Stato e Regioni nella promozione dello spettacolo dal vivo: la parola al teatro

Dossier Stato e Regioni nella promozione dello spettacolo dal vivo [10]
Gli interventi di Antonio Taormina, Fabio Biondi, Nicola Borghesi, Paolo Cantù, Lorenzo Donati, Patrizia Ghedini, Valter Malosti, Marcella Nonni, Ruggero Sintoni

Nel quadro del pomeriggio di studio dedicato a “Stato e Regioni nella promozione dello spettacolo dal vivo”, il 7 febbraio 2022 a Bologna, un gruppo di operatori attivi in diverse componenti delle comunità teatrale dell’Emilia Romagna, ma rappresentativa di tutto il territorio nazionale, sono intervenuti a partire dagli stimoli e dalle suggestioni dell’inquadramento giuridico e della ricerca di Ateatro in una Tavola rotonda.
La trascrizione è stata curata da Federico Minghetti.

Ha introdotto e moderato Antonio Taormina (Consiglio superiore dello spettacolo). Sono intervenuti Fabio Biondi (l’Arboreto – Teatro Dimora di Mondaino (Centro di Residenza Emilia-Romagna)), Nicola Borghesi (Kepler 452), Paolo Cantù (I teatri Reggio Emilia), Lorenzo Donati (Altrevelocità), Patrizia Ghedini (ATER Fondazione), Valter Malosti (ERT), Marcella Nonni (Ravenna Teatro/Teatro delle Albe), Ruggero Sintoni (Accademia Perduta Romagna Teatri).

Antonio Taormina
E’ un lungo percorso, utile e necessario, quello svolto da Ateatro. Le attività di ricerca dedicata alla legislazione e alle politiche dello spettacolo dal vivo sono molto limitate. L’incontro di oggi è un esempio virtuoso: la comparazione tra leggi regionali non era mai stata sollevata con questa chiarezza e fatta in modo così approfondita. Abbiamo solo due esempi: il primo vent’anni fa da parte dell’AGIS con ETI, il secondo è lo studio del 2008/2009 realizzato nel quadro del “Progetto Orma” voluto da MiBAC, UPI, ANCI e Conferenza delle Regioni.
La specificità di questo incontro riporta molti di noi a un convegno del 2004 a Bologna, che aveva come titolo “Le Regioni e lo spettacolo”, voluto dalla Conferenza delle Regioni di cui fu promotrice Patrizia Ghedini (presente anche oggi). In quell’incontro venne presentata la proposta di legge delle Regioni, dal titolo “Proposta di legge recante i principi fondamentali per lo spettacolo ai sensi dell’articolo 117 comma 3 della Costituzione”, una delle tante proposte di legge spettacolo non che non sono andate in porto. Se rileggiamo quel testo, è ancora attuale e i suoi contenuti riecheggiano nell’incontro di oggi, che ha affrontato moltissimi temi.
Le parole chiave di oggi sono: concertazione tra i livelli di governo, rapporto tra Regioni e Comuni, ruolo delle Regioni, funzione della promozione, tema di consultazione, rapporto domanda-offerta, modalità di riconoscimento, oltre al tema delle residenze.
Abbiamo con noi otto protagonisti a livello nazionale e regionale. Chiediamo loro di restituirci le impressioni e le suggestioni che hanno colto nel corso dei lavori, la loro visione nello stato dell’arte rispetto, anche in relazione al panel successivo, proiettato verso il Codice dello Spettacolo, che tratterà della legge delega.

