I colli di bottiglia della distribuzione

Dalla discussione del gruppo di lavoro di Ateatro verso gli incontri su audience development e sui meccanismi di selezione, innovazione e rischio culturale

Pubblicato il 04/09/2017 / di / ateatro n. 162 , Passioni e saperi

Lo scorso 12 maggio 2017 si è riunito il gruppo di lavoro dell’Associazione Culturale Ateatro che si occupa della funzione distributiva nel teatro italiano. Lo stesso gruppo aveva discusso nel 2016 il tema “Teatri e circuiti: la funzione pubblica e la qualità nella programmazione di spettacolo” (resoconto e interventi pubblicati in Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino, Oltre il decreto. Buone pratiche fra teatro e politica, Franco Angeli, Milano, 2016). Quest’anno, un po’ allargato e composto da Paolo Cantù, Roberto Canziani, Patrizia Coletta, Davide D’Antonio, Mario Ferrari, Mimma Gallina, Anna Guri, Luca Mazzone, Michele Mele, Maria Grazia Panigada, Oliviero Ponte di Pino, Luca Ricci, Stefano Salerno, Rosa Scapin, ha avviato la discussione a partire da un elenco di temi:

1. multidisciplinarietà: è possibile, e come, allargare l’area e uscire almeno in parte dagli schemi percentuali di genere? e dai limiti non solo ministeriali;
2. selezione e presentazione dei gruppi giovani: modalità a confronto, efficacia, pregi e limiti;
3. la funzione e le prospettive delle residenze fra supporto ai processi creativi (e alla produzione) e rete di distribuzione;
4. riequilibri territoriali (nord/sud e non solo): possibili progetti e interventi concreti;
5. modalità di confronto fra i direttori di teatri/circuiti, fra loro e con le compagnie su temi come l’informazione, la promozione e anche su aspetti molto concreti, come il “giusto” cachet (non sopravvalutare, non sottopagare);
6. indirizzi di programmazione, formazione del pubblico e rapporto quantità/qualità.

Finalità del gruppo di lavoro: confrontarsi, raccogliere dati e informazioni su pratiche antiche e recenti, l’eventuale elaborazione di indicazioni rivolte ai “decisori” pubblici (nazionali e locali) e individuare priorità per successivi eventuali approfondimenti (incontri pubblici o altre possibili iniziative) da promuovere come Associazione Culturale Ateatro nel 2017/2018. Si dà conto dei lavori di maggio proprio in vista delle iniziative in cantiere in ottobre e novembre.
Il 12 maggio gli interventi hanno toccato i diversi temi sulla base delle esperienze, della sensibilità e delle percezioni rispetto alla funzione distributiva, considerata non solo come un servizio, ma come un nodo culturale e strutturale del sistema italiano.
Paolo Cantù (direttore di Piemonte dal Vivo) ha sottolineato come il Decreto 1° luglio 2014 abbia spinto i circuiti verso la multidisciplinarietà, che tutti hanno considerato un’opportunità. L’assenza di sostegno alla “terza disciplina” (la musica è stata scelta quasi da tutti) ha però determinato una contrazione generalizzata dei contributi in rapporto all’incremento di attività svolta; questa contrazione ha finito per penalizzare soprattutto la danza. C’è un problema di risorse e di squilibrio fra le discipline, ed è necessaria una minore rigidità (a maggior ragione con l’inserimento della possibile quarta disciplina, il circo). Per il sostegno alla musica emergente è stato avviato da alcuni Circuiti (PDV, AMAT, FTS) un progetto sperimentale di vetrina con funzioni analoghe a quella di “anticorpi” per la danza.
