Stelle fisse | Luciano Berio

Un genio per amico?

Pubblicato il 23/11/2021 / di / ateatro n. #BP2006 , 180

Nel 1949 ho compiuto diciotto anni, e i miei genitori mi hanno concesso per la prima volta “libertà di vacanza”. Così, con l’amico Marco Dusi, abbiamo elaborato un meraviglioso progetto. A Milano avremmo imbarcato le biciclette come bagaglio appresso sul treno per Genova, e da lì avremmo percorso in lungo e in largo la Riviera Ligure, con tutto il nostro bagaglio nelle bisacce sistemate sul parafango posteriore della bici. Per la notte, ci saremmo arrangiati dove capitava: c’era poca gente in giro, in quegli anni.
La prima tappa è stata Oneglia, dove avevamo un punto d’appoggio: Luciano Berio ci aveva suggerito di raggiungerlo laggiù, dove era ospite in una grande casa un po’ ai margini della città, di proprietà di una giovane signora che, se non ricordo male, si chiamava Margherita. C’era posto anche per noi, ma Luciano lo vedevamo poco, solo qualche momento nel tardo pomeriggio, al mare, e non ricordo che facesse il bagno con noi. Si preparava all’esame di diploma di composizione, e stava tutto il giorno nella sua stanza a lavorare, insieme a un amico violinista, alla creazione di qualcosa per violino e pianoforte. In quella stanza Marco e io non siamo mai entrati, ma non potevamo fare a meno di ascoltare qualche frammento di quello che vi accadeva. E quello che vi accadeva era sufficiente per farci capire, non so in quale modo, ma certo con plastica evidenza, che se a noi il destino avrebbe riservato soltanto qualche buona e soddisfacente conquista, di lui al contrario si sarebbe lungamente parlato.
Ci siamo fermati a Oneglia una decina di giorni. Poi abbiamo ripreso le biciclette e in quattro o cinque giorni abbiamo raggiunto la Riviera di Levante, dove a Cavi di Lavagna avevamo appuntamento con un altro amico, che però non poteva ospitarci. E, non avendo trovato migliore sistemazione, per tre o quattro notti abbiamo dormito in spiaggia avvolti in una vela che ci aveva procurato il bagnino, constatando che dormire sotto le stelle è un’esperienza indimenticabile, ma c’è tanta, troppa umidità.
Lo spirito d’avventura non era ancora del tutto appagato, e così abbiamo tentato ancora una salita, questa volta molto impegnativa: il Passo del Bracco. Arrivati in vetta orgogliosi e stanchi, stavamo per affrontare la discesa che ci avrebbe portato a La Spezia, quando abbiamo visto avvicinarsi una piccola spider rossa della Renault targata con il mitico 75 di Parigi. Alla guida un giovane uomo con tuta e occhiali che pareva Tazio Nuvolari, e al posto del navigatore una giovane donna con occhiali da saldatore e i capelli al vento.
“La route pour Rome?”, ci ha chiesto il guidatore.
Abbiamo fatto un gesto che voleva significare laggiù, e la spider rossa è sfrecciata verso quella meta lontana. Perché non avevamo anche noi una spider rossa? Perché non avevamo una ragazza da portare fino alla città eterna? Ci siamo guardati e abbiamo capito che la nostra vacanza era finita. Mentre la visione della spider rossa si perdeva fra le curve assolate dell’Aurelia, siamo rientrati nella nostra mediocrità: Marco è emigrato in Cile a fare il direttore di coro a Valparaiso, io ho trovato lavoro come pianista, due giorni alla settimana, in una modesta scuola di ballo.

Eduardo Rescigno sul set de Il Campo

Era divertente, e mi nutrivo della vista di alcune giovani donne accaldate. Ma l’anno dopo, ad agosto, ho dovuto assentarmi per accompagnare mio padre a Napoli, la sua città natale, che non vedeva da quasi trent’anni. Allora ho pensato a Berio, al quale poteva far comodo sostituirmi per quei trenta giorni. Così è stato.
Quando sono tornato e mi sono nuovamente seduto al mio posto di pianista, il maître de ballet mi ha preso in disparte: «Ma quel tale che l’ha sostituito, è un suo amico?»
«Ma certo», ho risposto orgogliosamente, quasi infastidito della sensazione che potesse mettere in dubbio quel privilegiato rapporto.
«Strano, non ha fatto che parlar male di lei… ma io rispetto i patti».
Sono rimasto molto male, lo confesso, ma solo per pochi minuti. Poi ho capito: il prorompente talento di Luciano era stato messo a disagio nel vedersi ridotto a sostituto di un pianista di quarta classe.
Ma l’anno dopo ci sono ricascato. Ero un appassionato cineamatore, alle spalle avevo un premio in un concorso nazionale per un documentario in 16 millimetri, e avevo conquistato un posto nel Consiglio direttivo del Cine club Milano, che doveva scegliere i film da mandare al concorso nazionale di Montecatini. Fra i selezionabili c’era Il campo di Franco Pistoia – la storia molto minimalista di una famiglia che viveva del proprio lavoro di contadini ai margini della città di Vigevano. Ermanno Olmi, che allora non si era ancora avvicinato al cinema, ne avrebbe fatto un piccolo capolavoro, ma Il campo non era male, sicuramente fra i migliori in quell’anno non molto ricco di lavori interessanti. Avevo collaborato a quel film come operatore, quindi non potevo far parte della giuria, e bisognava sostituirmi. Proposi Luciano Berio – era una faccenda abbastanza divertente, e la giornata si sarebbe conclusa con una cena offerta dal Presidente del club. Berio accettò.

Luciano Berio

A lavori conclusi il Presidente del Cine Club Milano, un poco imbarazzato, mi disse che Il campo non era stato selezionato, benché avesse avuto il voto favorevole degli altri quattro membri della giuria; ma il mio amico aveva messo il veto e, a norma di regolamento, non si poteva fare altro che escludere il film dalla rosa di quelli che sarebbero andati a Montecatini. Ho subito telefonato a Luciano per avere una spiegazione: «Non meritava, non meritava», mi ha ripetuto tre o quattro volte. E non mi sono consolato quando ho appreso che nessuno dei film scelti dalla giuria milanese di cui Berio aveva fatto parte aveva ricevuto un sia pur modesto riconoscimento al Concorso di Montecatini.
Da allora sono trascorsi molti anni, Marco Dusi ha chiuso la sua apprezzata carriera di direttore di coro, Franco Pistoia ha abbandonato il cinema e fino alla pensione si è dedicato al mondo delle assicurazioni. In quanto a me, ho messo da parte il pianoforte e mi sono rivolto all’editoria e all’insegnamento. Ma Luciano, Luciano no… Luciano è diventato Luciano Berio, e non ho più osato rivolgermi a lui.




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InformazioniEduardo Rescigno

Eduardo Rescigno (Milano, 1931) è un musicologo, scrittore e commediografo italiano. Altri post