Un’esperienza indelebile

Stupor Mundi a Catania

Pubblicato il 02/12/2004 / di / ateatro n. 077

All’inizio di settembre mi è accaduto di vivere una di quelle esperienze che lasciano il segno, un segno di bellezza indelebile.
Stupor Mundi, dedicato a Federico II, è uno spettacolo che abbiamo realizzato in funzione di un luogo straordinario: i bastioni del Castello Maniace di Ortigia.
Franco Laera lo scorso inverno mi ha chiesto di pensare ad un evento speciale da portare a Siracusa per Ortigia Festival.
Da tempo, preso atto della difficoltà di far circolare i nostri spettacoli, ciò che fa muovere la nostra creatività è la messa in scena di eventi che nascono in funzione di luoghi non pensati per accogliere teatro.
Quando in marzo ho fatto un salto a Ortigia e soprattutto quando ho varcato la porta del Castello Maniace, mi sono reso conto di trovarmi in un luogo straordinario che concretizzava in architettura il pensiero del suo geniale artefice, Federico II.
Uno spazio perfetto per la modalità di lavoro teatrale che ultimamente vado realizzando con Pierangela e i miei giovani compagni di lavoro: quadri sonori di breve durata dislocati in punti diversi di uno spazio. Gli spettatori visitano il luogo visitando i quadri sonori.

TABLEAU SONNANT
Con il termine tableau sonnant cerco di dare un’immagine verbale ad una particolare forma di comunicazione artistica che utilizza sincronicamente diversi linguaggi.
Il tableau, quadro, è una superficie circoscritta da una cornice dentro cui sta l’immagine. Il supporto è la materia reale o virtuale su cui le immagini vengono fermate.
Il quadro non ha un tempo di fruizione definito. Esiste al di là dell’autore che l’ha creato e resiste nel tempo malgrado l’assenza dello sguardo che lo contempla.
Ma quando al termina tableau si aggiunge la parola vivant immediatamente scatta la sua diversa relazione con il tempo e con lo spettatore, con la memoria e lo sguardo.
Il tableau vivant esiste solo nel tempo e vive solo della diretta relazione con chi lo sta guardando.
La memoria di chi ha visto diventa così il particolare supporto su cui le immagini si fissano.
Il tableau si stacca dalla dimensione atemporale per entrare nell’arte che contempla il tempo e la condivisione: l’arte della scena, il teatro. E diventa vivant perché costituito da esseri viventi che interagiscono tra loro avendo come compito la creazione di un’immagine. Un immagine che evolve nel tempo senza necessariamente avere uno sviluppo narrativo ma che si rivolge piuttosto all’immaginario, alla costruzione di ciò che non appartiene alla realtà che ci porta verso un universo visionario.
Per un gioco di assonanza , ma soprattutto per meglio definire ciò che facciamo, vivant diventa sonnant.
Tableau sonnant: in definitiva un quadro vivente che suona. Una particolare forma di teatro-musica.
Un ennesimo tentativo di definire con le parole ciò che spiega benissimo la scena attraverso i corpi, la musica, il video, la pittura, producendo un inestricabile sistema di segni capace di generare visioni emotive.
Tutto ciò che produciamo in scena è tassativamente live. Nulla è preregistrato. Tutto è leggero, si crea e si distrugge davanti agli spettatori materializzandosi in pochi istanti per poi svanire lasciando traccia solo nella loro memoria.

