Il teatro, la legge e il territorio: a che punto è il rapporto Stato-Regioni?

L’intervento del 6 novembre

Pubblicato il 14/11/2004 / di / ateatro n. 076

Spero di non stancarvi troppo con un intervento che si pone da una prospettiva istituzionale e che viene alla fine della giornata, ma alcune informazioni su ciò che sta avvenendo in sede nazionale nel rapporto tra Stato e Regioni possono essere utili.
Sapete ovviamente quello che sta succedendo, ma vale la pena ricordare che è la conseguenza della riforma della Costituzione. Siamo davanti a una nuova legge costituzionale, approvata nel 2001 ed emanata alla fine di un percorso abbastanza lungo, dove vengono ridisegnati i poteri e le relazioni istituzionali tra Stato e Regioni. Ovviamente la riforma riguarda anche lo spettacolo, anche se non esplicitamente, dal momento che quest’ultimo non è nominato esplicitamente dalla legge. Questo è stato uno dei nodi che hanno determinato un conflitto molto forte nelle relazioni tra Stato e Regioni. Nella legislazione precedente lo spettacolo veniva esplicitamente nominato, mentre nella nuova legge costituzionale non viene nominato, mentre vengono citate in modo abbastanza generale le attività culturali. In questa legge si dice che tutto ciò che è nominato come oggetto di poteri esclusivi dello Stato spetta alle leggi dello Stato, ciò che viene nominato come oggetto del potere legislativo delle Regioni spetta alle Regioni, ciò che non viene nominato spetta anch’esso alle Regioni. Poiché lo spettacolo non viene nominato ma vengono citate le attività culturali in generale, è nato un contenzioso: lo Stato ha sostenuto che lo spettacolo fosse materia sua, le Regioni hanno fatto altrettanto, ed è nato la discussione su che cosa fosse compreso tra le attività culturali. Dopo che entrambi hanno sostenuto posizioni radicali, le Regioni hanno preferito fare i conti con la tradizione di questo paese, con le sue esigenze, con la necessità comunque di guardare al territorio nazionale nel suo complesso, e hanno così accettato di considerare lo spettacolo tra le attività culturali. All’interno della nuova riforma della costituzione, le attività culturali sono – perdonatemi il gergo – “oggetto di legislazione concorrente”: ciò significa che lo Stato ha il compito di definire principi di carattere generale, le regioni di legiferare per quello che riguarda i loro territori all’interno di quei principi. I principi di carattere generale sono quelli che devono improntare l’attività nel suo complesso, senza entrare nel dettaglio: ad esempio le competenze di carattere generale dello Stato e quelle delle Regioni, la definizione di quali siano le attività culturali, se comprendano la prosa e quale, il cinema e cosa, l’individuazione delle relazioni istituzionali tra Stato e Regioni, della sede per decidere la programmazione dei fondi, eccetera. E poi le Regioni su queste basi hanno il compito di fare le loro leggi: “legislazione concorrente” vuol dire dunque che lo stato non può fare regolamenti, norme di dettaglio.
A questo punto è nato il contenzioso, che ha prodotto ricorsi alla Corte Costituzionale da parte della Regione Toscana e, relativamente al cinema, anche della Regione Emilia-Romagna, e comunque conflitti in sede di conferenza Stato-Regioni. Le Regioni hanno accettato un’interpretazione meno estensiva delle loro competenze, facendo rientrare lo spettacolo nelle attività culturali, dicendo che esso è oggetto di legislazione concorrente, purché però il Governo non si arrogasse il diritto di fare i regolamenti. Io sono consapevole tuttavia, come coordinamento delle Regioni, che siamo in una fase transitoria e che non possiamo cambiare le regole strada facendo. Ci sono molte regioni però, compresa la mia, che hanno dei programmi di investimento molto consistenti e rivolgono molta attenzione allo spettacolo e quindi non hanno voglia di sentirsi dire che il Governo, benché la nuova legge gli impedisse di fare i regolamenti, li avrebbe fatti ugualmente. I regolamenti sono stati fatti lo stesso e da lì sono nati i ricorsi. Rispetto al ricorso della Toscana la Corte Costituzionale a luglio ha detto due cose, anche se come sempre le interpretazioni sono state diverse. Innanzi tutto la Corte ha distinto tra una situazione contingente e una situazione a regime: nella attuale situazione contingente è legittimo, considerato che ci sono comunque dei soggetti in piena attività, che essi hanno diritto ad avere i finanziamenti per quello che stanno facendo, e che quindi il Governo deve comunque dare i contributi – lasciamo stare il dibattito sulle modalità della loro erogazione, non è questa la sede per discuterne.
In una situazione a regime, operando all’interno delle nuove norme costituzionali, la legislazione è concorrente e quindi lo Stato non può fare regolamenti e deve andare a una ridefinizione complessiva delle sue leggi nazionali. Oggi siamo a questo punto.
