Il decreto #Valorecultura per il teatro riassunto e commentato al popolo dei teatranti

Il commento articolo per articolo

Pubblicato il 29/04/2014 / di and / ateatro n. 149

Scorrere punto per punto, commentare e confrontare con il passato lo schema del decreto Valore Cultura è il punto di partenza per cogliere criticità, potenzialità, possibili linee di azione. Le citazioni dal testo del decreto,

se sono lunghe sono rientrate e contrassegnate da un filetto verticale rosso,

mentre se sono brevi sono in rosso. In ogni caso l’articolato (provvisorio) del decreto è disponibile su ateatro.it.

SCHEMA DI DECRETO MINISTERIALE RECANTE “NUOVI CRITERI E MODALITA’ PER L’EROGAZIONE, L’ANTICIPAZIONE E LA LIQUIDAZIONE DEI CONTRIBUTI ALLO SPETTACOLO DAL VIVO, A VALERE SUL FONDO UNICO PER LO SPETTACOLO DI CUI ALLA LEGGE 30 APRILE 1985, N. 163”, AI SENSI DELL’ARTICOLO 1, COMMA 3, DELLA LEGGE 15 NOVEMBRE 2005, N. 239 E DELL’ARTICOLO 9, COMMA 1, DEL DECRETO LEGGE 8 AGOSTO 2013, N. 91, CONVERTITO CON MODIFICAZIONI DALLA LEGGE 7 OTTOBRE 2013, N. 112.

1. LE PREMESSE

IL MINISTRO DEI BENI E DELLE ATTIVITA’ CULTURALI E DEL TURISMO
Visto… visto… visto…

Le premesse non sono un dettaglio: lo schema dell’articolato tiene conto di un assetto e di un sistema di regole in vigore.
I riferimenti principali sono i seguenti:
# il decreto legislativo 368/98, “Istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali”;
# il decreto del Presidente della Repubblica 233/20, “Regolamento di riorganizzazione del Ministero”: dove si parla di organizzazione interna, ruoli e responsabilità, ma si prevede anche che con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti e si conferma l’azionariato del MIBAC su ARCUS spa;
# la legge 30 aprile 1985, n. 163, e successive modificazioni “Nuova disciplina degli interventi dello Stato a favore dello spettacolo” (la legge istitutiva del FUS): al principio sta il FUS (di seguito detto fondo), ma non bisogna dimenticare che non solo sul FUS ha operato in questi anni il Ministero (e – a fronte di risorse finanziarie inadeguate – monitorare il complesso delle risorse è importante);
# la legge 239/2005, “Disposizioni in materia di spettacolo”, che parla di erogazioni liberali: se in materia c’è molto da fare a detta di tutti (estendere/ semplificare le deduzioni fiscali, ma soprattutto sensibilizzare e inventare) qualcosa su questo terreno esiste;
# i decreti ministeriali dell’8 novembre 2007: ovvero quelli in vigore;
# la legge musica: la 800/67; questo commento non si sofferma sulla musica, ma vale la pena di ricordare che la “geografia” del settore resta nella sostanza quella disegnata da questo provvedimento (l’unico di lunga durata nel settore dello spettacolo);
# il Regio Decreto 773/31 “Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza” (con L’obbligo della licenza della autorità locale di pubblica sicurezza previsto per i pubblici trattenimenti, e la successiva regolamentazione delle disposizioni relative alla sicurezza): giusto per ricordarci che lo spettacolo va “autorizzato”;
# il decreto legislativo 3/1998, “Riordino degli organi collegiali operanti presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento dello spettacolo”, istituisce 
il Comitato per i problemi dello spettacolo. Il comitato prevede diverse sezioni con numero di componenti non inferiore a cinque e non superiore ad undici e Commissioni di esperti;
# sul tema torna il decreto del Presidente della Repubblica n.89/2007 (e successive modificazioni) “Regolamento per il riordino degli organismi operanti presso il Ministero per i beni e le attività culturali”, che istituisce la Consulta per lo spettacolo. I suoi compiti sono importanti, molto importanti in questa fase in cui si tratta di ridistribuire le risorse a un (rinnovato) sistema.

Gli organismi consultivi

La Consulta svolge funzioni di consulenza e verifica in ordine alla elaborazione ed attuazione delle politiche di settore ed in particolare con riferimento alla predisposizione di indirizzi e di criteri generali relativi alla destinazione delle risorse statali per il sostegno alle attività dello spettacolo (…), è divisa in cinque sezioni (…), è nominata con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, che la presiede, ed è composta da non più di sette componenti per ciascuna sezione (…). Ai lavori della Consulta partecipano i titolari degli uffici dirigenziali (…) a titolo di supporto tecnico, senza diritto di voto (…). Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali sono stabiliti il numero dei componenti di ciascuna sezione, le modalità di convocazione e funzionamento, nonché le modalità di designazione dei componenti da parte dei sindacati, delle associazioni di categoria maggiormente rappresentative e da parte della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

Il decreto inoltre conferma, all’art. 2, le quattro Commissioni Consultive competenti per ciascun settore dello Spettacolo dal vivo.


Queste Commissioni – nell’ambito delle competenze attribuite dalla norma istitutiva e dai regolamenti riguardanti i criteri e le modalità di erogazione dei contributi a favore delle diverse attività dello spettacolo – hanno funzione consultiva in ordine alla valutazione degli aspetti qualitativi dei progetti e delle iniziative afferenti alle richieste di contributo nei settori di rispettiva competenza. (…). I suoi componenti sono tre, nominati uno dal Ministro, uno dalla Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, e uno dalla Conferenza Stato-città ed autonomie locali. 
I membri sono scelti tra esperti altamente qualificati nelle materie di competenza di ciascuna delle Commissioni, mediante procedura pubblica, e durano in carica tre esercizi finanziari.
L’Amministrazione, nella persona del Direttore Generale o di un Dirigente delegato, assiste ai lavori delle Commissioni.

http://www.spettacolodalvivo.beniculturali.it/index.php/consulta-e-commissioni/115-commissioni-consultive-per-lo-spettacolo

# Il Decreto-legge 78/2010, “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, all’articolo 7, comma 20, ha soppresso l’ETI; come per gli altri enti soppressi, le attribuzioni esercitate sono trasferite alle amministrazioni corrispondentemente indicate.
# La legge 120/2011, “Modifiche al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria”, all’art. 1 parla di 
Equilibrio tra i generi negli organi delle società quotate;
# Il decreto legislativo 33/2013, “Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni” enuncia il Principio generale di trasparenza:

art. 1. La trasparenza è intesa come accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.

# La legge 71/2013, “Trasferimento di funzioni in materia di turismo”, prevede che

Al Ministero per i beni e le attività culturali sono trasferite le funzioni esercitate dalla Presidenza del Consiglio dei ministri in materia di turismo. Quindi cambia nome in MIBACT: Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. (Il collegamento spettacolo turismo è uno dei temi forti della legge Valore cultura, della bozza di decreto e un terreno delicato nei rapporti Stato/Regioni).

# Infine, all’origine dello schema, c’è l’articolo 9 del decreto legge 8 agosto 2013, n. 91, recante “Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo” (cioè la legge VALORE CULTURA), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, che prevede che, con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, siano rideterminati i criteri per l’erogazione e le modalità per la liquidazione e l’anticipazione dei contributi allo spettacolo dal vivo, acquisita l’intesa della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, nella seduta del ……………….
Solo a questo punto e con questa data l’iter del provvedimento potrà considerarsi concluso.

2. OBIETTIVI E STRATEGIE

CAPO I – DISPOSIZIONI GENERALI E COMUNI

Articolo 1 – Oggetto del decreto

L’oggetto del decreto è:

nuovi criteri per l’erogazione e nuove modalità per l’anticipazione e la liquidazione dei contributi.