Roberto Canziani (critico teatrale) parte dalla constatazione che l’offerta supera la domanda e occorrono nuovi assetti culturali e nuovi strumenti, concettuali e tecnologici, per potenziare la partecipazione del pubblico. Un’indagine effettuata in Friuli-Venezia Giulia sulla cosiddetta “generazione Facebook” mostra che l’82,8% dei giovani fra i 14 e i 25 anni non è mai andata a teatro. E’ necessario concentrarsi proprio su questo non-pubblico, qualificando anche l’offerta nella sua direzione. I teatri, per la maggior parte, non sanno misurare l’efficacia della propria attività di promozione e si affidano a questionari impressionistici, mentre una conoscenza degli strumenti di misura offerti dalle tecnologie 2.0, applicati alle piattaforme social (presenti e future), potrebbe rappresentare un passo in avanti nell’audience development (quasi sconosciuta in ambito italiano, e praticata tutt’al più in modo empirico) tentando così un’azione sul non-pubblico e la trasformazione del pubblico potenziale in effettivo.
Patrizia Coletta (direttrice della Fondazione Toscana Spettacolo onlus) si pone il problema di conciliare innovazione nelle scelte e obiettivi quantitativi (non solo ministeriali). I circuiti sono sempre più sostenuti per i “numeri” che producono. Sul piano ministeriale, gli indicatori per valutare la formazione del pubblico (comprensiva di rapporti con università e scuole), la valorizzazione della creatività emergente e il sostegno al rischio culturale comportano 11 punti sui 30 previsti per la valutazione qualitativa (quindi 11 su 100!). Ora anche le Regioni paiono privilegiare la valutazione quantitativa. Nessun sostegno (o pochissimo) è destinato alla promozione e alla formazione: rispetto a questi obiettivi, ci si deve paradossalmente attivare alla ricerca di bandi e risorse sul fronte privato.
Ma le scelte di programmazione non possono che partire anche dalla valutazione delle risorse disponibili: dagli incassi potenziali in primo luogo e dalle disponibilità degli gli Enti Locali aderenti al Circuito. Nel caso del circuito toscano, i Comuni coprono circa l’80% dei costi artistici (e c’è qualche preoccupazione per i cambi amministrativi in corso). Si aggiunge a questo complesso equilibrio l’indirizzo della Regione (socio Fondatore di FTS) di promuovere e sostenere, attraverso la distribuzione, compagnie regionali, che per FTS si traduce nella programmazione di una percentuale di almeno il 50% delle recite. Questo input istituzionale ha fra le conseguenze la riduzione dello spazio per il teatro contemporaneo nazionale (quasi tutte le compagnie toscane sono infatti a loro volta orientate al contemporaneo). Inoltre la volontà di aprire le programmazioni a proposte innovative si scontra a volte con la difficoltà per le compagnie di contestualizzare le proprie proposte. Tuttavia nell’ultimo bilancio di Fondazione Toscana Spettacolo le attività di promozione e formazione del pubblico che includono, in alcuni casi, spettacoli gratuiti (per promuovere, ad esempio, produzioni con specifiche tematiche o realizzate per le scuole) ammontano ad un costo complessivo di oltre 295.000 euro, investimento importante che testimonia quanto tali attività siano fondamentali per FTS.
Davide D’Antonio (ETRE) ricorda che il MiBACT attribuisce alle Residenze tre funzioni: attraversamenti, ospitalità, produzione; secondo il Ministero, alcune Residenze si erano concentrate eccessivamente sulla produzione. La realtà è che le Residenze sono strutture a sé, isolate: è invece importante che nel prossimo triennio intreccino rapporti con il resto del sistema e precisino anche la loro funzione distributiva.
Luca Ricci (Kilowatt Festival) colloca la riflessione sul sistema delle Residenze nel quadro di novità introdotte dal Decreto 1° luglio 2014. Il sostegno alla “promozione” in primo luogo: se si può considerare penalizzante la scelta di limitare il sostegno a 15 soggetti divisi per settore, va considerata positivamente la possibilità di sperimentare nuovi format.
