L’incontro Le vie possibili del nuovo teatro

Napoli, 16 luglio 2004

Pubblicato il 08/08/2004 / di / ateatro n. 072

Ho partecipato all’incontro del 16 luglio a Napoli Le vie possibili del nuovo teatro (annunciato su ateatro 71 del 12/07/2004) con oltre sessanta fra operatori ed organizzatori dell’innovazione e ne ho ricavato una volta di più la necessità di far circolare in maniera virtuosa, senza preconcetti o preclusioni, i pensieri e le esperienze che attraversano teatri e compagnie. I Teatri di Napoli sono una di quelle “buone pratiche” da conoscere, su cui riflettere, da cui ricavare indicazioni sulle relazioni fra le compagnie ed i teatri di un territorio e fra questi e le istituzioni locali. Il progetto si identifica come modello partecipato pubblico privato con una sua originale strutturazione (spazi condivisi da più compagnie, localizzazione periferica, collegamento allo Stabile Pubblico, direzione artistica coordinata su alcuni segmenti di programmazione). Nelle giornate napoletane sono state presentate le produzioni delle 8 compagnie che partecipano al progetto (Casc, I Teatrini, La Riggiola, Le Nuvole, Libera Mente, Libera Scena Ensemble, Rossotiziano e Scena Mobile) e 8 spettacoli invitati uno da ognuna delle citate compagnie. Degli spettacoli visti, non tutti degni di nota, mi sembra che sia doveroso citare l’ultimo lavoro di Davide Iodice La bellezza, splendido esempio di ricerca sugli attori e di capacità di comunicare forti emozioni poetiche, davvero un grande spettacolo. L’incontro è ruotato intorno ad alcune questioni focali: il rapporto con le istituzioni della politica; il sistema delle regole; le relazioni fra i soggetti dell’innovazione e il rapporto con le nuove generazioni del teatro; un patto teatrale fra gli innovatori. Le riassumo a mò di puzzle senza poterne raccontare i colori, dovuti soprattutto alla bella ed organizzata accoglienza di Lella Serao e Luigi Marsano.
Se la coperta è corta e nessuna nuova maggioranza potrà allungarla (Adriano Gallina), allora il confronto/scontro con i palazzi della politica deve andare a toccare i nodi dei criteri, delle modalità e dei tempi di assegnazione delle risorse a disposizione. O il teatro sceglie da che parte stare (Fabio Abagnato) o lascia colpevolmente al solo dibattito della politica la sua riforma, che non è più rinviabile, né evitabile viste le ultime decisioni della Corte Costituzionale in ordine alle attività culturali come materia concorrente fra Stato e Regioni e le posizioni espresse dalla politica e dal teatro al convegno di Bologna del 9 luglio. Ma per partecipare al dibattito con una visione forte del futuro, il teatro deve sollecitare la complicità di altri settori del pensiero (Lello Serao), dall’economia alla filosofia della scienza, dalla sociologia alla biologia, stimolando punti di vista che nulla hanno a che fare con il teatro ma che al teatro possono indicare nuovi approcci per risolvere i problemi. Significativo in questo senso sono stati i ripetuti riferimenti alla lucidità dell’elaborazione di Michele Trimarchi sul cambiamento istituzionale e normativo del sistema teatro.
A volte i teatranti danno l’impressione di essere la retroguardia del cambiamento della società italiana (Fabio Abagnato), specie quando chiedono che qualunque cosa accade sia subito tradotto in ura norma di tutela dell’accaduto. Si è venuto così generando un sistema di regole che definisce la natura giuridica di quasi tutti e ad ognuno affida la sua categoria artistica. Manca nel nostro sistema di regole un riferimento ai valori del fare teatro ed ai principi a cui ispirare la contribuzione pubblica del teatro. La valutazione quantitativa è fatta in massima parte sui costi delle attività e solo marginalmente sui ricavi e sulla loro composizione, quasi a perpetrare l’idea di assistenza/dipendenza dal sistema politico, di qualsiasi orientamento sia. Tutti gli interventi hanno evidenziato come oggi le regole non favoriscano il ricambio, non fondano le decisioni sulla valutazione dei risultati e non si pongano il problema di misurare la qualità. Se c’è bisogno allora che il teatro, soprattutto il settore dell’innovazione, metta in atto pratiche di autoselezione, non bisogna aver timore della selezione affidata a soggetti politico-istituzionali (Ninni Cutaia) purché sia fatto attraverso regole chiare che individuino precisamente la responsabilità a cui poter riferire le scelte operate.
L’AGIS non può essere (Adriano Gallina) il palazzo da dove far partire una “vertenza per il teatro d’arte”, che va evidentemente pensata, articolata ed organizzata fuori dall’AGIS, laddove questa Associazione presenta (Tiziana Pirola) così evidenti difetti di autonomia di rappresentanza dal punto di vista politico e sindacale. L’ETI, che riceve dal FUS più di tutta la stabilità di innovazione e quasi quanto tutte le attività del teatro di prosa del Sud, isole escluse, deve tornare a svolgere il suo ruolo di promozione e di diffusione del teatro avendo come indirizzo non la “tutela e lo sviluppo del teatro privato di eccellenza” (come ha dichiarato recentemente il suo Presidente) ma il riequilibrio territoriale della distribuzione e il sostegno progettuale della ricerca, del teatro per l’infanzia e la gioventù.
