Di qua e di là dal mondo: l’eredità di Bepe Pastrello in mostra e in scena

La mostra a Casa Giorgione e undici spettacoli a Castelfranco Veneto fino al 22 marzo 2020

Pubblicato il 03/03/2020 / di / ateatro n. 171

Nel 1978 Manuel De Sica lo filmò per il suo documentario Nell’anno del Giorgione. Nel 1986 Ermanno Olmi lo inserì nel suo film Artigiani veneti. Eppure pochi anni dopo, Bepe Pastrello dovette rivolgersi umilmente al Comune di Castelfranco Veneto (Treviso) per offrire i suoi burattini in cambio di un loculo al cimitero. Ora la sua città gli rende omaggio con una fitta serie di iniziative che ruotano intorno alla bella mostra curata da Cristina Grazioli negli spazi del Museo Casa Giorgione e intitolata Di qua e di là dal mondo – Umani e non umani nei burattini di Bepe Pastrello: undici spettacoli di teatro di figura, per adulti e per bambini; sette incontri di approfondimento con burattinai, studiosi di teatro di figura, restauratori ed esperti; un corso di formazione per le scuole elementari e dell’infanzia; laboratori didattici; visite guidate e “animate” alla mostra, che rimarrà aperta fino al 22 marzo.

Beppe Pastrello

Luigi “Bepe” Pastrello (1906-1991) ha dodici anni quando nel Convitto Aldo Masieri, l’antico orfanotrofio di Castelfranco Veneto dov’era entrato come garzone, scopre il mondo dei burattini. Rimasto orfano a sei anni, aveva dovuto lasciare la scuola e arrangiarsi con diversi lavori, fino all’assunzione nel collegio alla fine della Prima guerra mondiale. Danila Dal Pos, che nel 1984 raccolse la sua testimonianza nel volume Burattinai e marionettisti a Castelfranco e nella Marca Trevigiana (Corbo e Fiori Editori), racconta che Bepe ebbe in quell’occasione l’incarico di costruire per i ragazzi del convitto un teatrino di legno e che nella commedia rappresentata per carnevale gli fu affidata una piccola parte. L’esperienza lo affascina. Pochi anni dopo, Pastrello si costruisce un teatrino tutto suo, i pupazzi, gli scenari e le attrezzature. Ottenuta la licenza per “spettacoli viaggianti”, comincia a girare i paesi del Veneto sulla sua bicicletta trainando un carretto con baracca e burattini. Autodidatta, dotato di grande inventiva e di una naturale facilità nel cambiare voce, Bepe farà il burattinaio di professione – cioè stringerà spesso la cinghia – quasi ininterrottamente fino al 1964. Anche quando lavorerà come operaio in una fabbrica di bombe (dal 1933 alla fine della guerra), continuerà a dare spettacoli di domenica e nel tempo libero, segnando l’immaginario di generazioni di bambini e ragazzi, ai quali poi insegnerà, incontrandoli nelle scuole dalla metà degli anni Settanta fin quasi alla morte, le tecniche di costruzione dei burattini.
I suoi fantocci, coloratissimi e molto espressivi, sono manufatti di particolare pregio, sia nella lavorazione delle teste e dei buratti, sia nelle tecniche raffinate e originali adottate per il movimento degli occhi e della bocca. Essendo di cartapesta, consentivano a Pastrello, anche grazie a una presa peculiare che li faceva diventare tutt’uno con le sue mani, di manovrare con grande sicurezza e velocità. Per grazia e mobilità i suoi burattini si distinguevano da quelli dei coevi colleghi della Marca, come Carlo Tesser, Luigi Furlanetto, Amedeo Favaretto, i Salici-Stigliani. Famosa per esempio la scena del ballo di Arlecchino e Colombina volteggianti in piroette e casquè, un pezzo di bravura che Pastrello inseriva in tutti i suoi spettacoli.
La mostra inizia proprio dal processo artigianale di costruzione dei burattini, a guanto o a bastone. Al centro della prima sala è stato ricostruito il laboratorio di Pastrello con tutti gli elementi originali (tavolo, arnesi, fotografie, oggetti, teste sbozzate) che si vedono nel frammento filmico girato da Olmi. È raro che resti qualcosa del cantiere e del mondo materiale di burattinaio, oltre a qualche pupazzo destinato alla polvere e ai tarli. Ma dell’artista di Castelfranco si è creato un fondo che oggi è parte integrante delle Civiche Collezioni Museali. Si tratta di un patrimonio artistico e culturale, nonché etno-antropologico, di grande valore, composto dai burattini prodotti e utilizzati da Pastrello, da fondali, oggetti di scena, dipinti, strumenti artigianali e documenti personali.
Rimontato per questa occasione, l’ultimo teatrino utilizzato da Pastrello domina la seconda sala. Più avanti ci sono i dischi, il giradischi e gli altoparlanti dipinti che il burattinaio adoperava nei suoi spettacoli, e anche questa ricchezza musicale non è comune nelle baracche del tempo. Nella sezione centrale una variazione sul tema del Diavolo, contrappuntato dalla Morte. Qui, come nella sezione dedicata ai personaggi derivati dalla Commedia dell’Arte, accanto ai manufatti di Bepe troviamo quelli di Nino Pozzo, Umberto Brunelli, Erio Malettti, dei Monticelli, dei Frabboni, di Gigio Brunello e di altri burattinai. Un approccio comparativo – per tecniche, temi e figure – che evidenzia consonanze e varietà di soluzioni. Il mondo fantastico e naïf di Pastrello viene così a dialogare con il più ampio universo del teatro di figura, spiccando per immediatezza e complessità. Pastrello era infatti un artigiano curioso ed eclettico che creava, con una spontaneità artistica che Jean Dubuffet non avrebbe esitato a definire brut, quadri, sculture, copioni, poesie. Il gruppo di animali di cartapesta in mostra evidenzia la maestria raggiunta dall’artista.