Fabio Biondi (l’Arboreto – Teatro Dimora di Mondaino (Centro di Residenza Emilia-Romagna))
Parto da un articolo letto ieri sera. Nel 1971 Leo De Berardinis e Perla Peragallo lasciarono la città per andare a Marigliano, dove per dieci anni Leo e Perla condussero un laboratorio di arte e di vita.
Lì è nato il fondamentale pensiero antico delle residenze, che si pongono a metà tra Stato e Regioni, capaci di ricavarsi un tempo e uno spazio per farsi domande. Sono laboratori di arti e di vita dove non si pensa solo al fare, ma anche al dire. Un presidio culturale. Lasciare la città e andare nelle periferie, capire che nelle periferie c’è un tempo-spazio dove si può pensare e creare. E’ importantissimo il patto di generosità siglato con il territorio. E’ questo il pensiero moderno delle residenze, come ci ha spiegato Donatella Ferrante.
Sono residenze di corpi molto fragili, ma con una forte identità. Rispondono a un’esigenza poetica, principalmente da parte degli artisti, ma anche a una necessità politica. La residenza è a metà tra Stato e Regioni e anche tra politica e poetica. In alcune Regioni sono state adottate come strumenti amministrativi principalmente per mettere a regime il rapporto tra Regioni, Comuni e artisti. Toscana e Puglia hanno fatto un pensiero intelligente su questo. Le residenze hanno così risposto a una nuova domanda, mettendosi a metà strada: mischiare la stanzialità con l’essere nomadi.
Alcune Regioni hanno risposto soprattutto a domande amministrative, nate dall’alto. In altre Regioni sono nate invece dal basso. Ma la cosa interessante è che si sono incontrate a metà: Toscana, Puglia, Emilia-Romagna hanno indicato al Ministero la possibilità di comporre un sistema nazionale partendo dai sistemi regionali e non viceversa. E’ questa è la grande rivoluzione, la bellezza e unicità delle residenze, che hanno dato uno strano contributo al sistema teatrale. Sono nel FUS ma non sono nel FUS, perché la domanda ministeriale viene fatta alla Regione, essendo una legge concorsuale. Non sono nel FUS, ma sono dentro a un sistema nazionale dello spettacolo e si stanno caricando di grandi responsabilità. Siamo fragilissimi ma fruibili: abbiamo la capacità di reggere nei territori e nelle comunità dove c’è la possibilità di identificarsi con una storia e con le differenze della storia.
La grande fortuna e la grande debolezza delle residenze è questa: sapere di avere dentro un principio innovativo e insieme un pensiero antichissimo. La storia parla delle residenze come di un pensiero antichissimo, che però nasce dall’ascolto di un luogo e di un paesaggio e quindi dalla necessità contemporanea di fermarsi, di riflettere, di concepire una cultura dei laboratori che è fatta anche di produzione e di circuitazione, ma ancora prima è fatta di domande e di formazione.
Perché in questo momento le residenze sono così interessanti? Perché hanno in parte cambiato il rapporto con la filiera di circuitazione e distribuzione. E’ la questione del tempo e dello spazio: sospendere il giudizio… E’ una questione regionale e statale, si trova a metà strada – come i temi del silenzio. Accorcia le distanze tra Regioni e Ministero.
Le differenze, dentro le Regioni e fuori dalle Regioni, sono le differenze storiche, sociali, territoriali e politiche. Non solo Nord e Sud, ma anche differenze di pensiero. La grande fortuna delle residenze è che da una parte sono un pensiero innovativo e rivoluzionario, ma dall’altro hanno saputo accogliere: ogni Regione le può interpretare – non dico come vuole perché sarebbe un errore – armonizzando i propri tempi amministrativi con uno sguardo che va oltre il proprio sistema.
Il triangolo è forte: Regioni, Comuni, teatri. Pensate a un teatro di un piccolo comune bellissimo, che all’amministrazione costa un capitale e sta aperto dieci giorni all’anno: è un delitto. Pensate invece ai teatri come nuove case del sapere, abitate tutto l’anno, nei territori regionali e nazionali. Questo sono le residenze: essere stanziali ma accogliere il nomadismo degli artisti. Capite bene che sono tutto e non sono niente, ma hanno al loro interno un principio fondamentale: ascoltare i luoghi e raccontare la loro bellezza dei luoghi.