Il sistema di distribuzione che governa le stagioni teatrali italiane non si fonda sugli spettacoli, bensì sui soggetti produttori e questo distorce l’ascolto del pubblico, criticizza la formazione di nuovo pubblico. Il “giro” può essere condizione di cambiamento o di ingessamento del teatro italiano a seconda di quali criteri e meccanismi si attuano nell’intervento pubblico di Eti e circuiti regionali, ma anche di quali relazioni più o meno virtuose si instaurano fra produttori, programmatori ed esercizio teatrale. Si possono distinguere i produttori (Fabio Abagnato) fra quelli che prima producono uno spettacolo e poi lo distribuiscono e quanti prima lo vendono e poi lo producono: nasce allora l’esigenza di affrontare la questione di un limite condiviso all’autonomia artistica da parte dell’istituzione che finanzia l’attività, per bilanciare esigenze artistiche e difendere i diritti dei cittadini-spettatori ad una effettiva pluralità dell’offerta. Nel mio intervento ho fatto un esercizio statistico per misurare in percentuale le relazioni di scambio fra 30 teatri stabili (9 pubbici, 6 privati e 15 di innovazione), ricavandone una maggiore “complicità” fra gli stabili pubblici. La “pratica degli scambi” può essere ricondotta (Adriano Gallina, Lello Serao) ad una capacità del teatro di innovazione di costruire un nuovo mercato, di scegliere gli spettacoli e non le compagnie, ammettendo come normale sbagliare uno spettacolo ma altrettanto normale non far girare uno spettacolo che tanti hanno giudicato brutto. E se il mercato rappresenta oggi la reale possibilità di emancipazione dalla dipendenza della politica, scegliersi fra affini per percorsi artistici e per relazioni con i cittadini-spettatori è quasi doveroso.
L’indagine avviata dalla TEDARCO (Lello Serao) ha interessato 36 imprese di produzione, quindi circa un terzo delle imprese iscritte. Queste programmano o gestiscono un totale di 47 sale teatrali per 10.911 posti vendibili che sono stati messi a disposizione nella scorsa stagione di ben 677 compagnie per 1.204 recite programmate. Si tratta forse di uno spaccato particolare di un nuovo mercato, sicuramente di un modello nuovo di relazione fra compagnie, teatri e territori che fa pensare a “compagnie a stabilità leggera” (Lello Serao) o a “compagnie di progetto territoriale” (Luciano Nattino).
Nelle relazioni con le nuove generazioni del teatro sta la possibilità del sistema di disingessarsi, di abbattere i meccanismi bloccati e bloccanti in entrata ed in uscita dal FUS, dall’ETI, dai circuiti distributivi, dai Festival, dai finanziamenti degli Enti Locali, dalla gestione di nuovi spazi, ecc… Ho proposto che sia data trasparenza e dignità organizzativa alla pratica oggi così diffusa del “dare agibilità”, per andare oltre il semplice utilizzo dei numeri delle recite e delle giornate lavorative e farne parte dell’identità artistica dei soggetti più forti, più visibili nelle relazioni con il pubblico e con il territorio. Come per le complicità/scambio, anche questa proposta ha certamente bisogno di ulteriori approfondimenti ed ha suscitato consensi ma anche riserve e avvisi di involuzione autocertificante (Fabio Abagnato, Fabio Naggi). C’è poi quel teatro che nasce, si sviluppa e agisce fuori dal sistema (Gian Maria Tosatti), nei centri sociali ma anche nelle attività di comunità di recupero e di integrazione del disagio, ed è tutto “giovane” perché quando non è più giovane non ce la fa più a stare fuori del sistema. Non vi è dubbio che la ricerca (Ninni Cutaia) sia una funzione matura e non giovanilistica del fare teatro, ma non vi è altrettanto dubbio che sia la parte più debole del sistema, quella che ha per vocazione e per obbligo di rischio più bisogno di tutela e di investimenti.
E’ forse giunto il tempo di un nuovo Patto di co-evoluzione (Adriano Gallina) fra le generazioni del teatro italiano, fra i produttori, i programmatori e l’esercizio, pubblico e privato, per immaginare il futuro senza paure o timori. Un patto per il repertorio, che consenta di uscire dagli standard quantitativi dell’usa e getta delle produzioni che risponde alle continue richieste di novità e sacrifica il tempo della ricerca, dell’approfondimento, del perfezionamento. Da Napoli mi pare sia emersa una lucida analisi di come si possano e si debbano affrettare i tempi di un confronto leale e spietato prima di tutto fra operatori, programmatori, produttori, artisti. Potrebbero essere decisi subito, fin dalla ripresa di settembre, tre o quattro gruppi di lavoro sui temi che hanno appassionato il dibattito per arrivare al confronto prossimo con la politica con posizioni chiare, articolate, non semplicemente rivendicative. L’assenza dei politici all’incontro di Napoli, pure in presenza di un progetto fortemente voluto dall’Ente Locale come I Teatri di Napoli, segnala la necessità di rafforzare il potere di interlocuzione con la politica che il teatro (e non solo singoli teatri o compagnie) deve conquistare al più presto.
Franco D’Ippolito