Beppe Pastrello e un suo burattino

Il lavoro della Dal Pos e una prima mostra nel 2003 avevano già contribuito a mantenere viva la memoria di Pastrello. Questo nuovo progetto espositivo indica con chiarezza un metodo di lavoro più scientifico per la valorizzazione del fondo donato dallo stesso artista: una équipe con diverse competenze (Clara Peranetti, Elisa Bellato, Loriana Caon, Marta Favaron, Chiara Foscaro, Matteo Melchiorre, Paolo Papparotto, oltre alla stessa Grazioli), una particolare attenzione alla catalogazione e al restauro dei manufatti, una prospettiva che dalla dimensione locale si allarga a una visione alta dei fenomeni culturali. In questo senso va inteso il seminario dedicato alla Convenzione di Faro, con Luisella Pavan Woolf e Giovanna Valenzano. Ratificata di recente dal Senato, la Convenzione parte dall’idea che la conoscenza e l’uso del patrimonio rientrino nel diritto di partecipazione dei cittadini alla vita culturale, come definito nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Le iniziative raccolte intorno alla mostra di Pastrello sono un piccolo, perfetto esempio di come l’eredità culturale custodita da biblioteche, musei e archivi, quando resa accessibile alla comunità, diventi una risorsa necessaria allo sviluppo sostenibile.
Un’eredità che si legge anche nell’impegno dei laboratori per i bambini, a cura de La scuola del Fare; nella scelta degli spettacoli proposti al Teatro Accademico del capoluogo ma anche nelle frazioni, ripercorrendo idealmente gli itinerari di Pastrello con altri teatrini di burattinai e marionettisti d’oggi (tra gli altri Teatro Alegre, Teatro del Drago, Gigio Brunello, Gianluca Di Matteo, Teatro Medico Ipnotico, Paolo Papparotto, Alberto De Bastiani, Giorgio Gabrielli, Paolo Rech); e perfino nel burattino gigante, costruito per l’occasione, che sbuca dal tetto del Museo a guardare la piazza. Si tratta di un autoritratto dell’artista. L’originale è un mezzobusto di soli venti centimetri. Un’azienda locale, leader nel settore, ha scansionato l’opera con le ultime tecnologie del 3D. I blocchi di polistirolo sono stati poi fresati con un braccio meccanico realizzando un faccione che spunta a quattro metri d’altezza, colorato da Alessandro Gatto, un artista castellano che conosceva Pastrello di persona.




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