Nicola Borghesi – Kepler 452
Di leggi ne capisco poco. Sono il legale rappresentate di una compagnia che non è finanziata né dalla Regione né dal Ministero e porto impressioni e sensazioni raccolte oggi e nel mio percorso, restando nella metafora della coppia gelosa e litigiosa che proponeva Mimma nel suo articolo Stato, Regioni e spettacolo: un dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca).
Noi artisti siamo i figli di questi genitori separati e cerchiamo di prendere la busta Natale sia da mamma sia da papà, sfruttando il loro senso di colpa. Nel breve termine è utile, perché con quei soldi ci esci di più la sera e compri più birrette, ma nel lungo termine rischiamo di rimanere traumatizzati, come succede nelle separazioni, e rischiamo di non crescere, di non fare ragionamenti e investimenti strutturali. Questa pluralità di interlocutori da un alto ci tutela, perché arrivano genitori nuovi che ci salvano, ma poi magari impazziscono, come quegli assessori con i quali fatichiamo a dialogare. A questo aggiungiamo altri interlocutori che nell’esperienza di una compagnia sono i primi, ovvero i Comuni.
Io ho 35 anni e Kepler esiste da 6 anni: a questo punto penso di potermi relazionare con Ministero e Regione, prima non avevo le caratteristiche necessarie. Ma mi chiedo: a chi dovevo rivolgermi per primo? Mi sono rivolto al Comune, mi sono rivolto ad alcune esperienze, ma ci sarebbe bisogno di soglie di accesso diverse. Forse le soglie che sono in campo – lo dico come uno che sta entrando adesso nella possibilità di avere quei numeri – sono un po’ alte. E per molte ragioni: per esempio sono scomparsi i luoghi dell’informalità, dove nascevano e si sviluppavano le compagnie, molti di questi centri sono stati sgomberati. Bisognerebbe immaginare una risposta: luoghi intermedi che ti aiutino a trovare la tua poetica, insomma spazi che altrimenti non hai.
Per quanto riguarda le Regioni, se è vero, come diceva Fabio Biondi, che sono in continuo ascolto del paesaggio, è fantastico avere un interlocutore che ha grosse possibilità di finanziamento geograficamente più vicino a te. Per converso il rischio – non è successo nella mia Regione, ma altrove l’ho visto succedere – è che alcune Regioni prendano un po’ alla lettera questa faccenda della promozione del territorio, per cui a un certo punto cominciano a emettere bandi con dei temi. Io come artista vorrei mettere fortemente in guardia le istituzioni dal mettere o imporre dei temi per dare finanziamenti agli artisti. Ci sono artisti amici – in altre Regioni che non cito – che a un certo punto hanno tutti cominciato a dirmi: “Devo fare per forza un lavoro su questo tema qua!”, un tema che – se fossi in Emilia-Romagna – potrebbe essere per esempio “Gli etruschi”. Ecco, se mi chiedete di fare uno spettacolo sugli Etruschi, come artista non sono contento. Adorno nei Minima moralia diceva che è possibile immaginare un film che sia un capolavoro e rispetti tutti i crismi del Codice Hays, ma solo in un modo dove questo codice esiste. È possibile che un giorno mi venga voglia fare uno spettacolo sugli Etruschi, e magari sarà un bello spettacolo, ma questo sicuramente non accadrà se mi chiedete di farlo. La Regione dovrebbe esprimere una sua vitalità a prescindere: se mi viene voglia di fare uno spettacolo sugli Etruschi, è perché il clima che si respira in questa Regione mi induce a farlo, e non perché mi imponete di farlo. Lasciateci fare gli spettacoli sulle cose che ci interessano, su cui abbiamo voglia e urgenza di ragionare.
Piuttosto sarebbe interessante che la Regione cucisse le esperienze artistiche con alcune esigenze del territorio, ma non in un’ottica promozionale. Sarebbe pericolosissimo inserirci in un’ottica turistica e di immagine di una Regione. Se possiamo promuovere una Regione, è facendo bene i nostri spettacoli e facendo in modo decente gli artisti: ma questo accade solo se ci viene lasciata la nostra libertà, se non dobbiamo costantemente spaccarci la testa a chiederci a quali bandi dobbiamo partecipare, perché c’è una quantità di requisiti diversi in diverse direzioni, senza che siano chiaramente e percepibilmente diversi per un motivo a noi chiaro o razionale.
Si è criticata la visione di un teatro come appoggio ad altre politiche: sono d’accordo, io fatico molto a vedere delle opportunità in questa torsione. Siamo artisti, abbiamo delle cose da dire anche se neanche noi sappiamo bene quali, figuratevi se lo sapete voi che ci volete dire cosa fare! Lasciateci fare il nostro percorso: questo è il miglior patto che possiate fare con noi, ed è il miglior modo per portare lustro e aumentare il pubblico e migliorare ogni singola diversa regione.

Bologna, 7 febbraio 2022.