L’assetto delle Residenze è stato decentrato, delegato alle Regioni: anche questa è una scelta giusta, che ne sottolinea la funzione di presidi territoriali. Ma sono mancate all’appello molte Regioni, e le interpretazioni sono state diverse, a volte suggestive.
Le Residenze in ogni caso non sono “produzione”: semmai mettono a disposizione contesti di lavoro, spazi fecondi e soprattutto collegamenti con il territorio che consentono ai gruppi di incontrare i cittadini, di non chiudersi in torri d’avorio. Le Residenze sono “azione” e non soggetti. E’ importante stabilire relazioni con i festival (dove i gruppi hanno trovato sostegni produttivi), e attivare nuove economie, evitando il rischio di ingrossare le strutture senza muovere risorse.
Le valutazioni su questi temi non sono univoche e convivono diverse ipotesi di miglioramento:
nel merito, ateatro.it ha pubblicato il documento nazionale del sistema delle residenze (firmato da quasi tutti i soggetti)
https://www.ateatro.it/webzine/2017/05/25/dossierdistribuzione-residenze-e-iniziato-il-secondo-atto/
e quello delle residenze toscane
https://www.ateatro.it/webzine/2017/05/25/dossier-residenze-una-funzione-di-sistema/
Anna Guri (coordinatrice del corso organizzatori della Scuola Paolo Grassi di Milano), si interroga sull’effettivo sbocco e sulle modalità di inserimento di nuove compagnie nei cartelloni. L’edizione 2017 del Festival IT, che si è recentemente tenuto a Milano, ha visto 157 domande e 87 proposte ammesse: prevalentemente giovani compagnie. E’ evidente l’eccesso di formazioni e produzioni: Milano è diventata una vetrina permanente, in cui i teatri non investono più sulla permanenza. E’ un cambiamento drastico, che non funziona. Sono necessari meccanismi di selezione che consentano alle compagnie migliori di mostrarsi, ma è anche necessario studiare queste compagnie: quelle presenti in IT, per esempio, quanto hanno speso per produrre? quanto per girare? quante repliche hanno fatto? eccetera.
Luca Mazzone (Teatro Libero di Palermo) sottolinea le anomalie della situazione dei finanziamenti in Sicilia. Le risorse non vanno al teatro d’arte, ma per la parte non destinata alle istituzioni sono orientate al teatro leggero, inclusa l’operetta. Si è tentato di dar vita a progetti pilota di residenza, anche facendo leva sulla presenza diffusa di teatri comunali: gli spazi e le idee non mancherebbero, ma le attività sono sporadiche e mancano visione e continuità.
Una finalizzazione possibile di risorse destinate al Sud potrebbe riguardare insediamenti sul modello delle Residenze pugliesi, ma non limitati alla produzione regionale. Questi insediamenti non devono avere solo una funzione produttiva, ma anche aprisi all’ospitalità. Non è tanto o solo un problema di risorse, ma di come le risorse si spendono: bisognerebbe spostare i finanziamenti verso soggetti privati, organismi di produzione che “occupino” luoghi di residenza lasciando spazi all’ospitalità. Bisogna stimolare la domanda modificando le logiche delle programmazioni che in Sicilia, e in genere al Sud sono spesso sature di un’offerta scadente, che crea assuefazione.
Michele Mele (che cura la programmazione della compagnia stabilemobile di Antonio Latella e del gruppo Anagoor) sottolinea che la distribuzione richiederebbe anche un pensiero “curatoriale”: Latella orienta in modo preciso e diverso la distribuzione della sua compagnia da quella degli spettacoli prodotti con organizzazioni istituzionali.
Per Anagoor, è importante accompagnare la programmazione con un’attenzione al pubblico rispetto ai linguaggi e una relazione approfondita con i programmatori, che si concretizza anche nella definizione dei cachet. Spesso il cachet è un problema anche per la difficoltà dei programmatori di comprendere i costi di uno spettacolo e le specificità di una compagnia indipendente.
