella risposta precedente. Deve gettare dei ponti. Tra i pubblici e tra le arti. Viviamo un contesto di nicchie specialistiche che potrebbero essere in più stretto contatto. Il pubblico della musica o della letteratura hanno la sensibilità giusta per capire il teatro, molto più del pubblico generalista per cui – in certi casi – occorrono percorsi di formazione del pubblico.
Ecco, poi c’è la formazione del pubblico. Che vuol dire che il critico è anche un po’ un attivista. Questa è un’attività importante perché non viene svolta dalla scuola pubblica, come nel caso della lettura.
Ad ogni modo, in senso più ampio, il critico è un critico della società e della cultura. Quindi, un ulteriore ruolo è quello di cogliere i nessi delle opere col proprio tempo. Ragionare in senso più ampio, anche quando questi nessi non sono espliciti e/o diretti.

Fenomeni wikipedia e tripadvisor. Tutti possono essere critici e scrivere e giudicare sul web. Che autorità ha oggi il critico? Da chi viene letto? E per chi scrive?

Il web è un fenomeno importante. L’ultima generazione si è formata lì. In più risolve il problema dello spazio, che sui giornali si stava comprimendo fino all’eccesso, e quello della reperibilità degli articoli. Non serve andare in emeroteca, è tutto lì! Ovviamente, tutto questo si situa in un mare magnum non sempre decifrabile. Tuttavia io credo nel tempo come elemento ordinatore. Dei tanti critici improvvisati resistono solo quelli che durano, e quelli che durano lo fanno perché strutturano la propria lingua e il proprio sguardo. Cioè, maturano. E maturando acquisiscono autorevolezza. È un principio di autoselezione piuttosto funzionale. Noi tutti sappiamo che certe testate e certe firme contano più di altre, e il motivo è nella loro autorevolezza (che oramai viene conquistata direttamente sul web).
Forse, in futuro, la sfida sarà nell’archiviazione. Non possiamo pensare che questa percezione, che ha che vedere con il sentire di una comunità di lettori, critici e artisti, resista intatta al lavoro del tempo. Occorrerà salvare e ordinare, lasciare un criterio per i posteri. Un criterio collettivo, ovviamente, ma fatto da persone con autorevolezza. Insomma, in termini diacronici, la figura del mediatore è ancora strategica e importantissima, secondo me.

Se li ha persi, cosa deve fare la critica per riacquistare valore e autorità?

Lavorare secondo un criterio. La cronaca del presente non è un valore in sé, a meno che non venga svolta come un servizio quotidiano come fanno alcune testate on line. Il valore e l’autorità si conquista con il lavoro, che nel tempo sancisce l’autorevolezza.

Che differenza c’è nella critica tra web e carta stampata?

Al momento, dal punto di vista della percezione di una fetta di operatori e artisti, la carta stampata sembra rappresentare ancora un maggior prestigio. Un prestigio che però è scollegato da un giudizio sulla critica in sé, che anzi sul cartaceo è spesso sbrigativa perché deve rispettare un limite di battute che sul web non c’è. È una differenza che va sfumandosi, ma che ancora resiste. Credo sia connessa più che altro alle firme che lavorano sul cartaceo, che alle volte rappresentano anche le ultime leve di una generazione critica molto più visibile. Questo peraltro è vero solo per i quotidiani nazionali, perché già ora il prestigio dei giornali locali è inferiore rispetto al web riconosciuto.
Da un punto di vista sostanziale la differenza è invece nulla: anzi, il cartaceo ha più limiti e dopo la pubblicazione si disperde (a meno che non venga riportato sul web). Quindi penso che la differenza tra web cartaceo svanirà a breve. Già oggi, nel campo della letteratura, molte testate culturali sono considerate più autorevoli di omologhe cartacee.

Che rapporto deve avere con i teatranti?

La critica? Beh, deve avere un rapporto di curiosità. Non parlo di vicinanza o distanza, quello è un falso problema. L’idea che un critico debba essere equidistante come se fosse un arbitro (di che cosa, poi?) è fuori dalla realtà. I critici militanti, invece, sono da sempre al fianco degli artisti che seguono. Esistono persino percorsi elettivi, e non c’è nulla di male se la cosa è esplicita. Anche perché omnia munda mundis. Il critico oggi lavora più come l’antropologo, che fa emergere culture nascoste e vi si immerge per renderle decifrabili, piuttosto che come arbitro di una presunta competizione artistica.
Quindi, rispetto ai teatranti, deve avere soprattutto curiosità. Verso le nuove formazioni, verso l’evolvere dei percorsi.

Cosa vuol dire per un critico sporcarsi le mani?

Ho già risposto. Significa stare dentro i processi. E quindi capire, supportarli, renderli intellegibili. Siano essi processi artistici o organizzativi. Se mi chiedete quand’è che un sano “sporcarsi le mani” rischia di scivolare in una “compromissione”, la risposta è quella data di sopra: omnia munda mundi.

La figura di un critico militante alla Quadri oggi è possibile? Ha senso parlarne?

Certo, proprio perché evolve lo spazio e il linguaggio della critica. Oggi il critico è millitante rispetto a un contesto dell’arte e della cultura che sceglie di raccontare. Ma anche, in senso più tradizionale, rispetto a un nucleo di artisti a cui è affine e che sceglie di seguire nel loro percorso. Certo, rispetto ai tempi di Franco Quadri sono cambiate le condizioni (sia di fare critica sia di fare teatro). Ma il senso profondo dell’accompagnamento di un percorso, sia dal punto di vista dell’artista che del pubblico, resta una formula valida e feconda.

Che prospettive future ha la critica teatrale?

Quelle che ha tutta la critica: cercare di leggere il presente, essere trasversale, lavorare per un’ibridazione dei pubblici dei vari campi del sapere. Ovvero, creare ponti.

Come si finanzia oggi la critica?

Non si finanza, come molto altro lavoro culturale. Occorre fare un lavoro altro, meglio se contiguo (come nel mio caso). Anche questa modalità di sopravvivenza, che vede il critico come un freelance che trova più strade per poter sostenere il proprio percorso di curiosità e militanza, è comune a tutto il giornalismo culturale.
Tradotto in termini pratici bisogna spaziare dalla scrittura ai laboratori, collaborare con i teatri e festival per il progetti di formazione del pubblico, intercettare progetti editoriali finanziati, eccetera. Ovvero, come recita un mantra dell’economia: diversificare.

L’Associazione Nazionale dei Critici di teatro, che ruolo ha?

Devo ammettere che mi rapporto poco all’ANCT. Forse per spirito d’indipendenza, o perché non ho avuto mai proposte concrete. Collaboro spesso con i colleghi, ma sempre a partire da progetti specifici, senza mediazioni di categoria.
Per cui mi è difficile risponderti alla domanda su che ruolo ha. Posso però dirti qualcosa sul ruolo che vorrei che avesse. Sarebbe utile un’associazione in grado di coordinare il lavoro dei critici italiani con quanto avviene all’estero. L’Italia, in termini di critica (e non solo), è ancora molto scollegata rispetto al resto d’Europa, dove i paesi tra di loro sono molto più in connessione di quando non riusciamo a scorgere noi da qui. Si parlava di gettare ponti: questo sarebbe un ponte urgente.

(novembre 2016)




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