Ciccio Bello e Brecht secondo Phoebe Zeitgeist

Pubblicato il 17/01/2018 / di / ateatro n. 163

Il Teatro della Contraddizione di Milano si è dato l’obiettivo di “dare visibilità a progetti artistici sperimentali spesso trascurati o sconosciuti nel panorama teatrale, nella convinzione che il pubblico vada nutrito e abituato alla qualità teatrale”. E non a caso proprio al Teatro della Contraddizione è andato in scena a ottobre per quattro sole repliche Reproduction di Phoebe Zeitgeist, una delle giovani compagnie italiane più interessanti, soprattutto per chi quotidianamente s’interroga su urgenze di crisi economiche e umane, comprese il desiderio di maternità e la mescolanza di genere.
Sono state solo quattro repliche, per una compagnia – ma non è certo la sola – che meriterebbe una maggiore circolazione in tutta Italia, per la qualità e la forza provocatoria del suo lavoro.
In compenso Giuseppe Isgrò, regista e direttore artistico della compagnia, ha ottenuto l’attenzione della International Brecht Society che lo ha ospitato al St. Hugh’s College dell’Università di Oxford, tra gli artisti della XV edizione del simposio intitolato Recycling Brecht, nel giugno 2016, per il suo adattamento di Baal. L’opera prima di Brecht è stata riscritta da Margherita Ortolani, anche in scena, attraverso una variabile linguistica intrigante che mescola italiano, lingua siciliana, inglese e tedesco.

Francesca Frigoli è Fratta in Reproduction

Reproduction di Phoebe Zeitgeist rappresenta con cinica lucidità l’attuale generazione under40, senza scadere in snobismi o banali stereotipi, affrontando il delicato tema della precarietà economica e il desiderio di maternità. Con ironia e intelligenza narra le vicende di un gruppo di artisti, attingendo dall’immaginario pop e fiabesco di chi è stato bambino negli anni Ottanta.
Una onirica e caustica immediata dimensione precipita gli astanti in quello che si annuncia essere uno spettacolo che vedrà in scena gli attori per un tempo importante, sostenendo comunque una efficacia interpretativa. Il lavoro degli attori è infatti puntuale ed energico, eseguito seguendo la partitura del denso copione. La regia di Giuseppe Isgrò è presente e viva, conferma l’attenzione per la squadra in scena. Il testo considera il sempre più diffuso fenomeno delle “Reborn Dolls”. In Italia innumerevoli vlog, gruppi social di mamme di bambole propinano inorganica quotidianità, consigli su bagnetti, pappette e vestiario economico o reali cambi di pannolini per discutibili culetti al silicone. Come viene denunciato in questo spettacolo, anche nella realtà ci sono genitori che pagano baby sitter per badare a bambole che sopperiscano alle loro frustrazioni genitoriali.
Questa fiaba nera ha inizio con una donna al centro della scena che si depila con una lametta le gambe mentre gli Smiths cantano “love is natural and real / but not for such like you and I”: è Fratta, il personaggio interpretato da Francesca Frigoli, e già dal nome rivela la sua “divisione” o “rottura” mediata da un Gatto (Davide Gorla) con lo Zaino Blu (e gli stivali). La loro relazione platonica (ma non troppo) inizia con un dialogo su La ballata del caffè triste che verte sulla necessità della solitudine, descritta nella raccolta di racconti di Carson McCullers.
L’amore è un’esperienza “comune” e non “simile”, sostiene Fratta mentre indossa abito e rossetto rosso. Appare una strega dark ma bionda a cavallo di una scopa di fiori, è annunciata dal costume verde smeraldo del Gatto. In un’opera in cui ogni personaggio si lascia contaminare dall’altro, è una strega artista dal nome Artyparty, degna di stare dentro Il mago di Oz. Parla per assonanze di “ghianda design” e critica ogni altra donna dalla McCullers ad Hannah Arendt. Mentre un pianino su un tappeto altrettanto kitsch come il resto delle scene le fa da sgradevole sottofondo sonoro, insieme a mugolii e altri lamenti viene introdotto il tema della pièce:

FRATTA: Io credo che ogni nostra azione sia politica.
Non credi, Artyparty?
Amare.
Godere.
Riprodursi.

ARTIPARTY: Riprodursi!
NON Riprodursi!
NON Riprodursi è politico.