Paolo Cantù – Fondazione I teatri di Reggio Emilia
Sono passato tra Regioni, avendo avuto diversi incarichi professionali in Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, e questo mi ha portato a esperienze diverse, con Regioni e interlocutori diversi, e una modalità diversa di approccio.
Visto che si parla di gelosia, mi è tornato in mente il titolo di un film, Quell’oscuro oggetto del desiderio: noi siamo un oggetto del desiderio, però oscuro però: siamo l’oggetto del desidero nel quale l’interesse è sulla conquista e non sulla gestione reale delle cose.
In questo momento, si sono sovrapposte troppe problematiche. Penso che una legge, quella che chiamiamo Legge delega o Legge dello spettacolo, sia assolutamente necessaria perché pone un principio, dà un ruolo e una funzione allo spettacolo dal vivo in questo paese: non c’è una legge che dice “esiste lo spettacolo dal vivo in questo paese e ha una funzione identitaria, una funzione di coesione sociale, eccetera…
Ma dobbiamo anche dirci un’altra cosa: in realtà una legge, benché non sia una legge vera e prorpia, esiste. E’ quella che è stata fatta nel 2014, facendola passare per decreto ministeriale nel triennio 2015/2017. È un DM, ma impone delle funzioni e ci costringe ogni tre anni a impazzire, a interrogarci, a preoccuparci del dover giustificare il nostro operare. Io non sono contro tutto quel decreto, ma dobbiamo dirci che la realtà dei fatti è che noi sottostiamo a quel sistema e quel sistema costruisce il sistema sul quale siamo costretti a ragionare ogni tre anni in maniera forte ed evidente, preoccupati di doverci giustificare qualche mese dopo, quando magari ci diranno che ci hanno tolto qualche decina o centinaia – a seconda delle dimensioni – di migliaia di euro, perché c’è ho numero in meno rispetto al mio concorrente o a qualche altro teatro di tradizione. Questa è la realtà dei fatti.
Se devo parlare da operatore dello spettacolo, quando ho assunto un nuovo incarico, la prima cosa che mi sono chiesto è: che cosa ci faccio qui? Che cosa ci fa la Fondazione I teatri, teatro di tradizione, in Emilia-Romagna, a Reggio Emilia? Che ruolo ha? Che funzione ha? Questa domanda me la sono sempre posta e ho provato a trovare degli interlocutori che mi aiutassero a capire quale fosse il nostro ruolo. Ma in questo momento, i decreti ministeriali e in generale le leggi non ci aiutano a capirlo, anche se in Emilia-Romagna siamo un può più avanti che in altre Regioni.
Parliamo di residenze. C’è una sovrapposizione o giustapposizione nel tempo di documenti che ci dicono un pezzettino di quello che dobbiamo fare… e negli interstizi di quei documenti, io so se sono una residenza. Ma mi ha colpito il fatto che parliamo di Codice dello Spettacolo, parliamo del sistema dello spettacolo, ma il modello che prendiamo a riferimento è fuori dal sistema. E’ buffo, è un ragionamento che dobbiamo fare. Io ho fatto parte del sistema delle residenze, ci ho lavorato a lungo e lo trovo molto interessante, perché ha tantissimi elementi interessanti, è un sistema verticale e insieme orizzontale. Bisognerebbe utilizzarlo per capire come può essere utile a tutto lo spettacolo dal vivo, compresi per esempio i teatri di tradizione: io e i miei colleghi pensimo di sapere perfettamente il quadro di riferimento e cosa siamo, ma certamente quel quadro e quel tipo di ruolo non è rappresentato né dal punto di vista dalla legge statale né da quello della legge regionale.
Di questo mi piacerebbe discutere: delle nostre sfide, di quello che vogliamo noi e di quello che ci chiedete voi, in termini di ruoli e funzioni, e ovviamente non di contenuti, perché i contenuti li lasciamo agli artisti. Ma quando stai all’interno di una struttura medio-grande come un teatro di tradizione e ti rendi conto che la parte di innovazione la devi costruire trovando il modo di farla finanziare – perché non c’è un modo di farla finanziare con i canali esistenti – allora c’è qualcosa che non funziona più, c’è un meccanismo da scardinare.
Se dovessi chiedere qualcosa, chiederei una griglia davvero concorrente tra Stato, Regioni ed enti locali, ma soprattutto tra Stato e Regioni, davvero in totale sincronia. Ci sono tempistiche strane, incompatibili di anno in anno, tra Regione e Stato: servirebbe una compartecipazione vera, un principio di sussidiarietà, che ci aiuterebbe a lavorare in un contesto di riferimento comune e condiviso, con una griglia che non parli di contenuti ma ci aiuti a capire e dia suggestioni di lavoro che vadano verso l’innovazione, verso nuove forme che mi aiutino a ragionare e siano effettivamente un valore aggiunto al nostro lavoro.