Mele sottolinea anche la vivacità di molte situazioni meridionali, per esempio in Basilicata, con il Festival delle Cento Scale e le prospettive di Matera Capitale della Cultura 2019; e in Campania, regione ricca di potenzialità dove si potrebbe fare molto da una parte per diversificare l’offerta del Circuito Regionale riducendo la programmazione di titoli e produzioni che rendono le stagioni tutte simili e contrastando così i conflitti di interesse e dall’altra puntando sul Napoli Teatro Festival affinché contribuisca, vista la significativa dimensione economica, a diversificare ulteriormente l’offerta soprattutto sul versante del teatro contemporaneo e della scena internazionale.
Maria Grazia Panigada (direttrice artistica del Teatro Donizetti di Bergamo) individua e descrive due modalità possibili di programmare un teatro comunale, e quindi di esercitare la funzione della direzione artistica: programmare in remoto oppure vedere il più spettacoli possibile per capire, incontrare le compagnie, valutarle nel rapporto col pubblico, immaginare possibili approfondimenti. E’ importante diversificare, senza inseguire facili sicurezze, per creare un cartellone il più vario possibile (l’inserimento del teatro circo per esempio ha premiato questa linea: si è visto che alla fine lo spettatore si fida). E’ importante integrare la continuità di alcuni filoni (anche con alcuni ritorni che consentono di seguire l’evoluzione dei gruppi e degli artisti), con l’inserimento ogni anno di realtà nuove. E’ importante anche mantenere i prezzi bassi (da 28 a 10 euro a Bergamo), naturalmente avendo alle spalle una struttura che sostiene scelte di questo tipo. Nel caso del Teatro Donizetti, è stato possibile un ottimo livello di occupancy grazie alla politica dei prezzi, al ricambio generazionale e al progetto integrato di formazione del pubblico (la formazione si è rivelata anche una forma di marketing). La scelta della produzione (di condividere progetti di produzione) si colloca in quest’ottica: la produzione va intesa come momento formativo, oltre che costitutivo di una politica culturale (anche se con investimenti modesti).


Oliviero Ponte di Pino riprende la sollecitazione di Anna Guri: il gran numero di gruppi giovani anche informali corrisponde alla necessità dei ragazzi di fare, più che di vedere teatro. Il sistema dei finanziamenti è stato storicamente ed è anche attualmente costruito per sostenere la produzione e non la partecipazione. E’ necessario riequilibrare gli investimenti: non è possibile investire tutte le risorse pubbliche in produzione, alcuni meccanismi considerati virtuosi per anni forse non funzionano più. E’ necessario introdurre nuovi meccanismi di selezione e ci sono diverse possibili strade. C’è il meccanismo suggerito da Maria Grazia Panigada: individuare un tecnico che abbia le competenze necessarie e delegare a lui le scelte. Ma oggi vengono utilizzati altri meccanismi di selezione: per esempio, far scegliere al pubblico, come nel progetto “visionari” di Kilowatt. O ci si può affidare al box office. In una fase complessa, che mette in discussione i meccanismi di selezione, alcune di queste forme sono anche strumenti di marketing, come il crowdfunding. Spostare l’ottica dalla produzione al consumo non deve significare però andare verso il mercato, ma trovare un equilibrio, innescando meccanismi partecipativi.
Anche Stefano Salerno (organizzatore e distributore di compagnia, oggi freelance) si concentra sul problema dell’eccesso di offerta. Da un lato si assiste all’accesso indiscriminato del gruppi teatrali al sistema distributivo: è necessario introdurre criteri più rigorosi di selezione e forse un regolamento di accesso. Dall’altro i requisiti e il rilievo dei parametri quantitativi introdotti dal Decreto 1° luglio 2014 hanno spinto gli organismi di produzione a lavorare per “creare i numeri”, si sono moltiplicate le produzioni e si sono tolti spazi ad altri: anche qui sono necessarie nuove regole. In questo contesto la figura dell’organizzatore che una volta si occupava di distribuire poche produzioni (che spesso aveva anche curato) per periodi di sfruttamento adeguati all’investimento, oggi è concentrato su altro, costretto a trovare altri sbocchi. Il mercato è disperso in innumerevoli centrali distributive, mentre un coordinamento generale sarebbe utile. Sia chi opera sul fronte della produzione sia chi opera in quello della programmazione genera progetti, ed è difficile far morire quelli nati male, anche se sarebbe utile.
