Un festival con vista su Venezia

Alessio Nardin racconta "La Piazza delle Arti" a Cavallino-Treporti

Pubblicato il 21/03/2023 / di / ateatro n. 189

Alessio Nardin

Da venerdì 10 febbraio a sabato 22 aprile prende il via La piazza delle arti, il nuovo festival di teatro, danza e arti performative di Cavallino-Treporti con undici spettacoli di cui una prima nazionale e quattro prime regionali. Promosso dal Comune di Cavallino-Treporti, Arteven – Circuito Multidisciplinare Regionale e Kalambur Teatro, il nuovo progetto culturale ha avuto un importante contributo dal regista internazionale Alessio Nardin, intervistato per noi da Martina Bruno.

Quali sono le motivazioni che ti hanno spinto ad accettare l’invito del Comune di Cavallino-Treporti a portare la tua esperienza e il tuo pensiero al servizio della comunità proponendo un Festival?

Cavallino-Treporti è il luogo dove sono nato. Inizialmente sono stato titubante nell’accettare l’incarico poiché già coinvolto in una serie di impegni lavorativi. Ciò che mi ha convinto ad accettare il ruolo è la convinzione che l’arte teatrale è sfociata nel “manierismo artistico”. Manierismo nel senso che la forma produttiva è diventata talmente perfetta e regolare che spesso (ma non sempre) è l’elemento determinante. Al punto che a volte il teatro rischia di diventare una sorta di “scatolone” che garantisce intrattenimento, ma frequentemente per le persone andare a teatro non è una necessità e in più il teatro non costituisce più il nucleo di una città. Gli spettacoli devono essere confezionati in un certo modo, devono avere una certa lunghezza e devono essere fruibili per un certo pubblico. Mi sono allora chiesto “Dove è possibile trovare qualcosa che in maniera naturale rompa questo manierismo artistico?” Avevo bisogno di una energia grezza, di una energia brutale, come le pennellate di Paul Gauguin o di Paul Cézanne. L’unico luogo dove ciò mi sembrava possibile era “la periferia”, dal momento che sono convinto che ciò che si allontana dal centro contiene molta forza. Molti spettatori arrivano a Cavallino-Treporti da Padova, Treviso, Vicenza. Questo dimostra che le persone hanno sempre più bisogno di questa energia grezza e brutale.
Tutto è quindi nato da una mia specifica esigenza artistica: la necessità di trovare una energia ispiratrice forte, dinamica, inattesa. Se guardo, da esterno, il teatro italiano, senza nessun intento polemico, ritrovo alcune contraddizioni che oramai da anni si ripetono costantemente. Sembra che talune volte, a fronte di una elevatissima professionalità, viva come una mancanza, o quanto meno una incertezza, rispetto alla sua identità artistica. Utilizzando una analogia bucolica: i terreni più ben coltivati capita che siano anche quelli più sfruttati, resi inorganici, sterili. Per contro i terreni totalmente incolti, lasciati a roveto, sono quelli più impervi, che richiedono un lavoro molto più profondo, sono più grezzi, e per questo spesso ricchi di energie forti, dirompenti e, soprattutto, inattese.
Ecco questo mi ha portato a cercare nella “periferia” teatrale italiana processi che io usualmente pratico nei teatri e nelle accademie nazionali europee. Questo mi ha spinto ad accettare l’incarico di direttore artistico del Teatro Comunale di Cavallino-Treporti e di ideare e dirigere, con il supporto di Arteven e Kalambur teatro, un Festival. Un festival inteso in senso greco: un luogo dove la vita momentaneamente si sospende e dove artisti e persone si arricchiscono reciprocamente, attraverso esperienze comuni, per poi tornare alla vita quotidiana. Una metamorfosi continua dell’individuo e della comunità. Perciò all’interno di questa azione artistica ho voluto che diversi luoghi, diverse nazionalità, diverse arti si incontrassero sulla scena (teatro, musica, danza, poesia, scultura) e gli artisti potessero abitare questa PIAZZA virtuale anche con residenze artistiche che coinvolgessero i cittadini.
Un aspetto che ho apprezzato molto è stato vedere un pubblico partecipativo: in più occasioni durante lo spettacolo gli spettatori hanno interagito con gli attori rispondendo alle loro domande. Questa dinamica è difficile accada nelle grandi città, per questo credo che il “grezzo” della periferia sia una grande risorsa per il teatro.

Boccascena – ph. Paolo Porto

La piazza delle arti: come è nato il nome del Festival? Che ruolo giocano e che significato assumono le parole “piazza” e “arti”? Qual è il target del Festival?

La mia esperienza in diverse culture teatrali di tutto il mondo mi ha fatto vedere, nella pratica, che il teatro in qualche modo deve nascere da un rito. Questo rito non può che essere collettivo: una comunità attiva e gli artisti che la abitano e la visitano. Il palcoscenico quindi, per me, non può che essere una grande piazza virtuale, ma concreta, dove la comunità delle persone si incontra e incontra diverse arti: appunto una PIAZZA delle ARTI. In un territorio molto specifico come quello di Cavallino-Treporti, che è una striscia di terra tra mare e laguna, è difficile identificare una unica piazza o una serie di piazze. Tutto sembra più allungato e dispersivo. Per questo dare vita ad una piazza virtuale, ma concreta, dove tutte le persone possono incontrarsi e fare delle esperienze insieme, mi è sembrata la strada da percorrere per questo territorio. PIAZZA, quindi, come luogo pubblico che appartiene a tutti. Credo che questo sia un tempo storico dove è il teatro che deve andare nella comunità, piuttosto che la comunità andare in un luogo chiamato teatro. Luogo dove è possibile incontrare persone e fare esperienze artistiche: incontrare l’essere umano e fare esperienze sulla sua natura. Le ARTI in qualche modo mi sembra siano, tutte, uno slancio che l’uomo ha verso la sua parte di natura metafisica. A volte questi slanci possono portare a rovinose cadute, ma resta intatto nell’uomo il desiderio di provare a toccare questa parte di sé che gli appartiene.  Per questo le ARTI in qualche modo sono il punto di incontro tra ciò che percepiamo della natura umana e ciò che percepiamo della natura divina. Un punto improprio, che si può realizzare solo all’infinito: come due rette parallele, si possono incontrare solo all’infinito. Toccare anche solo per un istante questo punto vuol dire percepire un infinito. Il target del festival è la polis: gli abitanti della polis tutta. Tutti devono potersi sentire protagonisti in questo percorso artistico che ho proposto: è come se insieme camminassimo per mano. Non esiste nessun teatro senza una comunità a cui quel teatro appartiene.

