Tre cartoline dalla Mostra del Cinema di Venezia

The Power of the Dog di Jane Campion, Competencia Oficial di Gastón Duprat e Mariano Cohn,À plein temp di Eric Gravel

Pubblicato il 25/10/2021 / di / ateatro n. 180

The Power of the Dog
di Jane Campion

The Power of the Dog, tratto dal romanzo omonimo di Thomas Savage, segna il ritorno alla regia di Jane Campion dopo 12 anni. Fatta eccezione per la bella miniserie tv Top of the Lake, l’ultimo lungomentraggio della regista è stato Bright Star del 2009.
Il film è stato accolto in maniera difforme dalla stampa nazionale ed estera, segno di un lavoro in cui non tutto quadra. Qualche inceppamento nella sceneggiatura, qualche snodo mancante nella storia forse dovuta a un montaggio troppo rispettoso dei tempi della sala, sospendono a tratti il fluire della visione. Nonostante tutto, rimane un film di valore: la fotografia sui paesaggi deserti del Montana sono specchio di un mondo di relazioni aride, a tratti disumane.
The power of the dog ha un tono epico, e i personaggi sono quasi archetipi, ognuno con il suo doppio: George (Jesse Plemons), il fratello buono ma anche ignavo, Phil (Benedict Cumberbatch), il fratello cattivo che nasconde fragilità, Rose (Kirsten Dunst), figura femminile delicata e distruttiva, annichilita dalla violenza quotidiana perpetrata da Phil nei confronti di lei e di suo figlio Peter, vittima innocente e colpevole al tempo stesso.
Mentre Phil violenta anche sé stesso, rinnegando sotto una coltre di sporco maleodorante gli studi universitari, si svela, attraverso un rapporto omoerotico con Peter (Kodi Smit-McPhee), il ricordo di un amore perduto, inconfessabile in un mondo dove la tenerezza è bandita soprattutto se veste panni maschili.
La dialettica tra vittima e carnefice procede con ritmo hegeliano, senza dare soluzioni e ruoli fissi: il riscatto del debole si avrà attraverso la violenza, stavolta pacata, meditata, ammantata di giustizia. Il titolo è tratto da un frase di un salmo biblico: «
Salva l’anima dalla spada, salva il cuore dal potere del cane», che è la tentazione umana dell’oppressione, della prevaricazione sull’altro, della violenza che genera violenza.
Il film è stato premiato con il Leone d’Argento – Premio Per La Migliore Regia.

The Power of the Dog
Regia: Jane Campion
Produzione: See-Saw Films (Emile Sherman, Iain Canning), Bad Girl Creek, Brightstar, BBC FIlm, Max Films, Cross City Films
Durata: 128’
Lingua: Inglese
Paesi: Nuova Zelanda, Australia
Interpreti: Benedict Cumberbatch, Kirsten Dunst, Jesse Plemons, Kodi Smit-McPhee

Competencia Oficial
di Duprat e Cohn

Un ricco uomo d’affari si chiede cosa fare per restare nella storia alla fine della vita.
Costruire grandi opere architettoniche? Magari un ponte? La risposta è un’altra: per restare nella storia il magnate decide di girare un film. Così prende l’avvio Competencia Oficial, commedia sul cinema venata di sarcasmo del duo argentino Duprat e Cohn.
Per la realizzazione del film, viene chiamata Lola Cueva (Penelope Cruz), una regista di talento, che a sua volta ingaggia due attori di temperamento opposto: (Antonio Banderas), divo gigione affermatosi a Hollywood, abbronzato e vistoso, e Iván (Oscar Martínez), attore di teatro dimesso e ideologizzato.
I due verranno sottoposti dall’eccentrica Lola ad una serie di prove al limite del sadismo. Il loro ego verrà, e non solo metaforicamente, triturato, attraverso la distruzione dei premi ricevuti, e saranno costretti a recitare sotto una incombente e gigantesca pietra per ottenere “la giusta tensione”. Quella pietra sospesa è l’io elefantiaco dei tre protagonisti che minaccia di schiacciare sotto il suo peso, relazioni, sentimenti, umanità, la vita stessa. Oltre alla presa in giro meta-cinematografica c’è un affondo in una dimensione più intima degli artisti, capaci di trasformarsi in carogne o in esseri compassionevoli, di coltivare sogni, ossessioni, vendette, di lasciare libero sfogo al proprio ego o di struggersi per le sventure altrui.
Grandi prove di attori, con la Cruz che riesce a essere credibile nonostante indossi una parrucca inverosimile e interpreti un personaggio decisamente sopra le righe. Banderas, più convicente che in altri ruoli, passa dai toni della commedia a momenti decisamente drammatici, in cui non è la verità a contare ma la verosimiglianza. Infine Oscar Martínez, già Coppa Volpi per Il cittadino illustre, sempre per la regia di Duprat e Cohn, che intepreta l’antidivo che si prende perennemente sul serio, anche quando, solleticato dall’idea dell’Oscar, si pavoneggia allo specchio con una caffettiera al posto della statuetta.