Fra le possibili buone pratiche con riferimento ai problemi del Sud segnala il progetto di Mana Chuma Teatro, che, sulle due sponde dello Stretto, con la Fondazione Horcynus Orca e la Fondazione di Comunità di Messina, sta lavorando a un progetto intersettoriale e multifunzionale di respiro internazionale che collega l’attività teatrale a quella di uno più dei avanzati distretti di economia sociale.
Rosa Scapin (direttrice di Operaestate Festival a Bassano del Grappa) si sofferma sul rapporto fra festival e Residenze. La Regione Veneto non ha colto appieno il ruolo delle Residenze e cosa avrebbero potuto rappresentare e non ha aderito al progetto dell’art. 45, ma diverse organizzazioni hanno ugualmente costruito relazioni artistiche e nuovi percorsi organizzativi. Bassano Operaestate Festival ha lavorato soprattutto alla costruzione di relazioni e progetti internazionali, e ha sostenuto in modo particolare la formazione, l’accompagnamento e la mobilità degli artisti nel quadro di una visione complessiva della funzione del festival. I risultati concreti, artistici e occupazionali dell’obiettivo “mobilità” sono molto soddisfacenti e sono uno dei motivi per cui Bassano Operaestate Festival è riconosciuto anche come “casa della danza” (unico soggetto italiano nel network europeo dell’EDN). I progetti europei attivati e vinti sono innumerevoli: sono tutti progetti di cooperazione, che quindi moltiplicano le relazioni e le opportunità di ricerca, formazione, creazione e che hanno consentito di lavorare su danza e temi come l’invecchiamento, le migrazioni, performing art e gender, e di impegnarsi nella crescita del pubblico. Un festival non è solo programmazione, il pubblico è la sfida principale, non tanto per puntare alla crescita quantitativa, quanto alla formazione e alla partecipazione del pubblico (il ragionamento vale anche per la lirica, un settore dove a Bassano non c’era né tradizione, né pubblico).
L’euro-progettazione ha consentito di investire sulla formazione: sull’aggiornamento delle competenze dello staff in tutti i campi, ma soprattutto sulla modalità di comunicazione, sulla promozione degli spettacoli e sulla formazione di spettatori consapevoli. La grande varietà di generi e sottogeneri può interessare i pubblici più diversi, se si individuano modalità specifiche per promuovere ciascuno di questi linguaggi.
Le residenze organizzate da Bassano sono costitutive del nostro progetto, ma non hanno necessariamente come obiettivo la produzione di uno spettacolo da inserire nella programmazione. In ogni caso prevedono incontri con il pubblico e una restituzione finale, fondamentale per la crescita sia dei gruppi sia del pubblico, tanto in termini di formazione che di quantità. In alcuni casi, gli Incontri con le comunità hanno avuto importanti ricadute sociali, ma si è lavorato anche in altre direzioni, per esempio al collegamento con i musei.
Mario Ferrari (Pandemonium Teatro) riprende il tema sottolineando come tutti i problemi relativi alla distribuzione affrontati riguardino anche il settore ragazzi, in cui un lavoro stimolante e faticoso non è riconosciuto da cachet adeguati ed è sottodimensionato rispetto al mercato. Ricorda come la forma della residenza sia praticata fin dalle origini dal settore ragazzi in Italia (storicamente pioniere in molti ambiti sia artistici sia organizzativi): la creazione diffusa di residenze ha “creato” il mercato del settore. Un problema ancora attuale (forse paradossale rispetto all’eccesso di produzione, quindi di giovani impegnati nel teatro) è quello del ricambio generazionale.