In Ortigia un’altra opera di incredibile forza suggestiva mi colpisce. E’ un quadro di Caravaggio che ritrae il seppellimento di Santa Lucia. La grande tela è occupata dalle figure nella parte inferiore mentre i due terzi superiori fanno intravedere un luogo scuro, un muro di mattoni, vi si scorge un arco. Il luogo in cui Caravaggio ambienta la scena è il castello Maniace. Non ne sono sicuro ma così a me piace pensare.
Rientro a Padova carico di suggestioni e di immagini impresse nella memoria e rubate dalla mia telecamerina.
Da questo momento, come innamorato, non penso ad altro se non a Federico al suo castello a Santa Lucia a Caravaggio ma anche al mercato del pesce agli edifici di Ortigia, al mare e con Pierangela mi metto a studiare, con i musicisti a suonare.
Suonare è per me il modo più immediato di tradurre le emozioni, studiare arricchisce la conoscenza , ma spesso è anche conferma alle intuizioni inconsce.
La musica quindi come punto di partenza, come punto di contatto con il pensiero che non ancora si concretizza in materia, ma contemporaneamente è necessario dipingere, creare immagini video, pensare ad oggetti e costruirli, trovare parole e soluzioni tecniche, tenere creativamente sotto controllo suggestioni e tradurle allo stesso tempo in linguaggi di natura diversa. Un pensiero unico che si materializza, senza frammentarsi, in segni diversi. Questo è sempre stato il nostro modo di creare. Agire sincronicamente sulla pluralità dei linguaggi.
Nulla di nuovo se penso alla capacità inverosimile di Federico di contenere ed esprimersi nei campi più diversi non solo dell’arte, ma della scienza, della politica, delle lingue, della giustizia, della guerra, della caccia, dell’amore… Lui sì sapeva essere interdisciplinare!!
Il luogo e i personaggi che l’hanno abitato ci suggeriscono tali e tante suggestioni sovrapposte che sembra impossibile tradurle in un tempo cronologicamente corretto. La soluzione è lavorare su un idea di tempo stratificato.

Stupor mundi è un lavoro sul tempo.
Si procede secondo un’asse temporale che attraversa le diverse epoche senza rispettarne l’ordine cronologico anzi procedendo per accostamenti analogici o per contrasti. Come se il tempo che attraversa lo spettacolo non possedesse né una forma circolare, né lineare, bensì stratificata. Come se il tempo fosse composto di tante pelli sovrapposte il cui ordine non procede dalla più antica e profonda alla più contemporanea e superficiale bensì si sfogliasse come in un sogno in cui il prima e il dopo hanno un valore totalmente autonomo.

…è un lavoro sullo spazio
Il linguaggio espressivo di Stupor Mundi è mobile composito e stratificato come il tempo di cui tratta e si serve della spazializzazione dei suoni, di interventi pittorici immateriali creati e distrutti in tempo reale, dei corpi intrecciati allo strumento musicale dei performer, di un uso della luce come segno prima ancora che come pura illuminazione…
Lo spettatore-visitatore è invitato a compiere un viaggio nello spazio e nel tempo: si trova a dover far convivere all’interno della propria visione: parole arcaiche e suoni contemporanei, iconografie del passato con supporti tecnologici moderni e lo fa gradualmente, trovandosi a poco a poco dentro l’opera stessa a stretto contatto con i suoi stessi artefici.

…un lavoro sulla visione
La vista, l’occhio, la direzione degli sguardi, la linea tra punti di vista che si incrociano materialmente tra loro, sono una delle suggestioni su cui Stupor Mundi fonda la sua essenza. Lo sguardo stesso dello spettatore che da lontano si fa prossimo all’opera ed è continuamente spinto verso punti di fuga sempre diversi, è argomento di creazione.
Lo sguardo verso l’alto, dall’alto verso il basso, che cerca di vedere in lontananza, che si trova a contemplare da vicino, che sfugge e si fa catturare, che si perde in labirinti architettonici e si ritrova seguendo un filo visionario…

A grandi linee ecco il percorso fisico dello spettatore:
Ha ha inizio nella parte alta del Bastione e prosegue poi inoltrandosi nella punta verso il mare.
Successivamente affacciandosi dall’alto verso il basso attraverso la balaustra di pietra, ha una sguardo distaccato e ampio sulle visioni che prendono vita al di sotto, in un susseguirsi di simboli e segni appartenenti a differenti vicende e realizzati con un montaggio video ”stratificato”.
Solo in seguito attraversando un passaggio architettonicamente simbolico quale il tunnel inclinato verso il basso, finirà per trovarsi di fronte alla vita, dentro le cose, senza più diaframma a stretto contatto con la materia scenica.

Sette quadri sonori

Quadro primo: bandiere

Da punti diversi del bastione avvicinamento visivo e sonoro di quattro musicisti-guerrieri con strumenti amplificati (violoncello, basso, tastiera, percussioni) il cui suono esce dalle casse acustiche che gli stessi musicisti portano sulle spalle.

Si vedono anche in lontananza grazie alle bandiere (alte 4 metri) su cui vengono proiettati e disegnati in tempo reale segni luminosi e simboli colorati.

quadro secondo: domande

Due figure femminili camminando sopra il muro cantano raggiungendo il punto più vicino al mare, qui
ripropongono musicalmente i quesiti che Federico II pose a Michele Scoto: spiegaci l’edificio della terra….