Competente per l’assegnazione è il MIBACT tramite la Direzione generale. I contributi saranno concessi (e sempre solo in quota parte dei costi ammissibili), per progetti triennali, corredati di programmi per ciascuna annualità, di attività musicali, teatrali, di danza, circensi in base agli stanziamenti del Fondo. L’Amministrazione, inoltre, concede annualmente contributi per tournée all’estero.

Il principio della “triennalità” è alla base del decreto. Vale la pena di ricordare che non è una novità: la programmazione triennale era stata introdotta nel regolamento del ’99 per essere azzerata nella regolamentazione successiva. Fino a poco tempo fa il Direttore Nastasi – in linea col suo predecessore Rocca – aveva ritenuto che nel principio e nella sostanza non potesse concretamente essere applicato nel sistema teatrale italiano.
Si prevedono inoltre contributi per acquisti di attrezzature e beni strumentali, per danni conseguenti ad evento fortuito, e interventi a sostegno del sistema delle residenze, nonché per le azioni di sistema.
Per progetto si intende l’insieme delle attività che rispondono agli obiettivi generali, ai minimi e alle specifiche condizioni richieste.
Infine,

Con decreto del Direttore generale sentite le sezioni competenti della Consulta per lo spettacolo (…) da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto e rivedibile allo scadere di ogni triennio, sono stabiliti la tipologia, le condizioni e gli eventuali limiti percentuali di ammissibilità dei costi.

Articolo 2 – Obiettivi strategici del sostegno allo spettacolo dal vivo

Le attività considerate sono quelle a carattere professionale relative alla produzione, programmazione e promozione.

Gli obiettivi strategici:

a) concorrere allo sviluppo del sistema, favorendo la qualità dell’offerta, anche a carattere multidisciplinare, e la pluralità delle espressioni artistiche, i progetti e i processi di lavoro a carattere innovativo, la qualificazione delle competenze artistiche, l’interazione tra lo spettacolo dal vivo e l’intera filiera culturale, educativa e del turismo;
b) promuovere l’accesso, sostenendo progetti di rilevanza nazionale che mirino alla crescita di una domanda qualificata, ampia e differenziata e prestando attenzione alle fasce di pubblico con minori opportunità;
c) favorire il ricambio generazionale, valorizzando il potenziale creativo dei nuovi talenti;
d) creare i presupposti per un riequilibrio territoriale dell’offerta e della domanda;
e) sostenere la diffusione dello spettacolo italiano all’estero e i processi di internazionalizzazione (…)
f) valorizzare la capacità dei soggetti di reperire autonomamente ed incrementare risorse diverse e ulteriori rispetto al contributo statale, di elaborare strategie di comunicazione innovative (…). g)sostenere la capacità di operare in rete tra soggetti e strutture del sistema artistico e culturale.

Non si colgono in questo elenco di obiettivi sostanziali novità: le parole chiave sono le stesse del decreto del 2007 (domanda, offerta, ricambio, innovazione, qualificazione, accesso, riequilibrio, multidisciplinarità… sono ormai un mantra ventennale), ma ci sono più precise indicazioni “imprenditoriali”: interazione con la “filiera”, la rete, le strategie innovative, il reperimento delle risorse.

Articolo 3 – Presentazione della domanda di progetto triennale e dei programmi annuali.

La domanda (su modelli predisposti on line etc) dovrà prevedere

un progetto artistico triennale e un programma annuale contenente, per l’anno di riferimento, i dati e gli elementi relativi alla qualità artistica, alla qualità indicizzata e alla dimensione quantitativa del progetto, nonché relativo bilancio preventivo (…) L’adempimento di cui alla presente lettera dev’essere reiterato nei due successivi anni del triennio.

Si chiede l’impegno al raggiungimento dei minimi e il rispetto delle altre condizioni previste, l’osservanza dei contratti collettivi nazionali di lavoro e la regolarità contributiva, l’indicazione della regione in cui il soggetto svolge l’attività prevalente. Il programma annuale è presentato entro il termine perentorio del 31 gennaio di ogni annualità del triennio.
In sintesi, il 31 gennaio 2015 si presenteranno sia il progetto triennale 2015/16/17 sia il programma annuale 2015.

Gli ambiti sono:

a) àmbito teatro, suddiviso nei seguenti settori: 1) teatri nazionali; 2) teatri di rilevante interesse culturale; 3) imprese di produzione teatrale; 4) centri di produzione teatrale; 5) circuiti regionali; 6) organismi di programmazione; 7) festival;
b) àmbito musica, suddiviso nei seguenti settori: 1) teatri di tradizione; 2) istituzioni concertistico-orchestrali; 3) attività liriche ordinarie; 4) complessi strumentali e complessi strumentali giovanili; 5) circuiti regionali; 6) programmazione di attività concertistiche e corali; 7) festival;
c) àmbito danza, suddiviso nei seguenti settori: 1) organismi di produzione della danza; 2) centri di produzione della danza; 3) circuiti regionali; 4) organismi di programmazione; 5) festival e rassegne;
d) àmbito circhi e spettacolo viaggiante, suddiviso nei seguenti settori: 1) attività circensi e di circo contemporaneo; 2) festival circensi; 3) acquisti di nuove attrazioni, impianti, macchinari attrezzature e beni strumentali; 4) danni conseguenti ad evento fortuito; 5) strutturazione di aree attrezzate per l’esercizio di attività circense;
e) àmbito progetti multidisciplinari, suddiviso nei seguenti settori: 1) circuiti regionali multidisciplinari; 2) organismi di programmazione multidisciplinari; 3) festival multidisciplinari;
f) àmbito azioni trasversali, suddiviso nei seguenti settori: 1) promozione; 2) tournée all’estero.

Come per il passato, ogni soggetto richiedente può presentare una sola domanda. Con qualche interessante eccezione: nell’àmbito teatro, i settori teatri nazionali e teatri di rilevante interesse culturale e per la musica i Teatri di Tradizione possono promuovere festival e rassegne di danza. Azioni trasversali, sono inoltre previste nel settore tournée all’estero.
Come per il passato, sono prese in considerazione esclusivamente le rappresentazioni alle quali chiunque può accedere con l’acquisto di titolo di ingresso, con eccezioni per il teatro di figura e il teatro di strada e qualche altra interessante eccezione: manifestazioni svolte nei luoghi di culto e nei luoghi di rilevante interesse storico-artistico, negli edifici scolastici (al massimo per i 10’%), rappresentazioni ad ingresso gratuito sostenute da regioni o enti locali.

Articolo 4 – Suddivisione delle domande in sotto-insiemi omogenei e ripartizione generale delle risorse del FUS.

(Dove si comincia a rimpiangere di aver trascurato la matematica).

Ai fini della valutazione comparativa dei progetti si prevedono tre sotto insiemi, determinati e composti secondo i parametri e le modalità e in base alla formula matematica di cui all’Allegato A. E il Direttore Generale (sentite Commissioni consultive e Conferenza unificata), stabilisce, in armonia con l’entità numerica e finanziaria delle domande complessivamente presentate, la quota delle risorse da assegnare a ciascuno dei settori. In caso subentri una consistenza inferiore del fondo, opererà variazioni in diminuzione, mediante applicazione di una identica percentuale; in caso di consistenza superiore, può adottare bandi annuali, indirizzati però all’attività all’estero e direttamente gestita dal Ministro (per quanto sentendo il parere delle Commissioni).
Ovvero: se sopravvengono risorse FUS aggiuntive (o in caso di rinunce) non si mettono in circolo ma vanno all’area progetti speciali, quindi non attività ordinaria, ma straordinaria, non regolamentata, ma decisa caso per caso. Dire che nei decenni i progetti speciali non sono stati propriamente trasparenti rasenta l’ovvietà. Inevitabile chiedersi se questa scelta sia corretta in rapporto alle difficoltà del momento e alle funzioni del Ministero.

Articolo 5 – Sistema di valutazione della domanda, determinazione e attribuzione del contributo.