Al centro della scena c’è un indimenticabile cane-scultura con parrucca bionda alla Carrà. Dialoghi da telenovela sono rintracciabili in quesiti esasperati quali: “Fratta perché questa fretta?”. Non mancano i riferimenti al regista Rainer Werner Fassbinder, che da sempre ispira la poetica della compagnia; o i versi di Bertold Brecht che sottolineano il malessere di Fratta. Fratta ha una rapidissima gravidanza durante la quale una nutrita ed esilarante scena decide il nome della bambola-bambina, in cui intervengono gli altri personaggi: Lui, Leprotto di Mamma, Conigliotto Bigotto, Zebrotto di Voglia.
Lui (Diego Giannettoni) è un musicista, all’apparenza il personaggio sembra essere stato costruito sul Mirko di Kiss Me Licia, frontman dei Beehive, gruppo pop del manga, cartoon reso noto in Italia dalla serie tv Love Me Licia con Cristina D’Avena nei panni della protagonista.
Quando riesce a soddisfare il suo desiderio di maternità, il suo Ciccio Bello rifiuta il cibo, “lo piscia”, così lei è costretta a recarsi dal pediatra con le linee milanesi 90/91. A scandire il tempo di scena sono le battute e i dialoghi. Lui (il generico partner di Fratta senza nome) si rivolge a Fratta chiamandola “Frolla” e sbeffeggia la critica musicale, anche se i riferimenti sono chiaramente pretesti per canzonare i critici teatrali italiani.
“Non minacciarmi con l’immaginario”, dice Fratta quando Lui le nega la maternità, ricordandole che hanno acquistato un cane (di ceramica). Segue una coreografia su un brano di Gianna Nannini, il provocatorio Ballami (dall’album Puzzle, 1984); Ciccio Bello viene scagliato violentemente lontano ancora una volta.
Le luci sottolineano tempi e ritmi, le istantanee fotografiche e le posizioni sono “da copertina”, tutti i personaggi ambiscono alla gloria e al divismo. Le figure retoriche e la cura per i dettagli scenici sono rintracciabili nelle battute, valga per tutte la metateatrale: “dire per fare o essere fatti”.
I contrappunti operistici nella recitazione di Chiara Vergola “Artyparty” la rendono spaventosa nella sua selezione: giocando con Ciccio Bello, divenuta una Barbie che fa la prima elementare, ovvero “Ciccia Barbie”, è invasa da quantità di Barbie con “braccini da selfie e manine da touch” che suddivide in maniera “artistica”, come quando lancia una Barbie di colore giustificandosi: “tu sei nera, tiri il peso visivo dalla tua parte”.
Le Avventure di Phoebe Zeitgeist, si legge nella copertina della fiaba letta da Conigliotto Bigotto: una chiara autocitazione accuratamente esibita. Conigliotto deciderà di avere anche lui un figlio, ovvero un bigodino di nome Bruno. Il Gatto invece sceglie un canguro di peluche, per il quale omologherà l’auto.
Finti fiori, vernice e glicine fanno da allestimento funerario LGBTQI per la morte di Artyparty, ma con una coperta isotermica sul materasso, che ci ricorda la morte odierna dei migranti in mare. Denuncia questa evidenziata dai rossetti sbavati sulle labbra dei personaggi come nel citato Baal, affinché tutto non si trasformi in letteratura. Scomposto il letto di morte, Ciccia Barbie divenuta Cristina rivolgendosi alla madre Fratta dichiara:

io sono giovane, orfana di padre e ho la flessibilità di genere: ho più Diritto di Restare.
Tu non sei neanche vedova. Prendi pure il cane, mammina. Lo capisci vero? Lo spazio è questo qui e il tempo è quel che è.

Un saluto, un invito, un “dobbiamo continuare”: ultima battuta prima del buio finale.

REPRODUCTION
regia Giuseppe Isgrò
drammaturgia Francesca Marianna Consonni e Giuseppe Isgrò
da un soggetto di Patrizia Moschella
con Francesca Frigoli, Diego Giannettoni, Matteo Giacotto, Davide Gorla, Chiara Verzola
grafica Alessandro Tonoli
collaborazione alla promozione Giuseppina Borghese
produzione Phoebe Zeitgeist
in collaborazione con Teatro della Contraddizione
ufficio stampa Le Staffette



InformazioniVincenza Di Vita

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