Una terza figura dirige i loro movimenti sincroni con ampi gesti; volta la schiena agli spettatori e ha di fronte a sé il mare: in realtà dirige il mare.

Quadro terzo: pozzo

Gli spettatori si affacciano alla balaustra per osservare dall’alto una scena video/suono che si svolge a piano terra. La proiezione occupa tutto il pavimento e investe quattro musicisti che entrano ed escono dalla stessa, mentre il simbolo imperiale (croce su sfera) sale tracciando una sorta di piramide attraverso la tensione di quattro elastici.

L’immagine video e composta da sovrapposizioni stratificate di iconografie dell’epoca, miei disegni, immagini particolari di lotta e di amore.

Quadro quarto: colapesce

Tra terzo e quarto quadro gli spettatori compiono un lungo percorso che li porta al piano terreno. Durante il tragitto una voce che si diffonde nell’aria racconta loro la storia di Colapesce. Giunti a destinazione
assistono ad una scena astratta che si svolge sotto due archi tra i quali sono tesi elastici rossi che muovendosi tracciano traiettorie misteriose.

Gli elastici si trasformano in onde del mare. Appare Colapesce che canta la sua storia accompagnandosi al mandolino.

Quadro quinto: dell’amore e della musica (violon d’Ingres)

Sotto i due archi adiacenti si svolge una particolare scena di rapporto virtuale tra una donna sulla cui schiena nuda viene proiettato il violoncello, lo stesso che un uomo, nella stanza simmetrica a fianco, suona con passione…

Quadro sesto: istinto e cultura (Squarcione)

dal fondo della sequenza architettonica di archi in prospettiva, si avvicina al pubblico una figura femminile il cui corpo è coperto da un violoncello di pelliccia.
I suoni prodotti percuotendo le corde si sommano attraverso un digital delay.
Sincronicamente ai suoni sulla parete che sormonta la porta dei graffi visivi (computer digital painting) svelano l’immagine del quadro di Caravaggio: il sepellimento di santa Lucia.

Quadro settimo: Caravaggio

l’ultima scena torna a svolgersi sotto i due archi.
Tutti i performer ricompongono simbolicamente la scena raffigurata nel quadro di Caravaggio.
La scena ripresa da una telecamera viene rimandata in diretta in retroproiezione su una grande tela bianca sulla quale con rapidi segni pittorici viene reinterpretata l’immagine di Santa Lucia.
Il quadro della Santa viene issato e portato in processione da un corteo in cui si mescolano attori e spettatori.

Con questo progetto in luglio siamo pronti a scendere a Siracusa. Alcune peripezie di carattere economico fanno paventare la cancellazione dell’ Ortigia festival. Per noi sono giorni di panico. Poi si trova una soluzione e il festival viene rinviato a Settembre, ad inaugurarlo c’è Dario Fo.
Così partiamo in 12 in un clima di affiatato entusiasmo e inizia per noi un’avventura di rara bellezza. Ortigia e il Festival sono ospitali, ma ancor più ospitale è Federico. Attraverso la Sovraintendenza ci viene data la possibilità di abitare il suo Castello praticamente giorno e notte. E’ per noi un grande privilegio. Durante l’allestimento e le prove la luna piena, il vento fresco, il suono del mare, ci accompagnano così come ci sentiamo accompagnati dallo spirito federiciano. Nelle pause stare sdraiati sulle pietre, in silenzio contemplare il cielo stellato e ascoltare i suoni della natura è già uno spettacolo.
Ciò che era stato immaginato costruito e provato nel nostro teatro a Padova sposa ora perfettamente gli spazi per cui era stato pensato e che i miei compagni avevano potuto vedere solo attraverso le piante e le immagini video.
Arriva il giorno dell’anteprima, poi la prima e non c’è nessuna tensione, tutto scivola liscio, lo spettacolo funziona, gli spettatori capiscono e apprezzano c’è il passa parola e l’ultima sera per accontentare le richieste replichiamo lo spettacolo per tre volte di seguito.
Il pubblico è curioso e ben disposto a farsi coinvolgere da un linguaggio teatrale che cerca forme di comunicazione non tradizionali.

Michele_Sambin

2004-12-02T00:00:00




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