E’ il cardine del nuovo sistema. La sequenza di circolari, decreti e regolamenti che si sono succeduti (prima e dopo il FUS) aveva cercato di trovare una quadratura del cerchio fra elementi obiettivi (quantitativi o misurabili) e opinabili (ma rilevanti in una materia culturale), ovvero tra “quantità” e “qualità”.
Lo sforzo (che ha impegnato per decenni le menti migliori del Ministero) ha visto il suo punto d’arrivo (e il massimo della perversione) nel 2003, con la conferma nel Decreto ministeriale del 2007 (tuttora in vigore). Applica ai criteri quantitativi (ai fini della valutazione operata dalla Commissione) il principio della moltiplicazione: Una valutazione qualitativa positiva conferma o aumenta fino a tre volte ovvero diminuisce l’ammontare della base quantitativa (DM 12/11/2007). Al di là di ogni valutazione sugli effettivi strumenti di cui disponeva (dispone) la Commissione per fare le valutazioni del caso, la sensazione (che è quasi una certezza) è che in passato i punteggi qualitativi venissero definiti a contributo già deliberato (più sulla base del principio di continuità che altro).
Oggi il MiBACT ritiene che il sistema teatrale italiano, governato finora da questo criterio “storico-moltiplicativo”, sia ingessato, irrigidito e dissanguato da ingiustificate rendite di posizione. Cerca dunque un sistema per distribuire meglio le risorse. Concentrare la riflessione sul metodo è importante, ed è certamente necessario distribuire meglio le risorse. Ma è sufficiente? E’ davvero possibile una riforma senza risorse?

Il sistema di valutazione è articolato su tre dimensioni o livelli:

a) qualità artistica, fino ad un massimo di punti trenta, attribuiti dalle Commissioni consultive;
b) qualità indicizzata, fino a un massimo di punti trenta, attribuiti dall’Amministrazione in maniera automatica;
c) dimensione quantitativa, fino ad un massimo di punti quaranta, attribuiti dall’Amministrazione in maniera automatica.

L’allegato B ricapitola i criteri qualitativi e il punteggio massimo attribuibile, definiti per decreto dal Direttore Generale e assegnati sentita la Commissione medesima. Se il punteggio è inferiore a 10 punti, la domanda è respinta a meno che la qualità indicizzata non ottenga il punteggio massimo. L’Allegato C (qualità indicizzata) è determinato con logica di proporzionalità ed adeguatezza mediante la metodologia di tipo comparativo. L’allegato D invece (quello “quantitativo”), è stabilito, con decreto triennale del Direttore generale, sentita la sezione della Consulta competente in materia.
Ma come funziona? Una volta acquisiti dalle Commissioni consultive competenti per materia i punteggi relativi alla qualità artistica, l’Amministrazione attribuisce a ciascun progetto il punteggio complessivo derivante dalla somma delle quote di punteggio di cui ai commi 2, 3 e 4 del presente articolo, definendo, per ogni settore o relativi sotto-insiemi, ove esistenti, la relativa graduatoria (con meno di 30 punti si è esclusi).
E il rapporto fra triennio e singole annualità? Il punteggio relativo alla qualità è attribuito per la prima annualità con riferimento al progetto triennale e al programma annuale. Lo stesso punteggio, in caso di positiva valutazione di coerenza tra i programmi annuali e il progetto triennale, viene preso in considerazione ai fini delle due annualità successive. Qualità indicizzata e quantità invece sono attribuiti con riferimento ai programmi di ciascuna annualità e valgono per la singola annualità di assegnazione del contributo finanziario.
Obiettivi di effettivo sviluppo, un sano realismo (regole, non vessazioni) e fiducia nelle Commissioni dovrebbero suggerire rapporti flessibili, che non sembra per ora di leggere nel rapporto progetto triennale/programma annuale. Più avanti, sempre a proposito della qualità artistica del progetto, si precisa che viene riconsiderata, per il secondo e terzo anno del triennio, sulla base di una valutazione di coerenza tra il programma annuale presentato dal soggetto richiedente ed il progetto triennale. Non è dunque escluso il rigetto della domanda per carenza della qualità artistica.
La determinazione del contributo annuale deriva quindi: dalle risorse complessivamente attribuite al settore o al singolo sotto-insieme, dal valore del punteggio che a sua volta dipende dalla somma totale dei punteggi ottenuti e dalle domande ammesse al contributo (si moltiplica il valore finanziario del punto per il numero dei punti attribuiti al singolo progetto).
A questo punto un lampo di pietà nel legislatore introduce un paracadute: per il solo anno 2015, per chi già sia stato finanziato, il contributo sarà pari almeno al 60% del 2014.
Si parla molto di rapporto pubblico privato, sia nel decreto ministeriale sia nelle dichiarazioni del ministro Franceschini. Si chiede il “rischio di impresa”, si impone una logica di programmazione triennale, ma poi si aggancia e si irrigidisce la gestione progettuale ed economica ai singoli anni del triennio. Il principio in base al quale si chiede che non via sia scopo di lucro (sancito dalla legge e dalle disposizioni che regolano le sovvenzioni pubbliche) non deve e non può essere interpretato come divieto di realizzare “avanzi di gestione” (utili). I bilanci delle aziende registrano sempre l’andamento economico di determinati periodi di attività: ciascun periodo (anno solare o stagione che sia) produce un risultato economico: è evidente che una sana gestione può far fronte alle perdite di taluni esercizi con gli utili di altri (questo ci sembra un punto da approfondire e chiarire).
L’ammontare del contributo annuale (con esclusione delle tournée all’estero) non può essere superiore al 60% dei costi ammissibili; nel caso risulti superiore, verrà ridotto automaticamente. Nell’àmbito delle soglie e dei massimali di spesa definiti triennalmente, la Commissione consultiva competente per materia definisce ogni anno, per ogni settore, sulla base del numero delle domande pervenute, delle entità delle stesse e dei fondi disponibili, la percentuale massima di contributi assegnabili, in relazione ai costi ammissibili: i particolari delle regole del gioco si conoscono a partita avviata.
Infine (e come sempre) L’Amministrazione, sentita la Commissione può attribuire il contributo a titolo diverso da quello richiesto. Probabilmente questa eventualità potrebbe riguardare numerose collocazioni nelle aree dei teatri nazionali e di rilevante interesse culturale e dei centri, anche considerando che il direttore Nastasi ha in più occasioni indicato limiti al numero dei Teatri Nazionali che non sono esplicitati nel decreto.

Articolo 6 – Erogazione del contributo.

Anticipazioni: sono previste nella misura massima dell’80% se è stata presentata regolarmente la documentazione relativa all’ultimo sostegno finanziario. Per le prime istanze, la misura massima dell’anticipazione è il 50%, il 60% per il secondo e terzo anno.
Ma i ritardi del 2015 sono evidentemente dati per inevitabili: per il primo anno, per i soggetti che abbiano ottenuto l’intervento statale da almeno tre anni e che abbiano regolarmente documentato l’attività, si prevede un’anticipazione sui contributi ancora da assegnare fino ad un massimo del 60% dell’ultimo contributo ottenuto.
Per il saldo: relazione consuntiva, bilancio di progetto, relazione artistica dettagliata, dichiarazione relativa ai requisiti minimi, indicatori della dimensione quantitativa e della qualità indicizzata, dichiarazione di avvenuto pagamento dei costi di progetto ammissibili. Relazioni e elementi informativi entro e non oltre il 31 gennaio dell’anno successivo a quello di effettuazione dell’attività (tempi molto stretti, dunque); per eventuale bilancio civilistico, 31 maggio.

Articolo 7 – Verifiche e controlli.