Lorenzo Donati – Altrevelocità
Questa è una giornata necessaria per tentare collettivamente di qualcosa d’importante. Dico poche cose rispetto a una delle ultime posizioni del Decreto ministeriale, quella della Promozione, che però è al centro di questa giornata, dato che stiamo parlando di promozione dello spettacolo dal vivo. Una riflessione può invitare alla riflessione sui luoghi finanziati nel decreto in posizioni più alte, a partire dai Teatri Nazionali scendendo poi a tutto il resto del sistema.
Si è detto che le parole sono importanti: ma abbiamo anche detto che ci mancano un po’ di parole. Questi decreti e questa legge non legge ci dicono che cosa dobbiamo fare, anche se da lì dovremmo desumere come dobbiamo essere. Credo che questo valga per tutto il sistema dello spettacolo dal vivo. Ma nessuno sa la differenza tra un TRIC e un Teatro Nazionale, se non andando a vedere i numeri ai quali devono conformarsi. Credo sia veramente mancato – perché non è stato fatto o non si è voluto fare – un processo culturale di discussione attorno al mutamento del teatro: questo decreto aveva bisogno di una discussione culturale nel merito per capire cosa stesse cambiando e come si poteva cambiare in meglio, e come si doveva affrontare il cambiamento. Questo credo valga un po’ per tutto, anche per la cosiddetta Promozione e in particolare per la formazione del pubblico.
La formazione del pubblico è diventata un passe-partout che sta sulla bocca di tutti, è in qualche comma di qualunque legge e di qualunque decreto. Poi capire cosa sia e come debba essere fatta, e se davvero debba essere fatta, in che forme, in che termini, chi la debba fare, sono tutte cose che sono delegate a una esperienzialità, a una serie di prassi che poi dovrebbero comporre un panorama.
Può anche essere una strategia, visto che parliamo di un’esperienza giovane, “nuova” almeno per la legislazione, dato che è entrata nel famoso decreto solo nel 2015. Ma da allora se ne parla insistentemente. Si deve fare? Come si deve fare? E’ una questione cruciale in un paese dove il 60% delle persone non legge nemmeno un libro all’anno, se non per lavoro, in un paese dove il 27% di persone sono definite “analfabeti funzionali”. E dopo la pandemia l’Italia ha visto contrarsi (dati Fondazione Symbola) dell’80% circa la vendita dei biglietti per spettacoli di teatro e di musica.
Siamo di fronte a una questione educativa immensa, della quale dobbiamo accorgerci un po’ tutti e a tutti i livelli. Cosa si intende, cosa vuol dire, come deve essere fatta, chi deve fare la formazione del pubblico? Come è successo per le residenze, credo che ci sia bisogno di un movimento culturale vero attorno a questa questione. Se è vero che ritorna in tutte le legislazioni, compresa quella dell’Emilia-Romagna, che ha una legge per la promozione e ha scritto “formazione del pubblico” anche nella Legge 13 e nelle sue linee di attuazione.
Dopodiché anche in Emilia-Romagna non è facile capire come deve essere fatta e chi la debba fare. Mi piacerebbe se nei prossimi mesi si innescasse un movimento di discussione culturale e legislativa su cosa è la formazione del pubblico, quanto deve essere una attività critico-educativa, quanto di promozione, quali strumenti si introducono.
È una attività di mobilitazione delle comunità? Questa è una grande linea. È una attività educativa? Questa è una altra linea possibile. Ma l’educazione la fanno gli educatori, mentre la mobilitazione della comunità la fanno gli operatori e gli artisti. È un’attività di divulgazione e di discussione? E’ un’altra linea possibile, ma viene fatta da altre figure, come per esempio Ateatro.
Credo sia molto importante provare a innescare questo movimento culturale. Se riuscissimo a farlo a livello regionale, potrebbe essere un’azione individuare uno o più enti a livello regionale che si occupano di formazione del pubblico e discuterne a livello nazionale, coinvolgendo tutte le Regioni, partendo da chi opera nei territori.