Quali leggi nazionali? Come devono essere riformate? Chi se ne occupa? Le Regioni hanno presentato un loro progetto di legge nazionale sui principi fondamentali: abbiamo fatto un convegno a Bologna il 9 di luglio, lì è stata presentata una proposta di legge nazionale. Questa proposta ha l’obiettivo di non costringerci ad esprimere pareri, negativi o positivi, o ad astenerci, rispetto a ciò che fa il Ministero, e di esplicitare una posizione nostra. Un’altra proposta di legge è quella alla quale sta lavorando un comitato ristretto della Commissione Cultura della Camera, presieduto dall’onorevole Rositani, all’interno del quale sono comprese tutte le forze politiche. Da lì uscirà un nuovo progetto di legge. Il Governo ha annunciato recentemente che, per quanto riguarda lo spettacolo dal vivo, così come è avvenuto per il cinema, ci sarà una nuova legge espressione del Governo, attraverso una delega del Governo al Ministero, e cioè vi sarà un decreto legislativo fatto da Urbani; questo sarà il terzo testo. Da questi tre testi partirà il confronto.
A tutto ciò io volevo aggiungere un’altra cosa. Questi temi potranno anche sembrarvi lontani, a meno che uno non sia laureato in giurisprudenza, anch’io, che faccio la dirigente della cultura per la regione Emilia Romagna, non sono un’appassionata di atti amministrativi, di leggi. Però qui sono in gioco parecchie cose, è in gioco non solo il futuro dello spettacolo, perdonatemi, ma la forma di Stato del nostro paese, la democrazia, il nostro rapporto di cittadini con le istituzioni, la nostra possibilità di incidere o meno a livello locale, di contrastare o meno la burocrazia. Capisco, cosa che mi è stata detta subito – io è da poco che sono alla cultura, prima mi occupavo di altre cose – tutte le diffidenze che i teatranti hanno nei confronti delle istituzioni, che nell’immaginario comune sono altro, sono quelle che danno soldi, magari sono lì per fregarti, per ascoltarti o non ascoltarti; io non penso che sia così, oppure può anche darsi che in parte sia così, però noi abbiamo dei rapporti molto stretti con i nostri operatori, stiamo cercando anche di lavorare a un sistema diverso di erogazione dei finanziamenti, in modo condiviso, più trasparente, e io credo in queste cose, non ve le vengo a raccontare qui solo perché sono davanti a un’assemblea, o comunque a una platea di operatori. Penso che magari sia un problema di linguaggio; credo che uno sforzo comunque vada fatto in questa direzione, perché non posso pensare, da cittadina prima che da funzionaria pubblica, che il problema del teatro sia soltanto una cosa che riguarda una forma creativa e basta che si consuma in uno spazio nel quale io sono soltanto spettatrice. C’è bisogno oggi, tanto più in una situazione come quella che stiamo vivendo, di alleanze di linguaggi che si sforzano per essere condivisi, per incontrarsi e per fare delle cose fatte da persone che vogliono fare delle cose insieme.
Allora – e qui parlo per l’Emilia Romagna – se noi scriviamo nel nostro documento di programmazione economico-finanziaria che la cultura e lo spettacolo che ne è componente fondamentale è un fattore primario di coesione sociale, di creatività, di aggregazione, di competitività economica, è un elemento di civiltà per le nostre comunità, allora, se scriviamo tutte queste cose, sappiamo però anche che lo spettacolo così come tutti gli altri settori è ovviamente oggetto di scelte politiche, di risorse, di strumenti amministrativi, di relazioni istituzionali a livello locale, a livello regionale, a livello nazionale. Allora avere consapevolezza di queste cose vuol dire anche poterle contrastare o condividere. Allora, le relazioni Governo-Regioni che si stanno sviluppando in questi giorni fanno parte di questo processo. Sapere queste cose ci aiuta anche a capire meglio la ridefinizione dei poteri, ma non in una accezione negativa, bensì in una accezione di consapevolezza e possibilità, partendo dalla conoscenza del territorio, di decidere, ad esempio, se dare più o meno contributi a Masque. Vogliamo poter lavorare con strumenti che se sono troppo burocratici possono essere modificati, vogliamo poter discutere con i cittadini se le risorse devono andare più verso il consolidamento o l’innovazione. Non vogliamo dipendere da Roma per poterlo fare.
Poi è chiaro che se io abito a Milano o a Bari e sono un’impresa che si occupa di teatro devo poter avere gli stessi diritti sul territorio nazionale, devo poter avere le stesse opportunità, devo poter credere quanto meno, o essere sicuro, che mi trattano in modo equo dal punto di vista finanziario; ma questo fa parte di quelle regole, per l’appunto, che si possono contrastare, condividere e sulle quali si può incidere. Allora io credo che tutto ciò alla fine diventi importante; noi in sede di coordinamento delle regioni stiamo cercando di fare questo; poi è chiaro che ci sono regioni e regioni, l’Italia è a macchia di leopardo, c’è chi ci crede di più, di meno, chi lavora di più, di meno, ma questo succede in tutti i settori. Noi adesso abbiamo fatto questo progetto di legge nazionale, abbiamo detto che dobbiamo farne uno regionale tipo, cioè dobbiamo dare certezze agli operatori. Se diciamo che Mario e Giuseppe che stanno a Milano e a Bari devono essere trattati allo stesso modo, bisogna che lavoriamo su un progetto di legge regionale tipo. Se noi non sappiamo quanti soldi ci mettiamo come regioni, come enti locali, come comuni, come province, perché non abbiamo osservatori, sistemi informativi che possano dialogare tra loro, non andremo da nessuna parte.

Patrizia_Ghedini_(Regione_Emilia-Romagna)

2004-11-13T00:00:00




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