Fermo restando che l’Amministrazione può procedere a verifiche amministrativo-contabili, anche a campione, è prevista un’attività di monitoraggio.
Per la valutazione qualitativa: in sede di presentazione della relazione consuntiva relativa al primo anno del triennio, nel caso si riscontrino differenze significative nel programma artistico svolto, la Commissione esamina le variazioni per il riesame del punteggio da attribuire alla qualità artistica, con conseguente decurtazione percentuale del contributo (senza escludere, in caso di significativi ribassi, l’eventuale revoca).
Per la qualità indicizzata, l’importo del contributo è proporzionalmente ridotto quando si registra un decremento superiore al 25% rispetto a quella valutata in sede di assegnazione (il riferimento è alla formula matematica contenuta nell’Allegato C). Le variazioni positive invece sono parificate a zero.
Per la dimensione quantitativa, è “ammesso” un decremento in misura non inferiore al dieci per cento (il contributo è ridotto proporzionalmente se il calo è maggiore). Le variazioni positive sono parificate a zero.
E nel merito del progetto? La variazione sostanziale di elementi artistici presenti nel progetto triennale o nei relativi programmi annuali va previamente comunicata e motivata all’Amministrazione, che provvede a sottoporle alla Commissione competente ai fini della conferma o della variazione del contributo, ivi compresa la revoca. (Era già così, almeno in teoria).
E se si genera un deficit maggiore? Qualora il bilancio di progetto a consuntivo presenti un deficit superiore rispetto al contributo assegnato, il soggetto richiedente deve comunicare le modalità con cui intende ripianare la differenza fra il predetto deficit ed il contributo statale annuale concesso.
E il monitoraggio, quello vero?

Per ciascun triennio, l’Amministrazione svolge attività di misurazione, monitoraggio e valutazione dell’efficacia e dell’efficienza dei progetti sostenuti, anche al fine di acquisire e fornire alle Commissioni consultive competenti per materia informazioni utili alla valutazione dei progetti, di cui all’articolo 5, comma 1 del presente decreto, per il triennio successivo. Con decreto del Direttore generale possono essere determinate modalità e criteri per l’applicazione di quanto previsto nel periodo precedente.

Non solo il buon senso e la difficoltà dei tempi, ma anche il valore della pianificazione e la flessibilità necessaria nei progetti artistici suggerirebbero un’impostazione assai diversa della gestione del triennio: non sarebbe difficile metterla in atto sul piano burocratico senza essere “permissivi”, introducendo la facoltà di compensare progetti ed esiti quantitativi nell’arco degli anni e forme di compensazione e recuperi eventuali sul terzo.

Articolo 8. Decadenza, revoca e rinuncia.

Sono ampiamente previste, con provvedimento del Direttore generale e con recupero delle somme eventualmente versate: qualora la documentazione sia incompleta, sia accertato il mancato rispetto a consuntivo dei requisiti minimi e delle altre condizioni. E la decadenza e la revoca hanno efficacia anche in relazione alle annualità eventualmente restanti. Naturalmente la rinuncia al contributo annuale assegnato comporta la restituzione da parte del soggetto interessato di quanto già ricevuto.
Sappiamo che sono stati numerosi negli anni i contributi assegnati e non erogabili per problemi subentrati nello svolgimento dell’attività (forse per assegnazioni iniziali incaute). Il carattere sperimentale del primo triennio richiederebbe però uno spirito di ricerca (la scelta di osservare e studiare l’andamento del settore e gli effetti della “riforma”) e “di servizio”, se non “di accompagnamento” rispetto alle incognite: per esempio uno “sportello” per favorire assestamenti prima dei fallimenti annunciati.

3.IL TEATRO E LA NUOVA STABILITA’.

Capo II – Sostegno alle attività teatrali
Titolo I – Disposizioni generali

Articolo 9 – Requisiti di ammissibilità.

Prima di entrare nel merito dei nuovi assetti, il decreto sente la necessità di fornire definizioni (necessarie) ma anche di dettare prescrizioni rilevanti tanto sul piano della progettualità che della gestione. Rispetto al mercato, circolari e decreti hanno sempre rispecchiato la scarsa fiducia statale nella capacità del settore di autoregolamentarsi, Da qui la scelta di evitare qualche eccesso. Se le indicazioni siano state negli anni legittime – e ne siano stati studiati gli effetti – sarebbe un interessante tema di discussione. Ma sono molte (ci sono sempre state) le prescrizioni che invadono il terreno della libertà artistica e imprenditoriale, spesso senza che siano chiari gli obiettivi e con discutibile efficacia. Questo articolo in sintesi ristabilisce una relazione scorretta fra lo Stato e l’operatore (privato), in una logica che confonde requisiti e progettualità.

Le attività teatrali considerate sono quelle relative alla produzione, in Italia ed all’estero, e alla programmazione.
Sono prese in considerazione le recite per le quali sia corrisposto un compenso a percentuale o fisso al massimo di dodicimila euro (a salire per ospitalità internazionali). Il principio è corretto? Probabilmente si. Ma questo limite è utile? Di solito la calmierazione tende a far scattare i prezzi verso l’alto. E purtroppo non disponiamo di uno studio sul rapporto spettacolo/cachet/distribuzione.
Per coproduzioni si intendono gli spettacoli che prevedono apporti artistici, tecnici, organizzativi e finanziari dei soggetti partecipanti, anche di Paesi UE, motivati da un’adeguata relazione dei rispettivi direttori artistici. Come per il passato, ma con alcune avvertenze: per esempio, sono riconosciute le coproduzioni effettuate fra non più di due organismi. Forse negli ultimi anni il teatro italiano ha esagerato con le coproduzioni, ma c’è un motivo sensato per escludere che spettacoli importanti, impegnativi o semplicemente spettacoli complessi, magari nati dalle invocatissime reti, possano coinvolgere motivatamente più coproduttori? Non ci si può “fidare” della valutazione della Commissione? L’interferenza era inevitabile?
La tendenza a invadere il terreno del progetto artistico e l’autoregolazione del mercato torna in una prescrizione “storica”: varranno infatti unicamente le recite che prevedano l’impiego di un minimo di sei elementi tra artisti e tecnici (quattro per sperimentazione e teatro per l’infanzia e la gioventù). Nel teatro italiano si è ecceduto in monologhi? Forse. Ma questa norma li ha davvero frenati? E che dire dei “monologhi con 5 tecnici”, non propriamente economici? Monologhi e piccoli spettacoli possono essere parte costitutiva di una ricerca artistica, e lo spettacoli piccolo a volte compensa e consente di produrre quello più impegnativo. L’innalzamento del numero delle giornate lavorative previsto per tutte le categorie del decreto va già nella direzione della tutela del lavoro ed è già un deterrente agli eccessi.

Titolo II – Produzione
Sezione I – Teatri nazionali e teatri di rilevante interesse culturale

Si arriva finalmente alla nuova definizione del sistema, a cominciare dall’area della stabilità. Come la discussione dei mesi scorsi ha anticipato, la stabilità viene strutturata in due aree, molto diverse fra loro per dimensione, mentre sono più sfumate le differenze di funzione: i teatri nazionali e (ultima definizione) i teatri di rilevante interesse culturale (d’ora in avanti TRIC).
La nuova articolazione elimina nei fatti la distinzione tra pubblico e privato (una scelta strisciante da anni e prevedibile, che tuttavia meriterebbe di essere approfondita) e riconduce la specificità comune alle due aree alla funzione, misurandola soprattutto attraverso due parametri: la “dimensione” e la partecipazione economica degli enti territoriali.

Articolo 10 – Teatri nazionali.