Patrizia Ghedini – ATER Fondazione
Avevo alcuni appunti sul rapporto tra domanda offerta, ma sono presidente di ATER, che di recente è diventata Fondazione, e vorrei aprire finestra su questo passaggio. Non è più l’associazione che conoscevate, è una fondazione di partecipazione a controllo pubblico, con la Regione socio di maggioranza, e 35 comuni, ha un’altra mission, un nuovo direttore, nuovi organi istituzionali, obiettivi di identità culturale e di relazione forte con i territori, di progetti di rete. Progetti che qui non abbiamo il tempo di approfondire, se non per inserire in questo dibattito il tema dei circuiti in una altra accezione rispetto a quella con la quale sono stati affrontati in passato, sia dal punto di vista delle caratteristiche interne, che sono molto diverse dal punto di vista giuridico, sia dal punto di vista delle attività svolte, dei progetti, a volte molto fantasiosi. Nel nostro caso siamo anche molto impegnati nella gestione diretta di 12 teatri con propri dipendenti. Li gestiamo in tutto, a eccezione della manutenzione straordinaria; non facciamo solo programmazione o progetti tematici o di rete o collaborazioni che cerchiamo di avere sempre più positive con i soggetti del territorio.
Ascoltandovi, mi sono interrogata su due nodi.
Il primo. Luigi Marsano ha detto che nelle leggi regionali non ci sono molte realtà e fenomeni che vede riconosciuti dal FUS, anche nei punteggi usati per la valutazione e che questa è una grandissima contraddizione. Capisco il suo punto di vista, ma dal punto di vista di una legge regionale io la penso all’opposto: sono molto affezionata alla Legge 13 dell’Emilia-Romagna, che tiene benissimo da vent’anni e credo durerà ancora diversi anni proprio perché non entra nelle specificità, ma chiarisce bene gli obiettivi, gli strumenti di programmazione, le relazioni con gli enti locali e demanda appunto le attività – gli obiettivi e le azioni in generale, e quelli specifici per i diversi settori dello spettacolo – a provvedimenti amministrativi che sono i programmi regionali triennali, che pure sono approvati dal Consiglio Regionale e quindi dall’assemblea legislativa, che possono adeguarsi nel tempo. Strumenti del genere non possono essere le leggi, che appunto ci mettono anni e anni a essere approvate.
Il secondo pensiero è che provo nostalgia, rabbia e struggimento rispetto all’esperienza del 2004. Ve la racconto per portare consapevolezza e condividere le poste in gioco. Cottafavi e molti altri lo hanno detto, deve esserci consapevolezza a livello politico. Definirei quello che è successo nel 2003 e 2004 “l’orgoglio regionale”. Nel 2003, dopo aver espresso tanti pareri sui decreti che cominciavano a essere anticostituzionali, abbiamo cominciato a dire: assumiamo un’iniziativa diretta, se pensiamo delle cose diciamole direttamente noi, come Regioni. A livello prima tecnico e poi politico, abbiamo definito un programma di lavoro con tre punti.

1. proposta di una legge nazionale,
2. Analisi delle leggi regionali con l’obiettivo di arrivare a una proposta di legge regionale tipo all’interno del coordinamento delle regioni,
3. costruzione di osservatori regionali capaci di dialogare con l’osservatorio nazionale.

Così partì il progetto Orma, e ringrazio l’onorevole Carbonaro per aver ripreso questi temi sui quali 18 anni fa andammo abbastanza avanti, compresa la proposta di legge nazionale, che rivista in alcune parti sarebbe ancora attuale. In questo modo spiazzammo il Governo e il Parlamento, dove giacevano da anni diversi disegni di legge dei vari gruppi parlamentari. La nostra proposta di legge nazionale, costruita con tanta fatica, grazie al contributo di costituzionalisti ed economisti, la facemmo in un anno, la sottoponemmo all’esame delle Regioni, la conferenza dei presidenti la approvò, la presentammo in un convegno a Bologna nel 2004 con parlamentari e rappresentanti delle categorie e costringemmo Governo e Parlamento ad assumere un’iniziativa che si concretizzò nella costituzione a livello di VII Commissione Cultura della Camera di un comitato ristretto presieduto dall’onorevole Rositani, con il compito di armonizzare all’interno di un testo unico i vari progetti di legge dei vari gruppi parlamentari. Arrivammo fino alla costruzione di un progetto di legge unitario a livello di VII Commissione, ci fu il confronto con il progetto delle Regioni. Arrivammo a un testo condiviso da tutti. Ma quella proposta fatta decadere, non venne presentata nell’agenda dei lavori delle Camere perché in concomitanza delle elezioni. Questa mole di lavoro e competenze è caduta ne nulla.
Oggi ci troviamo ancora qui a discutere di regolamenti che però “non hanno natura regolamentare”, di principi scritti e riscritti, di criteri… Sicuramente sono stati fatti alcuni passi avanti, che sono emersi anche nell’incontro di oggi, per esempio sul rappirto tra domanda e offerta eccetera.
La storia dello spettacolo è fatta di ripicche, di dispetti, di poteri, di gelosie. E anche di tante generosità ed eccellenze. Se non siamo tutti consapevoli che questo processo ci deve appartenere, se manca una visione politica, tutti i nostri sforzi rischiano di cadere un’altra volta nel nulla. Io non sono così ottimista sul Codice dello Spettacolo, ma questa volta la consapevolezza è più ampia, più diffusa. Forse dotandoci di un metodo più chiaro e di strumenti e dibattiti come quello di oggi, possiamo fare un passo in più.

