Ai ragazzi gentili che cantano in coro quella musica arcaica e contemporanea
Un ricordo di Giovanna Marini
Giovanna Marini è una figura talmente ricca e complessa, che riassumere quello che ha significato per me l’esperienza musicale condivisa con lei e con il Coro della Scuola Popolare di Musica di Testaccio, soprattutto a poche ore dalla sua scomparsa, non è un’impresa da poco.
Non sono una etno-musicologa, non sono una musicista in senso stretto, anche se la musica e in particolare il canto l’ho sempre praticato, ma il mio vuole essere un ricordo personale e una testimonianza, un minuscolo frammento per raccontare il vastissimo mondo musicale di Giovanna Marini.
Per quasi quindici anni ho passato tutti i martedì pomeriggio al Corso di Estetica del Canto Contadino della Scuola Popolare di Musica di Testaccio. Di quegli anni ricordo, oltre alla lezioni, quella manciata di viaggi fatti insieme a Giovanna e al Coro, le domeniche nella sua casa di Monteporzio, con la bocca sempre aperta a cantare, a mangiare o ridere.
Chi era Giovanna? Era mille cose, ma fondamentalmente era una geniale compositrice.
Non sono mai stata una fan del popolare tout-court, riproposto oggi esattamente come allora.
Giovanna lo trasfigurava, lo trasmutava, lo armonizzava, ricavandone un suono che faceva ricongiungere l’arcaico con il contemporaneo in un nuovo rito di risignificazione per il palcoscenico.
C’era fortissimo nel suo canto il senso del rito, sacro e profano, mutuato dal mondo contadino, inteso come un agire preciso fatto di gesti, tempi, luoghi, eventi senza i quali il canto stesso non avrebbe avuto significato. Come il canto delle prefiche del Sud Italia, a cui Giovanna chiedeva di cantare e loro rispondevano che no, senza il morto davanti non si poteva.
Il canto come relazione indissolubile con il qui e ora, ma anche con il raccolto e le stagioni e con il tempo universale del dolore, condiviso nelle Passioni del Venerdì Santo.
Non è semplice da spiegare per me che non ho masticato abbastanza teoria musicale, ma una cosa mi è chiara: quanto fosse rivoluzionario il modo di cantare di Giovanna, che risultava a volte ostico, stridulo o addirittura insopportabile.
La rivoluzione di Giovanna che ho vissuto io non è quella strettamente politica ma estetica, sonora. Proponeva un ‘modo’ altro, un suono in cui la relazione tra passato e presente è circolare.
La portata rivoluzionaria di queste voci dimenticate, che volevano ri-spalancare le orecchie, non è sempre stata compresa dai musicisti, dagli operatori culturali o dalla gente comune.
La Francia l’ha capito, l’Italia molto meno, perché non ha sciolto ancora il dubbio se sia più contemporaneo fare uno spettacolo che ha il titolo inglese (per una pretesa di internazionalità – anche se va in scena solo a Frosinone), o recuperare suoni stridenti, desueti, arcaici per farli diventare meravigliose polifonie contemporanee.
Alcuni timpani però hanno percepito la rivoluzione che il genio compositivo di Giovanna ha ri-generato, hanno avvertito l’urto creato da questo insieme di voci, la cui misteriosa amalgama armonica fa emergere altre armoniche.
Cantare con Giovanna era un’esperienza di composizione estemporanea.
Se nel coro classico ci sono voci e parti stabilite, nel nostro ‘coro contadino’, data una melodia ci si poteva stratificare e cantare, senza che nessuno lo decidesse prima, le terze sotto e sopra, tenere una nota fissa o il basso all’ottava, in un atto insieme creativo e di godimento fisico, trasformandoci (chi più chi meno) in acrobati vocali. E non importa quanto fossimo intonati.
Quando andai per la prima volta a Testaccio, chiesi a Giovanna se dovevo fare un provino.
Mi sghignazzò in faccia dicendomi ‘Ma no cara, apri la bocca e canta’.
‘Cantare è meglio di scop….’, diceva Giovanna, dissacrante come sempre.
Perché dietro quell’immagine da nonnina d’altri tempi c’era una persona dall’ironia a volte feroce, dalla cultura musicale sconfinata e priva di barriere (uno dei suoi musicisti preferiti era Frank Zappa) e dalla formidabile capacità inventiva, che esprimeva non sono nella musica, ma nei racconti che facevano parte a pieno titolo delle sue performance.
I racconti racchiudono il suo rapporto quanto meno ‘creativo’ con il mondo: Giovanna non viveva la realtà, la inventava continuamente trasfigurando spunti autobiografici in parabole paradossali e divertentissime.
E poi c’è il teatro, che le musiche di Giovanna hanno nutrito e vivificato.
Non posso certo citare tutte le collaborazioni teatrali di Giovanna.
Voglio e posso solo ricordare le esperienze che ho vissuto personalmente, in primo luogo come Compagnia Umane Risorse, in cui insieme ad Antonella Talamonti (che dalla lezione di Giovanna ha tratto un personalissimo e straordinario percorso di compositrice), Katia Ippaso, Enrico Roccaforte, Nené Barini, Filippo Luna, Alessandra Roca e altri compagni di viaggio abbiamo ricercato un teatro che avesse il suo ‘fuoco centrale’ nella musica di tradizione orale.
Voglio poi ricordare gli operatori illuminati che ho incontrato, come Antonio Calbi, che con Giovanna ha pensato e realizzato progetti di ogni tipo, Giancarlo Cauteruccio che si è fatto coinvolgere nell’idea di portare a zonzo per tutti i luoghi archeologici della Calabria un coro di 40 elementi diretto da Giovanna Giovannini’al seguito di Giovanna, Claudia Di Giacomo e Roberta Scaglione di PAV che mi hanno permesso di portare Giovanna al Festival Summer Tales, il festival Artisti per Alcamo di Giuseppe Cutino, di cui rimane traccia nella cantata Dal punto di vista dei serpenti.
La mia è una testimonianza parziale, non tecnica, sgorgata di getto alla notizia della morte di Giovanna.
Ci sono state persone che molto più a lungo e molto più intensamente di me hanno condiviso con Giovanna la vita e la musica. Non li posso nominare tutti, ma mi sembra doveroso citare almeno quelli con cui ho collaborato: Antonella Talamonti, compagna d’avventure teatrali, Xavier Rebut, Germana Mastropasqua, Michele Manca, Flaviana Rossi del Quartetto Urbano, Patrizia Rotonda, con la quale con il laboratorio Vocalità nella Musica di Tradizione Orale ci muoviamo nello stesso mondo musicale di Giovanna, il Quartetto Vocale, e tutto il Coro Popolare della Scuola di Musica di Testaccio.
A loro, ‘ragazzi gentili’, va il mio abbraccio e le mie scuse per le inasattezze musicali e per le dimenticanze.
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