La definizione: sono organismi che svolgano attività teatrale di notevole prestigio nazionale e internazionale e che si connotino per la loro tradizione e storicità.
Requisiti quantitativi: un minimo di 240 giornate recitative di produzione e di 15.000 giornate lavorative (per i Teatri stabili pubblici erano 5.000 e 120, si sta quindi moltiplicando per 2 e per 3 la dimensione storica dello stabile); non sottovalutiamo questi numeri, si prefigurano grandi aziende (quante non è dato sapere – Nastasi dice 4 o 5 o 6 – ma c’è chi si dissanguerà per entrare in serie A, almeno fino a che sembrerà la serie A).
Un’altra condizione riguarda il co-finanziamento: con l’impegno di enti territoriali o altri enti pubblici a concedere contributi per una somma complessivamente pari al cento per cento del contributo statale, e tali da garantire la copertura delle spese di gestione delle sale (era già così ma con la richiesta esplicita che Comune, Regione e Provincia fossero soci fondatori: questo faceva di quegli stabili teatri “pubblici” e responsabilizzava gli enti ben oltre l’aspetto economico.).
Altro requisito, la grandezza delle sale: gestione diretta in esclusiva di una o più sale, nella regione in cui ha sede legale, per un totale di almeno 1.000 posti, con una sala di almeno 500 posti (era prevista una sala da 500).
Infine, l’organico artistico e tecnico: almeno il cinquanta per cento del personale artistico deve coincidere con quello dell’annualità precedente; almeno il cinquanta per cento del personale amministrativo e tecnico risulti assunto con contratto a tempo indeterminato. (Sono le condizioni necessarie e sufficienti per creare effettive compagnie stabili? Non è la percentuale degli attori ma sono i progetti a fare le compagnie, ma la norma di certo rafforza – anche se in parte già c’era – un pre-requisito al rilancio della compagnia come nucleo produttivo necessario).
Indicazioni di progetto (artistiche): ogni anno vengano prodotti almeno due spettacoli di autori viventi, di cui almeno uno di nazionalità italiana. Ci risiamo: non era sufficiente qui affidarsi alla coerenza del progetto anzichè ricorrere al protezionismo? Si richiede inoltre che ogni anno vengano prodotti o ospitati un minimo di due spettacoli di ricerca (ma chi definisce che cosa è ricerca?). Prescrizioni inutili, perché già molti stabili fanno di più, e dunque inefficaci per spingerli a fare meglio.
Rapporto con il territorio-pubblico di riferimento: almeno il 70% delle giornate recitative degli spettacoli prodotti vengano rappresentate nei teatri gestiti direttamente in esclusiva; almeno la metà di tali giornate recitative devono essere rappresentate nelle sale situate nel comune; al massimo il 20% delle giornate recitative in sede può essere costituito da matinée per le scuole (una definizione ambigua, anche sul piano puramente linguistico). E ancora: non più del 20% del totale delle giornate recitative prodotte sia rappresentato al di fuori della regione di appartenenza. Se l’obiettivo è una stanzialità estrema (ma senza fare i furbetti con la risorsa scuole!), la conseguenza sul mercato sarà la pesante erosione di spazi di ospitalità qualificata, con conseguenze economiche sull’insieme del teatro. L’obiettivo evidente di liberare il mercato dalla presenza ingombrante degli stabili rischia di avere ricadute pesanti su tutti i settori.
Si sceglie inoltre (come per i TRIC e per i centri) di non introdurre il principio del bacino di utenza, del territorio che un teatro serve, delle politiche diverse che richiede, degli effettivi obiettivi che può porsi (in rapporto a quanto indicato all’art.1). Introdurre minimi differenziati sarebbe stato semplicemente logico.
Le recite in coproduzione non dovranno superare il 20% delle recite programmate e siano effettuate solo con altri teatri nazionali e teatri di rilevante interesse culturale (con esclusione di soggetti internazionali). Perché? C’è qualcuno da “punire”? Perché imporre di giocare fra simili ed escludere combinazioni diverse? Perché limitare la libertà progettuale? Perché – a fronte dei numeri così elevati richiesti – non andare a vedere i progetti? Non mancherà la fantasia per articolare nuove forme di collaborazione, contratti di residenza, percorsi di ricerca e formazione etc. Ma perché complicarsi la vita con questo vincolo? Speriamo davvero che i grandi sappiano opporsi a questa tendenza a interferire sulla loro progettualità, anche per il futuro dei gruppi giovani che potrebbero in un futuro sostenere in modo regolare e sistematico.
Infine, un teatro nazionale dev’essere dotato di una scuola di teatro e di perfezionamento professionale. Varrebbe la pena di riflettere su quel “e” (che potrebbe essere “o”?), di quello che già c’è, delle competenze regionali, di quelle universitarie etc.

Articolo 11 – Teatri di rilevante interesse culturale.

In quest’area potenzialmente si ritroveranno alcuni ex teatri stabili sia pubblici sia privati e alcuni ex teatri stabili di innovazione, le cui caratteristiche culturali e dimensionali e funzioni erano molto diverse.
La definizione: i TRIC sono organismi che svolgano attività di produzione teatrale di rilevante interesse culturale prevalentemente nell’àmbito della regione di appartenenza.
Requisiti quantitativi: anche in questo caso schizzano in alto, 160 giornate recitative di produzione e di 6000 giornate lavorative (5.000 e 130 per l’unico Teatro di Confine, lo Sloveno). Per gli stabili pubblici erano 5.000 e 120, per i privati 4.500 e 120, e per quelli di innovazione 4.000 e 100; una o più sale, nella regione in cui ha sede legale, per un totale di almeno 400 posti, con una sala di almeno 200 posti. Finora si richiedevano almeno una sala con 500 per gli stabili pubblici e privati e 200 per quelli di innovazione: l’asticella si alza quindi moltissimo per l’area ”ex” innovazione, prefigurando una più forte selezione e problemi di accesso al nuovo sistema.
Impegno economico di enti territoriali o altri enti pubblici (attenzione e come sopra: non necessariamente soci): si devono impegnare a concedere contributi per una somma complessivamente pari al cinquanta per cento del contributo statale: se per gli stabili pubblici la norma era prevista (con la parità contributi locali/ contributi ministeriali), non era così per gli altri. Questa prescrizione dà particolare rilievo ai rapporti territoriali ed è forse quella che determinerà i principali sconvolgimenti: molti stabili privati e di innovazione, anche fra i più importanti (e che ricevono contributi consistenti), non hanno attualmente apporti di questo livello dagli enti pubblici, le finanze locali sono disastrate e la scelta eventuale (e non facile) di dirottare sui TRIS risorse ora destinate ad altro potrebbe impoverire il complesso dei sistemi, drenando risorse destinate a organizzazioni indipendenti o giovani, ai festival, alle attività estive etc.
Organico artistico e tecnico: è necessario che almeno il cinquanta per cento del personale artistico coincida con quello dell’annualità precedente; almeno il trenta per cento del personale amministrativo e tecnico risulti assunto con contratto a tempo indeterminato o determinato. Su questo punto rinnoviamo l’auspicio che nasca una nuova era (generazione) di compagnie stabili. Ma risulta incomprensibile l’allegato quantitativo D, che – con lo scopo evidente di rendere arduo il raggiungimento dei minimi – considera ammissibile solo il personale di produzione, ex Enpals gruppo A. Basterebbe spostare lo sguardo dall’ansia di selezione alla realtà, per ricordarsi quanto siano rilevanti le nuove professionalità – anche con nuove forme contrattuali – per il rinnovamento e lo sviluppo dei teatri.
Indicazioni di progetto (artistiche): ogni anno venga prodotto almeno uno spettacolo di autore vivente; ogni anno vengo prodotto o ospitato uno spettacolo di ricerca. Ma già molti stabili fanno molto di più, ed esiste la valutazione qualitativa. Perché interferire? Perché non limitarsi a raccomandare ai progetti attenzione alla contemporaneità (drammaturgia, uffici di drammaturgia…).
Rapporto con il territorio-pubblico di riferimento. Anche per quest’area, l’obiettivo è la stanzialità, anche se meno esasperata che per i Teatri Nazionali: almeno il quaranta per cento delle giornate recitative dovrà essere rappresentato nei teatri gestiti e al massimo il venti per cento di tali giornate recitative può essere costituito da matinée per le scuole. Non più del quaranta per cento del totale delle giornate recitative potrà essere rappresentato al di fuori della regione di appartenenza.
Più blandi, ma decisi, anche i limiti alla coproduzione, che non dovrà superare il quaranta per cento delle recite programmate (ma non si prescrive almeno che realizzino solo fra stabili).

