Scrivere il racconto

La bottega dei narratori a cura di Gerardo Guccini e altri testi sulla narrazione

Pubblicato il 29/03/2006 / di / ateatro n. 097

La bibliogafia sulla narrazione e sui narratori continua ad ampliarsi: la cosa non sorprende, visto il successo del genere ma anche la sua natura in qualche modo problematica. La narazione è insieme una forma arcaica e allo stesso tempo – per così – dire “post-post-moderna”, nel senso che rappresenta una risposta consapevole alla crisi del post-moderno. Dunque il suo rapporto con gli altri “teatri che si fanno” (o meglio, diversi teatri che si sono fatti negli ultimi decenni) è assai complesso e ricco di implicazioni.
La bottega dei narratori (Dino Audino Editore, Roma, 2005) è uno dei primi tentativi di mappatura, di analisi organica e di storicizzazione del fenomeno. Il volume è curato da Gerardo Guccini, che è per certi aspetti parte in causa (avendo collaborato tra l’altro come drammaturgo con Marco Paolini), ma è da tempo anche dei più attenti studiosi del fenomeno: vedi per esempio i dossier della rivista “Prove di drammaturgia” da lui impostati e curati.
La bottega dei narratori raccoglie materiali diversi per origine e genere: due saggi introduttivi del curatore, poi interviste, testi, diari… Al centro dell’attenzione i capofila del genere (Baliani, Celestini, Curino, Paolini) più Gabriele Vacis, che nella vicenda ha avuto un ruolo determinante di catalizzatore (nota pignola: in copertina questo elenco segue l’ordine alfabetico, all’interno del volume le monografie sono ordinate diversamente).
Temi centrali della riflessione di Guccini sono la natura del teatro di narrazione e le sue origini Ovvero da un lato, come s’è anticipato, il rapporto dei narratori con l’ecologia del teatro di questi decenni, e dunque le affinità e le contrapposizioni con le avanguardie. Dall’altro con la sua necessità, ovvero con i motivi che ne hanno determinato la messa a punto: e qui è centrale il riequilibrio tra i diversi elementi costitutivi del teatro: l’attore rispetto alla regia, ma anche alla drammaturgia; e anche i motivi dell’affermazione dei narratori, che vanno cercati soprattutto fuori dal teatro, nel rapporto con il pubblico (e con l’orizzonte dei media).
Guccini individua correttamente il paradosso di autori-attori che si formano in un ambiente teatrale anti-narrativo e sperimentale e fanno però ricorso a una forma e a un sapere arcaici. Anche se va ricordato che tutto il teatro di ricerca, a cominciare dal “grado zero” individuato da Grotowski, si è trovato costretto a interrogarsi sugli propri elementi costitutivi – e in prospettiva originari – del teatro: sintomatica in Italia l’anima “analitica” del Carrozzone.
E giustamente si indicano Dario Fo e Giuliano Scabia come primi riferimenti. Ma si dovrebbe aggiungere anche Carmelo Bene, non tanto per il suo attacco decostruttivo ai testi e per il lavoro sulla voce, quanto come prototipo di attore svincolato da dipendenze registiche. Ma si potrebbero tracciare paralleli, per esempio, con un Paolo Rossi e con i cabarettisti monologanti, la cui esperienza riprende in qualche modo proprio l’esempio di Fo.
A proposito della necessità del teatro, e di questo teatro, è utile ripercorrere gli intrecci con l’animazione, ovvero con un teatro che ha trovato fuori dai teatri (nelle scuole, nelle carceri, nei manicomi, tra gli emarginati e i diversi) una propria funzione sociale e un valore civile (e qui il riferimento resta ovviamente Scabia).
Interessanti sono anche gli spunti sul rapporto oralità-scrittura, un altro dei nodi per certi versi ancora da approfondire. Perché un altro dei nodi che sottendono è il rapporto dei narratori con i testi che per l’appunto ci raccontano: spesso lavorano su testi pre-esistenti (esemplare il lavoro sul Kohlhaas di Kleist e su Tracce di Bloch da parte di Baliani, sul Petit Nicholas di Goscinny e sul saggio di Tina Merlin sul Vajont), a volte lavorano su testi che per così dire si cuciono addosso (vedi il lavoro sulla fiaba e sulla memoria di Ascanio Celestini), mentre in altri casi si appoggiano alla collaborazione con drammaturghi (o scrittori) professionisti. Su questo versante, rientra in qualche modo nella bibliografia sul teatro di narrazione (pur avendo un suo autonomo valore narrativo) il volume di Francesco Niccolini Racconti civili, d’amore e di guerra (presentazione di Marco Paolini, Manni, San Cesario di Lecce, 2005, € 13,00, pp. 160). Come scrive nella sua nota introduttiva lo stesso autore, “alcuni di questi racconti sembrano esistere di per sé, indipendentemente dagli spettacoli che ne sono seguiti e ne seguiranno”. Se molti di questi testi sono nati su commissione, e sfruttando le doti di ricercatore dell’autore, oltre che le sue capacità di scrittura, in ogni caso sono diventate storie. Ma, ancora, con una particolarità: “non posso”, annota sempre Niccolini, “far finta di esserne l’unico autore: senza gli stimoli e la complicità degli artisti co cui hoi lavorato, molto probabilmente ben poco di quanto segue esisterebbe” (per la cronaca, oltre Paolini, coautori-destinatari di questi testi sono anche Sandro Lombardi, Enzo Toma, Renzo Boldrini, ma anche il coreografo Marco Becherini).
Per valutare il valore letterario dei testi dei narratori, basti pensare al romanzo di Baliani, Nel regno di Acilia (per certi versi una risposta agli Album di Paolini), e Le storie di uno scemo di guerra di Celestini: e con questo,è come se il cerchio tra oralità e scrittura potesse chiudersi.
Su tutti questi temi, La bottega dei narratori fornisce un utile serbatoio di spunti e suggestioni, che si affianca così alle numerose monografie: tra lo studio di Silvia Bottiroli (Marco Baliani, Zona, Civitella Val di Chiana, € 17,00, pp. 160) e la raccolta di saggi su Ascanio Celestini a cura di Andrea Porcheddu (L’invenzione della memoria. Il teatro di Ascanio Celestini, il Principe Costante, Milano, 2005, pp. 220, € 15,00).

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