Valter Malosti – Emilia-Romagna Teatro
Io sono passato da tutte le fasi. Sono stato prima artista indipendente, praticamente autodidatta. Poi ho fatto prima residenza in Piemonte, a Ivrea. Poi ho avuto una compagnia, Nel 2018 ho diretto un TRIC e ora dirigo un Teatro Nazionale. Insomma, ho un ampio ventaglio di esperienze.
Come ha detto la presidente Ghedini, sarebbe fondamentale uniformare le leggi regionali alla legge nazionale. In tutti questi anni ci siamo trovati a fare tre domande diverse a Comune, Regione e Stato. E’ insensato. Noi dirigiamo grandi istituzioni e abbiamo molte persone che lavorano per noi, ma pensate ai giovani che provano ad affacciarsi a questo mondo e si scontrano con queste leggi assurde e poi per lo Stato devi fare una cosa, per la Regione un’altra, per il Comune un’altra ancora.
Per me non bisognerebbe ripartire dalle leggi, ma da una ricognizione degli artisti, per capire che cosa propongono gli artisti oggi in Italia. Per capire che cosa esiste e da lì modulare la proposta. Credo che quella dell’Emilia-Romagna sia una legge splendida, che ha prodotto artisti meravigliosi: noi da giovani la invidiavamo. Ripartire da lì e adeguarla alle altre Regioni può essere un punto di partenza.
Le residenze sono quella cosa “extra”, molto interessante: nella nostra associazione di categoria (Platea) si dice che bisogna rivalutare il processo, ma il processo non vale nulla in termini numerici. Ma incvece è un po’ quello che accade nelle residenze. E’ molto importante il processo, ma naturalmente ci vuole anche il risultato.
Per quanto riguarda la formazione del pubblico, parte dalle proposte di qualità che si fanno dentro ai teatri, parte dalla scena: più cose interessanti e importanti si vedono, meglio è. Poi ci vuole anche il lavoro. Secondo me, e lo dico da artista, bisogna partire prima dalla scena e poi la scena dirama le sue funzioni. Non tutti hanno la stessa vocazione, non tutti gli artisti sono portati a fare le stesse cose, alcuni sono chiusi in una ricerca accademica, altri lavorano con il territorio in maniera eccezionale. Ovviamente è difficile trovare una sintesi, bisogna essere flessibili e trovare la ricchezza nelle differenze, senza uniformare.
Un altra nodo: l’arbitrarietà. Negli anni passati ho subito arbitrarietà soprattutto da parte della Regione, dove siamo esposti al cambio di funzionari. Le Commissioni ministeriali probabilmente dovrebbero essere fatte da persone pagate per il loro lavoro, che viaggiano per vedere le cose. Oggi giudicano gli artisti ma non li vedono, leggono i progetti. Magari ci sono persone capaci di scrivere progetti bellissimi, ma in scena sono negati. Ma noi facciamo spettacolo dal vivo.

Marcella Nonni – Ravenna Teatro/Teatro delle Albe
Ravenna Teatro è un Centro di produzione, e a differenza di Valter Malosti, io sono nata dentro e ho fondato il Teatro delle Albe: dopo quarant’anni e sono ancora lì, e siamo una cooperativa teatrale. Da una parte, è vero che il Teatro delle Albe ha avuto la fortuna di vivere in questa Regione e di coltivare assieme alle nuove generazioni l’arte del dialogo, il dialogo istituzionale e quello con gli enti. In questa Regione siamo profondamente diversi l’uno dall’altro, ma c’è sempre stata negli anni una pratica di dialogo nelle differenze molto interessante. E’ la ricchezza delle differenze: noi, come Centro di produzione, abbiamo sempre detto e continuiamo a dire e a praticare che si deve alimentare la concorrenza. Siamo stati probabilmente “colpevoli” di aver fecondato altri gruppi e di averli incentivato, dicendo loro di provare a dialogare con Comune, Regione, Stato.
Non è semplice. Me ne sono resa conto che nella mia pratica quotidiana in questi anni: quando sono andata a fare un’esperienza a Lamezia Terme, ho visto che il dialogo con la Regione Calabria era folle. Lì mi sono resa conto della difficoltà che si possono averein certi territori. Come Ravenna Teatro, in Emilia-Romagna siamo nati in una situazione “privilegiata”, e continuiamo ad alimentare questa fecondità anche se rischiamo di non essere più un Centro di produzione fra 3 o 4 anni.
Parto dalla nostra Regione non per essere regionalista. Il giurista Giuseppe Albenzio prima ci ha detto che l’Europa rischia di mettere in discussione una serie di elementi rispetto alle contribuzioni: quindi abbiamo anche l’Europa, oltre a Stato e Regioni …e quando Patrizia Ghedini dice di non essere ottimista, mi rendo conto che c’è questo iato tra le varie situazioni, e l’unica cosa da fare è rimboccarsi le maniche.
Quando Paolo Cantù parla di una griglia unitaria, mi sembra un obiettivo fondamentale. Le residenze – è vero – sono interessantissime, sono tutte parole che ci appartengono, anche il Centro di produzione ha l’obbligo di residenza e di sparigliare le carte e alimentare le nuove generazioni. Dall’altra parte le residenze muovono una materia economica bassissima: è questo che permette il dialogo tra Regioni, Stato ed Europa? La scarsità dei contributi? Ma è un disastro, come dice Valter Malosti, un artista alla guida di un Teatro Nazionale, e nemmeno i Teatri Nazionali sono eterni.
La responsabilità compete agli artisti. Come Centro di produzione, tutti i nostri progetti nascono dai percorsi artistici, il rapporto tra le culture, la non scuola… Anche gestire un teatro a Ravenna, anche andare a lavorare nei teatri nasceva da un’esigenza artistica. La griglia sarà frutto di un dialogo complicato, che però dobbiamo fare. Europa, Stato, Regioni e artisti che indicano delle strade: questa è la nostra forza. La ripartenza è questa.

