Quando il teatro incontra la realtà: ne parliamo il 29 ottobre 2019 in Bolzano29
A proposito di Les Théâtres Documentaires di Erica Magris e Béatrice Picon-Vallin (Deuxième Epoque, Montpellier, 2019)
In vista dell’incontro del 29 ottobre 2019, pubblichiamo un breve approfondimento sul volume di Erica Magris e Béatrice Picon-Vallin Les Théâtres Documentaires (Deuxième Epoque, Montpellier, 2019) [ndr].
Théâtre documentaire (Francia), teatro giornale, teatro di narrazione e teatro civile (Italia), investigative theatre, living newspaper, moment work, nonfiction theatre, reality based theatre, theatre of fact e tribunal theatre (USA), Verbatim Theatre (Gran Bretagna), aftolexi theatro e theatro tekmiriossi (Grecia), arhivă performativă, artă activă, documentarea de teren e teatru-document (Romania), literatura fakta e ziaja gazeta (Russia), teatro documentário (America Latina), Expertentheater (Germania)… Théâtre documentaire (Francia), teatro giornale, teatro di narrazione e teatro civile (Italia), investigative theatre, living newspaper, moment work, nonfiction theatre, reality based theatre, theatre of fact e tribunal theatre (USA), Verbatim Theatre (Gran Bretagna), aftolexi theatro e theatro tekmiriossi (Grecia), arhivă performativă, artă activă, documentarea de teren e teatru-document (Romania), literatura fakta e ziaja gazeta (Russia), teatro documentário (America Latina), Expertentheater (Germania)…
E ancora l’autodocumentario, la docufiction, il documentario di creazione, il mockumentary, il teatro sociale e il teatro inchiesta, il documentario in diretta, il teatro forum, il reenactment, la conferenza-spettacolo e la conferenza-performance… Poi il théâtre du réel di Milo Rau, i biodrammi dell’argentina Vivi Tellas, il Teatr.doc fondato nel 2002 a Mosca da Elena Gremina e Mikaïl Ougarov, la danse documentaire del “ritrattista coreografo” Rachid Ouramane, gli “esperti del quotidiano” nei progetti dei Rimini Protokoll… L’elenco potrebbe continuare: negli ultimi decenni, si sono definiti e affermati generi, forme e poetiche che stanno rinnovando e rivitalizzando il panorama della scena contemporanea.
Nel momento in cui il teatro si trova marginalizzato e dunque delegittimato, diversi artisti in tutti i paesi del mondo hanno ritrovato la necessità e l’urgenza della loro azione nel corpo a corpo con la realtà. A questo orizzonte in mutazione hanno dedicato una mastodontica panoramica Erica Magris e Béatrice Picon-Vallin, ideatrici e curatrici di un ampio progetto di ricerca, Les Théâtres Documentaires (Deuxième Epoque, Montpellier, 2019).
Già la scelta di un titolo “plurale”, oltre che una ricostruzione che occupa più di 450 fitte pagine, riflette una varietà di pratiche che rende difficile una definizione restrittiva. Anche se c’è un preciso punto di riferimento, attraverso lo storico Jacques Le Goff: la nozione di “documento” (in stretto rapporto con quella di archivio), ma nella consapevolezza che il documento “è il risultato dello sforzo delle società nella storia di imporre – volontariamente o involontariamente – una determinata immagine di loro stesse al futuro. Al limite, non esistono documenti-verità. Qualunque documento è una menzogna. Allo storico tocca di non fare la figura del grande ingenuo” (Enciclopedia Einaudi, vol. 5). I teatranti, il cui lavoro si fonda sulla menzogna, operano da sempre su questo terreno scivoloso: devono essere consapevoli delle fonti che utilizzano e introdurre la soggettività – sia dei creatori sia degli spettatori – rispetto a una informazione che si vuole oggettiva (p. 17).
Picon-Vallin e Magris risalgono alle origini di questa ambigua fame di realtà. In principio era Karl Kraus, che compose Gli ultimi giorni dell’umanità come uno smisurato collage di citazioni (in questo caso il precedente letterario è Bouvard et Pécuchet, i due stupidi e geniali copisti di Gustave Flaubert, così come il meticoloso lavoro d’indagine di molto teatro documentario rimanda al metodo di lavoro di Emile Zola). Negli anni Venti c’erano l’Agit-Prop e il dokumentarische Drama di Erwin Piscator (che utilizzava citazioni, articoli di giornale, fotografie, filmati, lettere, statistiche, interviste…), negli anni Sessanta Oh, What a Lovely War! di Joan Littlewood (1963), US di Peter Brook e il manifesto Notizen zum dokumentarischen Theater di Peter Weiss (1968).
In questi anni, l’interesse per il teatro documentario si è riacceso, in un contesto dove sono evidenti “la crisi dell’informazione o meglio le mutazioni causate dalla rivoluzione digitale, ma anche l’affievolimento, l’annebbiamento della cesura simbolica tra il dominio della realtà e quello della finzione prodotto dal regime della registrazione generalizzata” (p. 22).
La panoramica tracciata da Magris e Picon-Vallin approfondisce diverse declinazioni nazionali, in una molteplicità di suggestioni: la Russia, a partire da Tretiakov (con Kristina Matvienko), la Gran Bretagna (con Derek Paget), gli Stati Uniti (con Marie Pecorari), la Romania (con Mirella Patreanu), la Colombia (con Bruno Tackels), il Brasile (con Marcelo Soler), la Grecia (con Athéna-Hélène Stourna). Altri approfondimenti esplorano la ricerca di nuove forme, a partire da esperienze sedimentate come quelle di Ariane Mnouchkine (con il suo “laboratorio di scrittura scenica documentaria”), di Milo Rau e del suo IIPM, dei tedeschi Rimini Protokoll, dei belgi Berlin, degli italiani Motus con Alexis… La sezione finale si concentra sul recupero dell’oralità nell’era del digitale: tra i diversi esempi, spiccano – oltre a Katie Mitchell e Rabih Mrouè – il teatro civile di Marco Paolini e di Robero Saviano e l’autofiction conviviale delle Ariette, rivisitati da Erica Magris.