Articolo 12 – Disposizioni comuni ai teatri nazionali e di rilevante interesse culturale.

Ai teatri nazionali si chiede che la durata minima degli organi statutari non sia inferiore a tre anni e superiore a cinque, e gli stessi possono essere confermati per non più di una volta.
La norma vale anche per l’incarico e la conferma del Direttore: un direttore quindi potrà esserlo per un massimo di 10 anni (in due mandati). Il profilo del direttore – in esclusiva – non è dettagliato, ma sembra essere essenzialmente manageriale: non si parla infatti di direttore artistico, ma di direttore tout-court, quindi si presuppone artistico-culturale-organizzativo. Si prevede infatti che non possa effettuare prestazioni artistiche per spettacoli ivi rappresentati. Se il direttore è un regista, non potrà fare regie. E’ giusto? O sono semplicemente gli eccessi di padri bulimici che ricadono sui figli (e su loro stessi)? Si è formata in questi anni una generazione di manager sufficientemente preparata sul piano artistico-culturale? E si esclude che fra i registi si siano sviluppate competenze critiche e manageriali che forse il ruolo registico non compromette o magari – dosato con parsimonia – potrebbe addirittura migliorare? Nella norma c’è un aspetto positivo (favorisce il ricambio), c’è da augurarsi che il sistema sappia reinventarla, magari con gruppi di direzione, come in alcune esperienze degli stabili degli anni Sessanta.
Tutto questo non vale per i TRIC: la sola norma che condividono con i Teatri Nazionali è che il presidente del collegio dei revisori sia designato dal Ministero. In altri termini, il MiBACT vuole tenere i conti sotto controllo. C’è però da chiedersi se le prescrizioni dei Teatri Nazionali sulla direzione non avranno effetti indiretti: per esempio, un direttore inamovibile che punteggio avrà nella valutazione qualitativa?
Il cambio di regole fra il 2014 e il 2015 è abbastanza repentino (tanto più se pensiamo che si sta discutendo di bozza di decreto a fine aprile con domanda per il triennio prevista a gennaio) ma si prevedono naturalmente…

Articolo 13 – Disposizioni transitorie.

Riguardano – con differenze per il 2015 e 2016 – variazioni percentuali delle giornate recitative effettuate nei teatri gestiti direttamente e in regione e la percentuale massima di recite in coproduzione: le indicazioni essenziali per rispettare l’attività programmata, la sostanza resta.
Sono a nostro parere a tutti gli effetti parte dell’area della stabilità (come si è venuta configurando negli ultimi due decenni) gli organismi che svolgono attività integrata di produzione e gestione di spazi a livelli dimensionali molti minori. Saltiamo un articolo – e rompiamo la gerarchia del decreto.

Articolo 15 – Centri di produzione teatrale.

L’associazione Ateatro (rif. lettera Assemblea a MIBACT https://www.ateatro.it/webzine/2014/01/16/lassemblea-della-associazione-culturale-ateatro-sul-decreto-attuativo-delle-legge-valore-cultura/) si è battuta perché alle organizzazioni che uniscono produzione e gestione promozionale degli spazi venisse riconosciuta una forte funzione, perché crediamo che in quest’area si collochino alcune delle organizzazioni più innovative e vitali del sistema.

Sono definiti centri di produzione teatrale gli organismi che svolgono attività di produzione e di esercizio presso una o più sale teatrali, per un totale di almeno 300 posti, di cui una almeno di 200, ubicate nel comune in cui l’organismo ha sede legale, o nei comuni limitrofi, gestite direttamente in esclusiva e munite delle prescritte autorizzazioni.

Si chiede inoltre capacità di reperire risorse da enti territoriali pubblici nonché da soggetti privati.
Ai centri di produzione si chiedono 3.500 giornate lavorative, 120 giornate recitative di produzione e un minimo di 100 giornate recitative di programmazione (al massimo il 20% danza, il 5 di musica e, in caso di più sale, almeno 40 giornate recitative di programmazione).
I requisiti richiesti quindi sono alti. Si prevede una programmazione “interdisciplinare” fatta un po’ con il bilancino e soprattutto una funzione esplicita di ospitalità.

4. PRODUZIONE E PROGRAMMAZIONE.

Se la gerarchia della bozza di decreto e della “filiera” divide i segmenti (produzione, distribuzione, gestione), la necessità di sviluppare un ragionamento articolato sul rapporto domanda e offerta, quindi sul mercato, li riavvicina.
Il decreto ministeriale pare ispirato soprattutto dall’ansia di fare selezione, in una fase ancora acuta di crisi (che significa: contrazione delle risorse e delle programmazioni, pubblico in calo, teatri che chiudono, organizzazioni in crisi conclamata e minacciata). Ma questo stesso decreto intende e riesce a inventare e introdurre meccanismi per ridare dinamicità, rimettere in moto, rinnovare il rapporto domanda e offerta?
Il rapporto produzione/distribuzione resta il nodo principale. Il teatro italiano sta attraversando mutazioni irreversibili ma la componente itinerante resta dominante. Proprio per questa sua specificità, per le particolarità geografiche, per il mancato sviluppo del Teatro Pubblico, l’Italia ha dato opportunità di finanziamento uniche – e costanti nel tempo – alla produzione privata-impresariale e indipendente. Va detto subito che il decreto non medita su questo dato storico, semplicemente lo conferma, introducendo però una precisa “intenzione” di ricambio generazionale e abbassando i requisiti delle “prime istanze”.

Sezione II – Imprese e centri di produzione teatrale
Articolo 14 – Imprese di produzione teatrale.

Le compagnie, quindi.
I requisiti sono: 1.500 giornate lavorative e 120 giornate recitative (erano 1.000 e 90), che diventano 1.000 giornate lavorative, e 90 giornate recitative per le prime istanze, e 500 giornate lavorative e 50 giornate recitative per le imprese la cui titolarità sia detenuta per più del 50% da persone fisiche aventi età pari o inferiore a trentacinque anni (e agli stessi requisiti rispondano gli organi di amministrazione e il nucleo artistico e tecnico).
Tornano anche le imprese di produzione di teatro di innovazione nell’àmbito della sperimentazione e del teatro per l’infanzia e la gioventù, con 1.000 giornate lavorative e 100 giornate recitative, di cui al massimo 20 di laboratorio, che diventano 700 giornate lavorative e 80 giornate recitative per prime istanze (esclusivamente per il primo anno del triennio). Rispetto ai requisiti introdotti per la stabilità, l’asticella in questo caso non si è alzata di molto e si comincia a rompere qualche barriera. Il vecchio e il nuovo però rischiano di confondersi, quando per anni si è “deciso” che innovazione era semplicemente sinonimo di piccola impresa, e piccola impresa “longeva” ha spesso significato rendite di posizione. Non sono stati rari anche i casi di dispersione di contributi inefficaci, da poche migliaia di euro. Il riconoscimento di impresa di produzione di teatro di innovazione sarà comunque oggetto di specifica valutazione da parte della commissione.
In assenza di livelli minimi di contribuzione, il rischio dispersione (insomma, di contributi a pioggia) è molto forte. Come è forte nell’area festival.
L’ambito della produzione include anche il teatro di figura e di immagine, cui si chiedono 600 giornate lavorative e 60 giornate recitative di spettacoli dedicati prevalentemente al repertorio italiano ed innovativo, minimi ridotti a 300 giornate lavorative e 25 giornate recitative per prime istanze. Per il teatro di strada di significativo rilievo, 400 giornate lavorative e 40 giornate recitative (valgono le dichiarazioni rilasciate da una pubblica autorità).
E siamo alla distribuzione, nodo irrisolto del teatro italiano.
La funzione principale per rilanciare, almeno sulla carta, il rapporto domanda/offerta, collegando interventi statali e locali, dando concretezza agli obiettivi di audience development (e accesso, riequilibrio) indicati in premessa.

Titolo III – Programmazione
Articolo 16 – I Circuiti regionali.