Hanno partecipato all’incontro Renata Coluccini, Sergio Longobardi, Alessandro Lay, Maria Luisa Garofalo, Tiziana Irti, Nico Mucci, Vincenzo Modica, Alessandra Maculan, Mario Crasto De Stefano, Silvana Denaro, Michele Raffa, Antonello Cossia, Roberto Sala, Roberto Genovesi, Anna Damiani, Stefano Cipiciani, Flavia De Lucis, Michele Lanza, Paolo Comentale, Maria Carla Spagnol, Stfania Bonso, Nuccia Pugliese, Espedito Giaccio, Nicolaeugenia Prezzavento, Marzia D’Alesio, Sista Bramini, Patrizia Chiatti, Mario Pierotti, Agostino Rutano, Roberto Corradino, Fabio Abagnato, Monica Abbiati, Tiziana Pirola, Stefano Bosco, Valeria Ottolenghi, Gian Maria Tosatti, Nicola Viesti, Claudia Brunetto, Paola Elettro, Fabio Naggi, Luigi Zanin, Mario Bianchi, Marino Pedroni, Clara Cottino, Adriano Gallina, Paolo Piano, Antonio Tancredi, Angela Santucci, Alessandra Belledi, Giulio Accettella, Fabio Ghisalberti, Cecilia Cangelli, Rosa Maria Leone, Antonio Salvagni, Stefania Evandro, Ninni Cutaia, Mimmo Basso, Francesco Mattioni, Labros Mangheras, Daniela Nicosia, Lucio Colle, Luigi Marsano, Giovanna Facciolo, Bruno Leone, Stefania Caudullo, Raniero Marcolini, Giovanni Petrone, Morena Pauro, Davide Iodice, Francesco Coda, Lello Serao, Renato Carpentieri, Enzo Salomone, Alessia Sirano, Gaetano Piscopo, Alfonso Postiglione, Francesco Saponaro, Peppino Mazzotta, Emanuele Quilici, Carlo Galati.

Franco_D’Ippolito

2004-08-08T00:00:00




Tag: nuovoteatro (38)


Scrivi un commento