L’ampiezza dei riferimenti contemporanei e la capacità di far dialogare il presente con il passato danno conto dell’ambizione delle due curatrici. Il teatro sta cercando di ridefinirsi al di fuori della logica della rappresentazione. Questa riflessione sui teatri documentari si affianca a quelle sul post-drammatico (Hans-Thies Lehmann, Il teatro post-drammatico, Cue Press, Imola, 2017), sul performativo (Erika Fisher-Liske, Estetica del performativo. Una teoria del teatro e dell’arte, Carocci, Roma, 2014) e sull’arte partecipata (Claire Bishop, Inferni artificiali. La politica della spettatorialità nell’arte partecipativa, Sossella, Roma, 2015). Queste visioni teoriche nascono da un’osservazione ravvicinata dei nuovi fenomeni e li inseriscono in nuovi schemi. Possono essere discusse, nella loro parzialità, ma nel loro insieme ci aiutano a capire perché l’esperienza dello spettatore continua a essere vitale e utile. Per interpretare l’evoluzione della scena contemporanea nessuna di queste prospettive è sufficiente, ma sono tutte necessarie. Per leggere spettacoli complessi, è necessario utilizzare più di una chiave.
Il mosaico di Les Théâtres Documentaires è attraversato da alcuni fili rossi che, a partire dalla ricognizione e da questi assunti teorici, assumono uno spessore problematico. Il primo nodo è il nostro rapporto con l’informazione, o meglio con l’alluvione di informazioni che ci attraversa e ci condiziona, rendendo necessarie forme di contro-informazione e punti di vista divergenti: il frammento di realtà da cui partire può essere un episodio storico (per il nostro teatro civile), una città (per i Berlin), ma anche una vicenda privata (al limite autobiografica) o un fatto di cronaca (per certi lavori di Milo Rau). Nel processo di lavoro, le tecniche teatrali vengono arricchite con quelle di altre professioni e discipline: sociologia, antropologia, storia (e storia orale), psicoanalisi, e soprattutto il giornalismo, usando l’inchiesta e l’intervista, con il rischio di utilizzare inconsapevolmente le armi del nemico (nel frattempo giornalisti come Marco Travaglio o Ezio Mauro invadono i teatri).
Il secondo snodo riguarda il nostro rapporto con una realtà che rischia di sopraffarci e al tempo stesso di sfuggirci: i teatri documentari lavorano alla costruzione (o alla ricostruzione) del reale, ma così facendo ne decostruiscono i modi di produzione da parte dei media, della scuola e dell’università, dei social network… Qui hanno radice le due principali vocazioni dei teatri documentari: quella pedagogica e quella politica. Anche se dal òpunto di vista dello spettatore, al di là delle intenzioni, resta cruciale la rela, ovvero l’equilibrio tra la forza poetica, il valore estetico da un lato e il valore d’uso e la forza di provocazione, l’indignazione e la rabbia dall’altro.
Nella sua conclusione, Béatrice Picon-Vallin si interroga sui confini del genere attraverso un’esperienza monstre come quella di Dau: un reenactement megalomane della realtà storica sovietica tra il 1934 e il 1968, protagonisti centinaia di “non attori” in un ambiente immersivo ossessivamente ricostruito, senza espliciti obiettivi didattici o politici. Forse proprio in questa assonanza con il parco a tema, Dau radicalizza e azzera il teatro documentario.
NOTA BIBLIOGRAFICA
Il tema del rapporto teatro e realtà è da tempo all’ordine del giorno del teatro italiano e di chi lo osserva.
In questa chiave Ateatro ha dedicato ampi approfondimenti, tra l’altro, al teatro civile e di narrazione, a Jacques Delculvellerie, al Teatro delle Ariette, a Milo Rau, a Dau.
Oltre all’ampia bibliografia sul teatro civile e di narrazione, che della ricostruzione degli episodi controversi o rimossi della storia del nostro paese ha fatto uno dei suoi fili conduttori, si possono segnalare almeno i numeri monografici di alcune riviste:
– “Prove di Drammaturgia”, n. 1/2008, Teatro e informazione; Teatro/realtà. linguaggi, percorsi, luoghi, a cura di Gerardo Guccini; e n.2/2012, Teatr.doc. Report teatrali nella Russia d’oggi, a cura di Erica Faccioli e Tania Moguilevskaia;
– “Culture Teatrali”, n. 22, annale 2013, Realtà della scena. Giornalismo/Teatro/Informazione, a cura di Marco De Marinis;
– “stratagemmi – Prospettive Teatrali”, n. 35, 2017, sul tema Teatro e mimesis;
– “Hystrio”, n. 2/2019, anno XXXII, con il dossier Il teatro della realtà a cura di Roberto Rizzente e Corrado Rovida.
Inoltre:
– Prospettiva. Materiali intorno alla rappresentazione della realtà in età contemporanea, a cura di Fabrizio Arcuri e Ilaria Godino, Titivillus, Corazzano, 2011.
Tag: narrazioneteatrodi (38), RauMilo (4), RiminiProtokoll (7), Teatro delle Ariette (15), teatrocivile (16)