Libera nos alle Buone Pratiche 2.1

La scheda dello spettacolo

Pubblicato il 29/11/2005 / di / ateatro n. #BP2005 , 089

Domenica 14 novembre, alle Buone Pratiche 2.1 a Mira – grazie al sostegno del Comune – sarà possibile assistere allo spettacolo Libera nos. Qui di seguito, qualche info sul lavoro.

ITC 2000 E FONDAZIONE TEATRO STABILE TORINO

Presentano

NATALINO BALASSO

in

LIBERA NOS
Suggestioni dall’opera letteraria di Luigi Meneghello
Testi di Antonia Spaliviero, Gabriele Vacis, Marco Paolini

con
Natalino Balasso e Mirko Artuso

Regia di Gabriele Vacis

Scene di Lucio Diana Scelte musicali di Roberto Tarasco

Libera Nos nasce in forma di spettacolo teatrale nel 1990 come produzione di Teatro Settimo con Marco Paolini e Mirko Artuso.
L’idea e l’opportunità del riallestimento per la Stagione teatrale 2005/2006, nasce dall’incontro, nell’ambito della seconda edizione di “Domande a Dio” a Torino, tra lo scrittore vicentino Luigi Meneghello e Natalino Balasso dove, insieme a Gabriele Vacis furono letti brani dalla sua opera più amata: “Libera Nos a malo”.
L’accoglienza calorosa del pubblico e l’intesa dell’inedito cast, ha fatto sì che prendesse corpo l’idea di riallestire uno spettacolo che fu molto amato da pubblico e critica, affidando a Natalino Balasso, in una sorta di passaggio del testimone, il ruolo che fu di Marco Paolini.
Libera Nos, cogliendo la fisicità e la poetica della parola meneghelliana, ripercorre attraverso il dialetto vicentino, ma anche con la raffinatezza della lingua italiana scritta, il lieve e terribile tempo in quel paese della vita che è l’infanzia. Ed è proprio il piccolo paese con i suoi esilaranti e talvolta tragici personaggi, la vita paesana, il duro lavoro, le bande, le bambine poi donne, le zie e gli zii, i matti, i professori, le generazioni che arrivano e quelle che vanno, il vecchio ed il nuovo che si affrontano, il luogo in cui prende vita lo spettacolo.
Il dialetto, per chi lo ha posseduto come prima lingua, è anche il riappropriarsi dell’infanzia come momento centrale per decodificare il senso della vita. Trattato in quanto linguaggio che prima di tutto si vede e si sente, quando si incontra con la lingua scritta del vocabolario, ne scaturisce un delirio comico in fondo al quale si finisce inevitabilmente per scoprire che la scomparsa di certi modi di dire le cose, altro non è che la scomparsa di quelle stesse cose.
Lo spettacolo racconta i momenti fantastici e lievi dell’infanzia, della giovinezza, della crescita, con la consapevolezza di maneggiare, insieme al dialetto ed alla lingua scritta, grammatiche ineluttabili, robe che nessun museo può conservare. Si possono solo nominare, finchè qualcuno le ricorda.

Antonia Spaliviero

Antonia_Spaliviero

2005-10-02T00:00:00




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