Ruggero Sintoni – Accademia Perduta Romagna Teatri
Si è parlato del nuovo Codice dello Spettacolo e della Legge 13 dell’Emilia-Romagna. Io vorrei che il nuovo Codice dello Spettacolo fosse quello che è stata la Legge 13 prima per questa Regione e poi per tutte le altre Regioni che l’hanno utilizzata come spunto.
La Legge 13. All’epoca il presidente della Commissione era il sindaco di Rimini, quello che ha inventato la “notte rosa”, quanto di più lontano dal nostro mondo ci possa essere, Ma quella legge aveva in sé il concetto della griglia, voleva mettere a sistema le cose e consentire che imprese di eccellenza che non rientravano nella griglia ci potessero rientrare, proprio per la loro eccellenza. Questo deve fare la legge: non deve dire che devi fare gli Etruschi, deve dare la griglia semplice possibile per dare la possibilità di superarla qualora entrino in gioco altre componenti.
Nemmeno io sono ottimista sul nuovo Codice dello Spettacolo, anche per la confusione che regna sovrana in chi deve promuovere queste leggi. La proposta di legge della quale parlava Patrizia Ghedini era condivisa e condivisibile… e non è passata. Ma abbiamo bisogno di discutere per capire e far capire: perché c’è lo Stato, ci sono le Regioni, ma ci sono anche i Comuni. E rispetto a qualche anno fa, la politica è cambiata, è diventata più veloce. Questa Regione sembrava una Bulgaria Padana, gli equilibri ora cambiano velocemente anche nei Comuni. Dobbiamo proteggere il sistema dello spettacolo: il sistema degli artisti, non le imprese dello spettacolo. Perché le imprese dello spettacolo sono fatte dagli artisti, non dai manager. Abbiamo assolutamente bisogno di mettere al centro gli artisti, e i pubblici che sono persone e non sono tutti uguali. Se ci piace l’idea di un mondo dove siamo tutti più colorati, anche i pubblici devono essere rispettati nei loro diversi colori.
Ben vengano queste occasioni e ben venga che questo processo parta dall’Emilia-Romagna. Sono orgoglioso di vivere qui: non è un caso se questa Regione ha sei Centri di produzione, una quantità infinita di compagnie, un TRIC e un Teatro Nazionale.

Fabio Biondi
Vorrei aggiungere una considerazione che può avere una valenza politica per anche l’intervento successivo. Ho già detto che di per sé le residenze non risolveranno il problema del rapporto Stato-Regioni, ma accorciano le distanze e mettono in comunione delle differenze. Una delle intelligenze del patto Stato-Regioni è che le residenze sono riuscite a restutuire importanza alla provincia italiana, che da anni è la spina dorsale del nostro teatro.
La storia delle Regioni racconta differenze profonde e le residenze sanno reggere le differenze. Secondo me la storia del teatro italiano passa degli Appennini, dalla solitudine di alcuni Comuni e di alcune comunità che hanno voluto valorizzare il limite, il margine, la differenza. Questo aspetto è insito nelle residenze: è vero che sono piccole economie, ma in questo patto di alleanza tra Stato e Regioni le residenze sono economie dirette e di prossimità, vicine agli artisti: specialmente in periodo di Covid, noi siamo rimasti aperti a presidiare i territori e i teatri con economie che hanno fatto la differenza.

Patrizia Ghedini
Aggiungo una cosa sui circuiti, riguardo alle differenze e alle piccole medie realtà: la ricchezza del tessuto locale non è fatta solo del rapporto con i Comuni, ma anche dell’associazionismo e di queste reti fondamentali.
E non lasciatevi intrappolare dalla necessità di vedere riconosciuta la vostra necessità dentro alla legge, perché è una gabbia e non regge l’andamento del tempo.




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