Alcune riflessioni collegando e riprendendo in conclusione i temi sollevati

Non tutto è colpa del Decreto e della contrazione delle risorse pubbliche, ma indubbiamente in questi tre anni alcuni processi degenerativi in atto nel sistema distributivo sono precipitati.
L’eccesso di produzione (il numero di spettacoli complessivamente prodotti), deriva, sul fronte istituzionale – e delle organizzazioni finanziate nel loro complesso – dal rapporto dei meccanismi del Decreto con la contrazione del mercato. Come si è detto in più occasioni, questo fenomeno è in atto da più di dieci anni, ed è in gran parte riconducibile alla contrazione delle risorse locali, ma dal 2015 a oggi, per raggiungere i numeri richiesti e migliorare i dati quantitativi, è risultato più facile e premiante iper-produrre che rilanciare la distribuzione.
Nell’area più giovane, innovativa e non finanziata (almeno non a livello statale), l’attrazione che il teatro riveste presso i giovani (un elemento da considerare in sé positivo) si intreccia con il problema più generale della disoccupazione giovanile (in assenza di sbocchi, perché non il teatro?), con la dispersione e l’assenza di politiche coordinate nella formazione, con l’inadeguatezza dei meccanismi di selezione.
L’iperproduzione ha contribuito a una trasformazione radicale delle “stagioni”, soprattutto in città come Milano ma non solo: teniture molto brevi per gli spettacoli ospiti, ospitalità spot, micro-festival diffusi, presenza pervasiva (ma dispersiva) di produzioni delle organizzazioni stabili, assenza di investimento sulla durata.
Quasi tutti i partecipanti all’incontro hanno sottolineato come la (o la principale) soluzione sia nel pubblico: il pubblico come risorsa economica, come comunità di riferimento, come unico soggetto in grado di legittimare una funzione in crisi. L’obiettivo è la crescita del pubblico in termini quantitativi e la formazione del pubblico: quindi si persegue la capacità di reperire nuovo pubblico – e non pubblico – ma anche di orientarlo verso scelte più consapevoli e aperte al contemporaneo. (Varrebbe la pena a questo proposito di analizzare sistematicamente le programmazioni di circuiti e teatri comunali: come si è detto il punto di partenza delle scelte di programmazione sono le risorse, e il fattore “chiamata” viene prima delle valutazioni culturali: ma la “chiamata” non è un fatto oggettivo, in particolare se ci si rivolge a un “non pubblico”).
La necessità che il pubblico cresca è una consapevolezza diffusa, da cui però non sempre discendono scelte conseguenti. Tutti parlano di audience development ed engagement, ma non ci sono finanziamenti per sostenerne le pratiche (se non a livello europeo: e si sa quanto siano complessi e selettivi i progetti europei).
Sul fronte della selezione si sono diffuse, in crescendo negli ultimi dodici, forse quindici anni, modalità che hanno suscitato inizialmente grandi entusiasmi (almeno presso i più giovani): soprattutto i bandi, che prospettano pari opportunità (rappresentano la convinzione, o l’illusione, di essere tutti uguali al nastro di partenza).
Alcuni bandi hanno visto nascere reti nazionali di soggetti (circuiti, teatri) che hanno messo in comune la funzione della selezione, premiando i migliori con sbocchi distributivi (InBox, Anticorpi): pratiche positive, certo con molte luci, ma anche con qualche ombra che varrebbe la pena di analizzare, a maggior ragione se la tendenza è quella di replicare il meccanismo. La forma del bando si è diffusa capillarmente, diventando di fatto la principale modalità di accesso al sistema per i gruppi giovani e innovativi, sostituendo in molti casi (almeno a livello intermedio: medi-piccoli festival, medi-piccoli teatri comunali e innumerevoli iniziative private) la funzione principale della direzione artistica. Più che selezionare, questi bandi hanno ampliato le potenzialità apparenti del sistema, e lo hanno fondamentalmente impoverito, svuotando di valore economico il lavoro artistico giovane: a parità di requisiti, il “premio” può essere di 1, 10, 100, come in una lotteria.