Per cominciare, la definizione e i requisiti. I circuiti regionali svolgano attività di distribuzione, promozione e formazione del pubblico in idonee sale teatrali di cui l’organismo ha la disponibilità, nel territorio della regione di appartenenza, e che non producano, coproducano o allestiscano spettacoli, direttamente o indirettamente. Nella propria regione o in una regione confinante. Si richiedono: 160 giornate recitative, 80% di nazionalità italiana, nei settori di cui al presente decreto, articolate su almeno dodici piazze (erano 150 in 10 piazze): davvero non molte per rilanciare il mercato; stabile ed autonoma struttura organizzativa; sostegno finanziario da parte della regione o di altri enti territoriali .
Indicazioni più innovative rispetto ai circuiti distributivi si riscontrano nell’area multidisciplinare. Restando alla prosa, il MiBACT si limita a confermare qualche regola minimale alle organizzazioni nate negli anni Settanta, alzando di poco l’asticella, senza declinare troppo gli obiettivi e soprattutto ignorando che i circuiti storici (che siano gli stessi o gli epigoni, rinati o rifondati) sono state affiancate negli ultimi anni da reti minori locali, a volte di dimensione provinciale, spesso indipendenti (ne è stata portata testimonianza in dieci anni di Buone Pratiche del Teatro), e – a quanto leggiamo anche nel contributo di Assoteatro che pubblichiamo – che si stanno immaginando anche possibili nuove iniziative di aggregazione e stimolo della distribuzione sul fronte privato. Di condivisibile resta – a nostro parere – la separazione fra funzione distributiva e produttiva, anche se alcune interessanti forme innovative sono nate dalla collaborazione fra le due funzioni. Non si coglie insomma l’occasione di un “pensiero” complessivo sulla distribuzione-promozione e sui servizi connessi che si sarebbero potuti immaginare per questi organismi. Quest’area potrebbe insomma essere all’origine di ulteriori sviluppi, azioni concertate, anche sperimentali .

Gli esercizi: Articolo 17 – Organismi di programmazione.

Sono i gestori di una sala teatrale, munita delle prescritte autorizzazioni. Si prevedono 2.000 giornate lavorative, 140 giornate recitative, al massimo il 20% di danza e il 5% di musica. Solo in questo articolo si introduce il concetto di bacino di utenza: per i teatri nei comuni inferiori a 500.000 abitanti un minimo di 1.200 giornate lavorative e almeno 100 giornate recitative.

Articolo 18 – Festival.

Rispetto ai festival e alla loro funzione e in rapporto al passato si sottolinea con più precisione il collegamento al turismo, si introduce la limitazione della durata e qualche requisito più preciso (ma non difficile da raggiungere, anche per realtà piccole). Si chiede infatti:

rilievo nazionale e internazionale, diffusione e sviluppo della cultura teatrale, integrazione del teatro con il patrimonio artistico, promozione del turismo culturale. Devono comprendere una pluralità di spettacoli nell’àmbito di un coerente progetto culturale, di durata non superiore a 60 giorni e realizzati in uno spazio territoriale limitato.

E ancora: sovvenzione di uno o più enti pubblici, direzione artistica in esclusiva (ma attenzione: non rispetto ai soggetti del decreto in genere, bensì rispetto ad altri festival sovvenzionati, ovvero, se abbiamo capito bene: il direttore di uno Stabile potrà esserlo anche di un festival, ma non di due!); stabile ed autonoma struttura tecnico-organizzativa; almeno 12 recite sia di ospitalità sia di produzione sia di coproduzione, con la partecipazione di un minimo di 5 compagnie; programmazione di almeno uno spettacolo in prima nazionale; prevalenza di compagnie italiane.
Il decreto non dimentica rassegne e festival di teatro di strada, inteso come momento di aggregazione sociale della collettività, di integrazione con il patrimonio architettonico e monumentale e di sviluppo del turismo culturale.
Dal decreto, non risulta chiara la funzione che si attribuisce ai festival e se la blanda dimensione descritta sia un segnale di apertura a “nuovi” festival. Lo si capirà forse solo quando si conosceranno le risorse destinate al settore.
Tuttavia non si recepisce una delle caratteristiche più significative nell’evoluzione di molti festival: la loro evoluzione li ha portati a diventare un centro permanente di ricerca, di sostegno a nuovi progetti e di accompagnamento (una frasetta ci sarebbe stata bene: su quello che è possibile fare prima e oltre i 60 giorni di un festival). I requisiti inoltre – e solo qui! – non aiuteranno la selezione: potremmo sbagliarci, ma sono potenzialmente parecchie centinaia gli organismi in grado di assolverli, non sarà facile orientarsi, non è difficile profetizzare ricorsi.
Soprassediamo su danza, musica e circo (ma ateatro.it resta a disposizione di colleghi che vogliano approfondire). Una delle caratteristiche della bozza di decreto è di riunire in un provvedimento unico i diversi comparti del FUS, quindi:
Capo III – Sostegno alle attività musicali
Capo IV – Sostegno alle attività di danza
Capo V – Sostegno alle attività circensi e di spettacolo viaggiante
Questo non ci farà dimenticare la quota destinata alle fondazioni lirico-sinfoniche e disciplinata separatamente (resterà il 47%, oltre a quello che anche in questo decreto andrà a Teatri di Tradizione e lirica ordinaria?).

5. PROGETTI MULTIDISCIPLINARI, PROMOZIONE, ESTERO E AZIONI DI SISTEMA.

Alcune delle novità particolarmente enfatizzate nei mesi scorsi riguardano la rottura e la comunicazione fra gli ambiti e degli schemi tradizionali. A questo tema il decreto dedica le ultime disposizioni: sarebbe una vera riforma, se ci fossero le risorse. Anzi, e per essere positivi: sarà riforma, se ci saranno le indispensabili risorse.

Capo VI – Progetti multidisciplinari
Capo VII – Azioni trasversali

Articolo 43 – Promozione.

Va subito precisato che si sta parlando di somma e accostamento dei generi (percentualmente misurabile) più che di intreccio dei medesimi all’interno di un medesimo evento spettacolare. Insomma, non di nuovi linguaggi ma di attività “mista”.

Articolo 39 – Disposizioni generali.

Sono considerati multidisciplinari quei progetti che intendono assicurare una programmazione articolata per discipline e generi diversi afferenti agli ambiti e ai settori dello spettacolo dal vivo, supportata da un adeguato e coerente piano di comunicazione e promozione presso il pubblico, rispondente alle caratteristiche della proposta multidisciplinare.

Si richiede: una programmazione articolata in almeno due discipline. Ogni disciplina non può incidere per una percentuale inferiore al 15% e superiore al 70% delle attività complessivamente programmate. La valutazione della qualità artistica dei progetti multidisciplinari è effettuata dalle Commissioni consultive per materia, riunite in apposita seduta plenaria.

Articolo 40 – Circuiti regionali multidisciplinari.

Svolgono attività di distribuzione, promozione e formazione del pubblico (un solo circuito multidisciplinare per regione). Gli obiettivi sono altri (220 rappresentazioni, un minimo di 20 piazze e almeno 18 tra organismi di produzione o gruppi artistici) e soprattutto il MiBACT sembra farne un’indicazione programmatica dando al circuito multidisciplinare una sorta di prelazione rispetto a quello mono genere: La domanda di contributo da parte di un circuito di cui al presente articolo deterrà carattere preferenziale ed esclusivo rispetto alle eventuali domande contestualmente presentate, con riferimento alla medesima regione e alle medesime discipline, da parte dei circuiti di cui agli articoli 16, 23 e 28.

Articolo 41 – Organismi di programmazione multidisciplinari.

2.000 giornate lavorative, almeno 150 tra recite, concerti o rappresentazioni.

Articolo 42 – Festival multidisciplinari.

Programmazione di almeno 20 tra recite, concerti e rappresentazioni, con un minimo di otto tra organismi di produzione o gruppi di artisti ospitati, programmazione di almeno due spettacoli in prima nazionale.

