Teatro e ricerca 2024 | Lettera sulla ricerca… della tenerezza

In dialogo con le nuove generazioni

Pubblicato il 20/02/2024 / di / ateatro n. 196 | teatro e ricerca 2024

Caro Raul,
sono giornate intense, giornate che mi riportano alle sollecitazioni mosse dal vostro incontro e dai vostri scritti. Ieri, guardando negli occhi alcuni nostri allievi (bambine e bambini), guardando la loro dedizione, la gioia nel voler arrivare prima nella nostra casa teatrale e starci a vivere le storie, a disegnarle, ad ascoltare i compagni. E poi ieri sera, nel teatrino più piccolo del mondo a dieci chilometri da Marsciano dove, pensa, Eugenio Barba e Julia Varley hanno fatto la prima di Ave Maria ma poi non l’hanno potuto dire perché, altre piazze, altri contesti più ufficiali l’avevano comprata, ieri sera abbiamo presentato una lettura teatralizzata di poesia e teatro.

Eugenio Barba e i Pulcinella di isola di Confine

Jacopo Quadri, Il paese dove gli alberi volano, 2015: Eugenio Barba e i Pulcinella di Isola di Confine

Oltre a riflettere su quanto Barba segua e ha sempre seguito il mercato, mi riempie di gioia e sono abitato da un mormorio di trascendenza, pensando a quei bambini e ragazzi che camminano con noi. Cosa facciamo con loro? Scaviamo nei testi e nei loro animi, loro ci restituiscono una freschezza che il teatro non prende in considerazione. L’avete scritto:

«Ci rivolgiamo anche alle nuove generazioni, non senza un certo impaccio, perché la mancata comunicazione con i più giovani è talmente cronicizzata, da risultarci tanto lampante quanto illeggibile – è bene sottolinearlo – persino in ambito teatrale, vicendevolmente, e per tutti e in tutti i sensi».

Fa male sapere che il teatro non prenda in considerazione tanta vita delle nuove generazioni, tanta sapienza in corpi danzanti, in voci fragili che se guidate rinascono in suoni e visioni. Fa davvero male essere relegati in un teatro per bambini che aspira a restituire del bambino (ma anche dei ragazzi/e) la sua luce. Perché come scrive Scabia (da cui sono andato senza sapere che fosse malato e si è lasciato intervistare e mi ha lasciato parole che volano nel mio percorso di sperimentatore e ricercatore):

«Quell’apparire unico, fondante, necessario, assoluto, luminoso – di fronte a cui il resto è ghirigoro, orpello, commento».
(Giuliano Scabia, Il bambino d’oro)

La nostra ricerca è unica, fondante, assoluta, luminosa, proprio come le generazioni che incontriamo e, in quei corpi, in quelle voci, in quei cori cerchiamo il punto-limite della performance che la Candiani canta in modo concreto:

«…tra tu universo e tu mondo
non c’è che il corpo, questa
minuscola mollica di pane,
questa fucina di passione
e quiete, sipario
delicato tra vuoto
e vuoto. Spiccati dall’universo,
sminuzzati dal mondo,
il corpo è terra madre
postura raccolta per il balzo.
Dunque, solo il corpo
è patria e dimora
di noi spiumati
e senza casa,
il corpo sa,
di muschio e nulla,
di essere immenso
di contenerlo sa».
(C.L. Candiani)

Valerio Apice, Pulcinellesco

Allora nella nostra bottega cerchiamo la poesia dei corpi, versi scritti da attori e attrici ingenui che inondano di passione il nostro cammino. In questa traiettoria stiamo scoprendo tanto, stiamo anche producendo tanto. Cosa produciamo? Spettacoli? Performance sperimentali? Letture teatralizzate? Testimonianze in forma scenica? Azioni collettive tra musica danza e teatro? Maschere d’attore-poeta? Forse sarebbe meglio che ci veniate a trovare nel nostro teatro-laboratorio a cui decisi di dare questo nome nel 2007 per continuare a dialogare con la Tradizione da cui sono partito ma, una volta tradito come giovane ingenuo e romantico, cerco di essere isola di confine tra questo “ossimoro” e continuare ad abitare questo luogo in modo umano e professionale per scrivere con le centinaia di allievi, alleati, amministratori, compratori, una pagina di tenerezza in un mondo teatrale che ancora non smette di farsi la guerra (mi è dispiaciuto l’accenno di Marco De Marinis a La terra di cenere e diamanti come testo che non è piaciuto ai grotowskiani e l’ha detto evitando di fare riferimento a quella “guerra” tra grotowskiani e barbiani. Quanta tristezza nel pensare che anche mia moglie Giulia non ha potuto pubblicare nessun articolo su Grotowski dopo la sua laurea specialistica scritta sul parateatro, perché quella “guerra” era in corso). Io preferiscono la guerra tra Don Chisciotte e i mulini e le pecore e montoni. Mentre ti scrivo mi avvio verso la nostra casa teatrale dove oggi cominciamo a lavorare su Don Chisciotte, un testo-mondo a cui ci siamo avvicinati nel 2012. Durante la pandemia il testo di Cervantes, con la traduzione di Vittorio Bodini, mi ha accompagnato e coccolato le mie paure.
Quando Marco Martinelli, nell’ottobre 2022, mi ha detto che avrebbe messo in scena quel testo, i nostri cammini umbri si sono incrociati con l’enclave, la compagnia, la non-scuola delle Albe. Martinelli ritornerà a Marsciano la prossima settimana e così gli anni, i testi, i maestri asinini, gli adolescenti bambini scrivono meglio di me le parole ricerca e sperimentazione e mi conducono verso quel confine che da più di 15 anni stiamo cercando di trasfigurare in atto che si fa maschera che diventa teatro che scrive una filastrocca che passa di bocca in bocca.
Un caro abbraccio
Valerio Apice
e tutta Isola di Confine
Marsciano, 17 febbraio 2024




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