Niente premi per la competizione ufficiale della 78esima Biennale Cinema.

Competencia Oficial
Regia: Gastón Duprat, Mariano Cohn
Produzione: The Mediapro Studio (Jaume Roures Llop)
Durata: 114’
Lingua: Spagnolo
Paesi: Spagna, Argentina
Interpreti: Penélope Cruz, Antonio Banderas, Oscar Martínez, José Luis Gómez, Nagore Aranburu, Irene Escolar, Manolo Solo, Pilar Castro, Koldo Olabarri

À plein temp
di Eric Gravel

À plein temp è senza dubbio una delle rivelazioni della 78esima edizione del Festival di Venezia. Racconta il quotidiano di una pendolare parigina, lavoratrice e madre. Julie, interpretata da Laure Calamy (già vista nella serie Dix pour cent – in Italia Chiami il mio agente), lavora come responsabile di una reparto tutto al femminile che si occupa delle pulizie in un hotel di lusso. Lo sciopero dei treni innesca nella sua vita un vortice sempre più incalzante in cui attività consuete, come andare al lavoro, organizzare la festa dei bambini, cercare un nuovo impiego, diventano azioni cariche di tensione.
Il ritmo è adrenalinico, non ci sono momenti di distensione, perché il lavoro richiede precisione, gli appuntamenti puntualità, i figli dedizione… mentre nella città bloccata dagli scioperi impera il caos. In questo universo femminile fatto di datrici di lavoro indurite, colleghe a volte complici a volte ostili, i rapporti a volte si incrinano, altre arrivano a spezzarsi. Il film è uno spaccato quanto mai attuale della nostra società: affronta in primo luogo il tema della crisi economica e di senso della classe media, con un focus sulla condizione delle donne lavoratrici e madri. Ma tutto questo ce lo fa vivere, senza troppi ragionamenti: corriamo insieme alla protagonista avanti e indietro, tra casa e lavoro, da un capo all’altro della città, mentre cerchiamo di tenere insieme il puzzle della nostra vita , facendo il possibile per non gettare la spugna.
Il montaggio di Mathilde Van De Moortel materializza il tritacarne del quotidiano che procede inesorabile, travolgendo Julie fino a farci temere il peggio. Alla fine rimane un dubbio: come dobbiamo riempire il nostro tempo? Quanto tempo possiamo e dobbiamo dedicare ai nostri affetti? Quanto alla nostra vita fuori dal lavoro? È meglio cancellare sé stessi, accettando situazioni di compromesso lavorativo ma garantendoci una vita più rilassata, una maggiore cura dei figli, o per poter sopravvivere siamo costretti a gettarci nella morsa dell’efficienza, in una guerra quotidiana contro il tempo e le distanze?

Il film ha ricevuto il Premio Orizzonti Per La Migliore Regia a Eric Gravel e il Premio Orizzonti Per La Migliore Attrice a Laure Calamy.

À plein temp
Regia: Eric Gravel
Produzione: Novoprod Cinema (Rapahaëlle Delauche, Nicolas Sanfaute), France 2 Cinéma, Haut et Court Distribution
Durata: 85’
Lingua: Francese
Paesi: Francia
Interpreti: Laure Calamy, Anne Suarez, Geneviève Mnich, Nolan Arizmendi, Sasha Lemaitre Cremaschi