Capo VII – Azioni trasversali
Articolo 43 – Promozione.

Il decreto collega la promozione a) al ricambio generazionale degli artisti; b) alla coesione e all’inclusione sociale; c) al perfezionamento professionale. Il contributo di cui al presente articolo non è cumulabile con le altre forme di contribuzione. Possono essere sostenuti fino a un massimo quindici progetti per ciascuno degli ambiti per un totale di non più di sessanta progetti.
Avete letto bene: non più di 60 progetti speciali promozionali trasversali. E anche qui è chiaro che devono essere cercate e trovate risorse adeguate. La domanda è oggetto di una valutazione di carattere esclusivamente qualitativo. Le commissioni effettuano anche il monitoraggio in corso d’opera.

Articolo 44 – Tournée all’estero.

Rimandiamo alle due pagine dell’articolo, complesse da riassumere. Da sempre uno degli elementi critici sono i tempi di assegnazione, che spesso hanno ostacolato le tournée. In ogni caso, e come per il passato: Il contributo è determinato con riferimento ai soli costi di viaggio e trasporti, fermo restando il limite del deficit, sempre che sia prevista una partecipazione economica da parte del Paese ospitante. Per gli interventi più rilevanti in materia si rimanda all’art. 46.

Articolo 45 – Residenze.

Dopo un ventennio o quasi dalla prima apparizione, le residenze restano ancora una volta in posizione strategica ma senza certezze e senza portafoglio:

L’Amministrazione, a seguito di specifici accordi di programma con una o più regioni, le cui finalità e i cui obiettivi sono stabiliti previa intesa, avente periodicità triennale, con la Conferenza permanente tra lo Stato, le regioni e le province autonome, può prevedere, nell’àmbito delle risorse disponibili del Fondo, interventi per progetti relativi all’insediamento, alla promozione e allo sviluppo del sistema delle residenze artistiche, quali esperienze di rinnovamento dei processi creativi, della mobilità, del confronto artistico nazionale e internazionale, di incremento dell’accesso e di qualificazione della domanda. Tali interventi hanno carattere concorsuale rispetto a quelli, prioritari, delle regioni.

Insomma, le residenze devono avere come fulcro le Regioni, con tutte le loro differenze.

Articolo 46 – Azioni di sistema.

C’era una volta l’ETI. E’ stata cancellata di botto. Ma forse c’è ancora…

L’Amministrazione pianifica, concerta e programma azioni per un’efficace attuazione dei compiti e delle funzioni di promozione nazionale e internazionale ad essa trasferite … sviluppando progetti e iniziative annuali o triennali, sulla base di rapporti di partenariato con le altre Amministrazioni centrali, con le Regioni e gli altri enti territoriali e locali, nonché con istituzioni ed organismi di settore nazionali ed esteri, nonché dell’Unione europea.

C’erano e ci sono i “progetti speciali”:

Su esclusiva iniziativa del Ministro, sentite le Commissioni consultive competenti per materia, possono, altresì, essere sostenuti finanziariamente progetti speciali, a carattere annuale o triennale.

6. I TRE LIVELLI DI VALUTAZIONE (GLI ALLEGATI)

Benvenuti nel meraviglioso mondo degli allegati.

Allegato A)

Semplificando, è la formula per la verifica dimensionale dei soggetti, determina la costruzione di sottoinsiemi omogenei e definisce il valore degli indicatori-moltiplicatori. Naturalmente il contributo che riceveranno le organizzazioni alla fine dei conteggi non è generato magicamente dalla formula, ma dalla risorse che si metteranno a disposizione nel complesso e per ciascun settore. La scelta è politica, la matematica è uno strumento. Ma è quello corretto? Ed e applicato correttamente?)

Allegato B)

Ricapitola gli indicatori per la definizione della qualità artistica.
Come si è visto, la valutazione della qualità artistica compete alle Commissioni consultive secondo i parametri previsti per ogni settore. E’ il direttore generale che (sentita la Commissione) stabilisce per decreto triennale i punteggi di ciascuno dei parametri. Alla commissione quindi non si chiede di valutare la qualità di un progetto nel suo insieme, ma di valutarne e sommarne i diversi segmenti. Il metodo di fatto limita la “discrezionalità” della commissione, con modalità simili a quelle delle gare d’appalto, estese anche agli innumerevoli bandi di settore. Ammesso che una Commissione composta di tre persone, anche volenterose, colte e ben informate (e per di più non retribuita), sia in grado di valutare centinaia di soggetti, dovrà in ogni caso frammentare il giudizio: che il tutto sia superiore alla somma delle parti non è dato (a meno che il decreto del direttore generale non trovi una via). La ricerca dell’obiettività può generare il suo opposto?
L’allegato B ripropone articolo per articolo uno schema strutturato in assi (progetto/soggetto), obiettivi strategici, obiettivi operativi e fenomeni, tutti punti esplicitati ed elencati nelle finalità della norma, che il decreto del direttore generale applicherà in misura diversificata per le diverse tipologie di attività. E su ognuna si potrebbe aprire un’ulteriore discussione.
Ciascun soggetto poi si sforzerà di capire cosa davvero vale e come comunicarlo e farlo valere.

Allegato C)

Espone le modalità proporzionali e comparative che determinano la qualità indicizzata. Negli scorsi mesi le discussioni hanno investito questo livello della valutazione di particolari aspettative, e offerto la controprova ai più scettici dell’inequivocabile intenzione di valutare seriamente performance e sviluppo. Ma i metodi comparativi sono obiettivi? E si sono messe in campo le variabili giuste?

Allegato D)

Serve per valutare la dimensione quantitativa, che incide per il 40% (30% e 30% gli altri due livelli). Le scelte qui sono chiare e antiche, sostanzialmente riconducibili a: lavoro (giornate e oneri sociali) e spettatori.
L’intervento pubblico deve essere orientato sul lavoro (tutela, qualità, continuità, ricambio…). Tuttavia è difficile capire come alzare i parametri per fare selezione possa essere d’aiuto al lavoro: il rischio è quello di produrre situazioni sull’orlo del fallimento, un esercito di “esodati” e lavoro nero.
Con premesse e obiettivi decisamente orientati alla crescita del pubblico, al reperimento di risorse, alle reti, all’Europa, a nuovi modi di gestione, non si capisce perché non vengano inserite nella valutazione le professioni non direttamente legate alla produzione: una scelta che oltretutto disincentiva l’eventuale stabilizzazione – i contratti a tempo indeterminato – che invece è prevista negli articoli relativi alla stabilità.

Per quanto riguarda gli spettatori, conteranno la media degli spettatori registrati dal richiedente nel corso delle tre annualità precedenti, e – nel corso del triennio – quelli del periodo in esame. Insomma, la risposta del pubblico conta – pesa – molto. Come conta nella qualità indicizzata. Quindi conta il botteghino. E – come si è visto – in valori assoluti, svincolati dall’effettivo bacino di utenza e dalle funzioni. A nostro parere – e con grande rispetto per il pubblico e condividendo gli obiettivi di crescita, diversificazione, e anche l’opportunità di premiare i risultati – è semplicemente e decisamente un criterio discutibile, non troppo chiaro, ma che spinge inesorabilmente il sistema produttivo e distributivo verso scelte market oriented. I dettagli devono ancora essere messi a punto: dipende dalla consulta e dal decreto triennale del direttore generale. Dunque si potrà trovare una via nuova per “pesare” gli spettatori.

Chi ha cominciato a lavorare in teatro negli anni Sessanta e Settanta ricorderà il meccanismo dei “rientri”: le compagnie potevano scegliere tra un contributo e una quota rimborsata per ogni biglietto venduto. A quei tempi però si prevedeva anche un massimale per il prezzo del biglietto. Che avessimo tutti le idee più chiare?




Tag: #ValoreCultura (37), legge (18)


Scrivi un commento