Zauberkraft, L’ovale Perfetto – ph. Serena Pea

Cosa significa creare un Festival a Cavallino-Treporti, un piccolo borgo vicinissimo a Venezia che si distingue per la presenza di un litorale di 15 chilometri e di un ambiente di grande rilevanza naturalistica? Quali sono state le opportunità e le difficoltà incontrate?

La bellezza di questo luogo è ben nota e riconosciuta. Vive, come la vicina Venezia con le sue acque, di cicli di vita ben distinti: l’estate in cui  si toccano le 5 milioni di presenze turistiche e l’inverno in cui tutto va in letargo. In qualche modo però questo letargo è forzato, mentre la comunità è desiderosa di vita. Per questo proporre un festival con 11 appuntamenti settimanali per tre mesi, è stato il mio desiderio (e dell’amministrazione) di dare una forma di “vita e vitalità” diversa in questo luogo. Ma non solo: il percorso artistico che ho costruito mira a coinvolgere un territorio più ampio del solo Comune di Cavallino-Treporti. Per questo ho voluto seguire due linee ben precise. Da una parte dare uno spazio ben preciso ad opere regionali prime di giovani artisti che hanno dimostrato di avere una personalità artistica spiccata: tre prime regionali (due di prosa e una di danza). Dall’altra la presenza di un paio di maestri del teatro internazionale perché ritengo fondamentale che possano lasciare un segno della loro arte alla comunità.
Per quanto riguarda le difficoltà incontrate, una prima difficoltà è legata all’ubicazione del luogo. Le persone per arrivare a Cavallino-Treporti devono “circumnavigare l’acqua”. Chi viene da Mestre o da Treviso, per esempio, deve fare come minimo quaranta minuti di strada. Un’ulteriore difficoltà è il fatto che Cavallino-Treporti è un luogo vivo e attivo durante l’estate, d’inverno invece va in letargo. L’opportunità è quella di poter lavorare in un luogo dove le regole del cosiddetto “teatro manierista” – di cui abbiamo parlato prima – possono non esistere. Essere in un terreno incolto permette di creare  spettacoli che non seguono regole prestabilite in termini di lunghezza – ci sentiamo liberi di creare spettacoli di tre ore – e di scelte artistiche. Quello che io cercavo era proprio questo: la possibilità di potermi occupare concretamente di un percorso artistico.

Foto di Maurizio Nardin

Se dovessi fare un bilancio della prima edizione, qual è stata la risposta del pubblico? 

Il bilancio non può che essere parziale visto che giovedì 9 marzo saremo a circa metà del percorso. Ma per il momento la partecipazione, in quantità e qualità, è davvero oltre ogni nostra più rosea aspettativa: pubblico numerosissimo e con una grande capacità partecipativa. La cosa più importante e per questo anche più difficile da ricreare è la comunità: il desiderio di condividere esperienze, di partecipare assieme al rito teatrale, non come “spettatori” che guardano, ma come “co-celebranti” che partecipano attivamente a ciò che avviene in scena. In questo senso il nascere del Festival in un territorio relativamente “intonso” ha permesso di poter stabilire subito un contatto diretto tra il percorso artistico che ho proposto e la formante comunità.

Il Festival La piazza delle arti avrà un’evoluzione? È possibile sperare in una seconda edizione?

Stiamo già pensando, assieme all’amministrazione, anche ad una edizione estiva che possa mettere ancora più in risalto la bellezza dei luoghi e dei paesaggi urbani di Cavallino-Treporti. Il mio desiderio è avere la prospettiva di creare un paesaggio culturale del territorio che si sviluppi ed evolva dall’estate all’inverno e viceversa: come una sorta di Festival che si metamorfizza.
Io sono in un momento della mia strada artistica in cui sono interessato all’utopia. Sono interessato a concretizzare ciò che come punto di partenza artistico è un’utopia.  Cavallino-Treporti è un luogo attivo e vivo durante l’estate, d’inverno invece questa vitalità si spegne. Pensare a un Festival che è continuo per tutto l’anno è un’utopia che io vorrei realizzare. La mia idea è quella di creare un Festival che segua la vita del territorio. In estate sarà un Festival legato ai luoghi straordinari che ci sono a Cavallino – Treporti e alle molteplici comunità che la popolano durante la stagione estiva (tedeschi, olandesi, danesi, svedesi, croati, spagnoli, francesi), connettendo queste culture in un’unica piazza. In inverno, invece, il Festival funzionerà come una piazza collettiva che chiama gli abitanti di Cavallino – Treporti dando loro una vita differente. Per spiegarmi meglio posso condividere con voi un’immagine: quella della crisalide e della farfalla. Quello che vorrei fare è creare un Festival che è crisalide ma che ha già in sé la farfalla, che è farfalla ma contiene dentro di sé anche la crisalide.

Scopri il Festival La piazza delle arti




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