Restando sul terreno economico, una volta abbordato il tema della selezione, il problema più grave è l’assenza pressoché totale di adeguati sostegni alla produzione dei gruppi giovani più meritevoli. A meno che non concretizzino rapporti di coproduzione di non facile gestione con organizzazioni istituzionali, o collaborazioni alla produzione con i festival (che si stanno a loro volta impoverendo), i gruppi non riescono a reperire sul mercato (quello distributivo tradizionale o quello dei bandi) il plusvalore necessario a coprire i costi produttivi. In questo senso anche la funzione delle Residenze si è dimostrata ambivalente: il sistema offre spazi e opportunità, ma quasi mai risorse. In questo modo, un’intera generazione sta uscendo dai meccanismi consolidati della filiera produzione/distribuzione teatrale tradizionale, senza avere avuto a oggi la possibilità o la capacità di costruire un’alternativa professionale (ovvero “professionistica”).
Dal gruppo di lavoro, dalle testimonianze di tutti, è emerso anche come esista un’arte del programmare e un’arte del distribuire: anche queste competenze si stanno perdendo, mentre andrebbero formate e alimentate.

Attraverso il gruppo di lavoro, Ateatro si proponeva di individuare alcune priorità, temi precisi cui dedicare approfondimenti. Riflessioni e scambi successivi hanno portato ad alcuni orientamenti.
Si è scelto di non dedicare ulteriore spazio al tema delle Residenze -almeno non in tempi brevi – per quanto importante e contraddittorio in questo momento sia il tema (che Ateatro segue con attenzione fin dalle prime edizioni delle Buone Pratiche del Teatro). Le Residenze sono ormai un “sistema”: ci sono state e ci saranno numerose occasioni di confronto, sono stati recentemente elaborati e pubblicati materiali, di certo altri seguiranno (e ateatro.it resta a disposizione per pubblicarli).
Il funzionamento dei Circuiti Teatrali è un tema che va segmentato per essere affrontato in modo efficace, come la programmazione dei grandi teatri comunali, spina dorsale del sistema distributivo. Prima o poi sarà necessario discutere la funzione dei teatri comunali, a maggior ragione dopo che il Codice dello Spettacolo, pur attento alla distribuzione ha scelto di non precisare il ruolo delle Regioni e degli Enti Locali (principali riferimenti di questi organismi), e di confermare invece l’anacronistica identità dei Teatri di Tradizione.

https://www.ateatro.it/webzine/2017/07/19/il-codice-dello-spettacolo-dal-senato-alla-camera-poi-tocchera-al-governo-fare-i-decreti/

Come Ateatro, vorremmo anche tornare a Sud, analizzare progetti precisi di intervento e dedicare al tema un percorso adeguato.
Sui tempi brevi si è deciso di intervenire su due temi che consideriamo prioritari:
# il pubblico: una iniziativa dedicata all’audience development, con due incontri alla fine di ottobre a Milano e Bologna, in collaborazione con Altre Velocità e Stratagemmi.
# meccanismi di selezione, innovazione e rischio culturale: un’analisi dei meccanismi di selezione (bandi e dintorni), per cercare di conciliare risorse e propensione all’innovazione nei criteri di programmazione di un teatro, un circuito, un festival. A Firenze, quasi certamente il 27 novembre, ospiti e in collaborazione con Fondazione Toscana Spettacolo. Il “formato” sarà quello delle Buone Pratiche del Teatro, della durata di un pomeriggio.




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