Speciale referendum costituzionale 2006: una sana e robusta Costituzione (parte II)

Un documento inedito misteriosamente recapitato alla readazione di ateatro

Pubblicato il 29/03/2006 / di / ateatro n. 097

La rivista teatrale online www.ateatro.it ha ricevuto, in forma anonima, questo testo.
Riteniamo si tratti del verbale d’interrogatorio dell’attore comico Paolo Rossi, condotto da una sedicente “Commissione per la Attività Anticostituzionali”, in data imprecisata, ma probabilmente pochi mesi prima dell’incoronazione di Berlusca I.
Il documento non ha alcun valore legale, ma ci sembra ugualmente opportuno metterlo a disposizione dei lettori. Ripercorre infatti la carriera del notorio sovversivo teatrale Rossi, evidenziando le sue attività estremistiche, dai tempi della prima giovinezza fino a epoche più recenti.
La lettura di questo documento e dell’allegato cartaceo, così come la visione del filmato allegato, va condotta con cautela: è riservata ad adulti che abbiano superato tutti i test di affidabilità politica del nostro beneamato Ministero per l’Ordine e la Pacificazione.

Abbiamo tuttavia ritenuto opportuno darne ampia diffusione, sia sul sito sia nelle librerie (BUR senzafiltro).

La prima parte di questo testo è stato pubblicato in ateatro 96.

Più specificamente la sua carriera nel campo del cabaret come è iniziata?

Parallelamente a quella normale, e poi si è ampliata nel periodo di Comedians. Era una situazione paradossale: buona parte degli attori che la sera facevano Comedians, che parlava di un gruppo di giovani artisti che vogliono dedicarsi al cabaret, finito lo spettacolo andavano davvero a farsi le ossa nei cabaret milanesi. A volte non ci cambiavamo neanche il costume.

Leggo dalla locandina dello spettacolo i nomi di Claudio Bisio, Silvio Orlando, Antonio Catania, Bebo Storti… Qualcuno di loro ha messo la testa a posto ed ha avuto grande successo, altri invece hanno insistito nella collaborazione con figure equivoche, come Nanni Moretti. Lei cosa ha imparato da quella esperienza?

Forse lì è nato uno stile su cui insisto molto quando parlo della mia compagnia. Per me sul palco devono comunque coesistere la persona, l’attore e il personaggio. Poi dopo, sulla scena, nel gioco delle parti, a seconda delle situazioni, verrà fuori più l’attore, il personaggio o la persona.

Ma questo equilibrio lei come è riuscito a trovarlo nel corso degli anni?

Con una reazione di ossidoriduzione! Ho cercato di mettere insieme il rigore di Shakespeare, quello che ho imparato da Cecchi, con il delirio che si respirava in un cabaret come il Derby Club o in altri locali. La mia prima convinzione, quella che forse dovrebbe essere la convinzione più semplice di ogni attore, è che devo comunicare. Non avevo appoggi o protezioni di nessun genere, l’unico sostegno che potevo trovare – l’unico che tuttora mi rimane, visto che io (come lorsignori sanno bene) non ricevo sovvenzioni statali – era quello di portare il maggior numero di persone possibile in teatro, senza per questo comunicare qualcos’altro da me stesso, senza per questo diventare commerciale.

Ho estratto dai nostri archivi alcuni ritagli sui suoi primi anni in quei sordidi locali. Qui per esempio lei viene definito “il Lenny Bruce dei Navigli”. Può spiegarmi che cosa significa?

Credo di essere stato uno dei pochi ad aver avuto la possibilità di vedere un cortometraggio originale che aveva come protagonista il comico americano. Mi colpivano molto due cose: l’energia, l’aggressività, la forza della sua comicità; e un linguaggio che usciva dai canoni del vaudeville americano o del comico alla Jimmy Durante. E’ un po’ il clima che abbiamo ripreso in Comedians. Insomma, tutto questo ha qualcosa a che fare con quello di cui stavamo parlando. Le strade principali che potevano prendere i personaggi di Comedians erano due, e la risposta l’ho trovata anche in Lenny Bruce. Perché a un certo punto è necessario scegliere quale tipo di comicità fare: una comicità che non faccia pensare la gente oppure una comicità più amara, che giochi più sul grottesco, che stia sempre sul filo tra il tragico e il comico, che parli della realtà di oggi, ma spostando i punti di vista. Questi due tipi di comicità sono come due caramelle: mentre la prima è una caramella che alla fine guasta i denti, quella che ho scelto io è una caramella balsamica. La seconda regola è una tiritera che facevamo a Comedians prima di entrare in scena. Diceva: “Trasgredire per trasgredire trasforma il trasgressore in traditore”. Vi pregherei di metterlo agli atti.

C’è un ulteriore aspetto che riguarda il procedimento a suo carico. Ci risulta che a voi attori di cabaret sia molto caro il procedimento dell’improvvisazione, che lei ha già evocato. Lei capirà che tutto questo riguarda anche l’intenzionalità o la preterintenzionalità degli atti da lei compiuti e dei reati eventualmente commessi. Questo per noi è un punto delicato. All’inizio lei parlava di stati di alterazione mentale che facilitano la comunicazione: questa condizione potrebbe eventualmente essere considerata un’attenuante o un’aggravante, a seconda del contesto e della situazione. Quando lei va in scena – o meglio, quando andava in scena a parlare della Costituzione – quanto di quello che lei diceva era preparato, prestabilito in anticipo, e quanto invece succedeva all’impronta, senza che ci fosse uno studio preventivo?

Gentile corte, quando parlo di stato di trance non parlo, come dire, di una perdita di conoscenza, parlo di un altro tipo di conoscenza..

Tenga presente che tutto quello che ci sta dicendo potrà essere usato contro di lei.

Intendo precisare che non intendo assolutamente appellarmi all’incapacità di intendere e di volere. Del resto mi sto difendendo da solo perché il mio avvocato mi aveva suggerito proprio questa strategia difensiva. Ma io mi rifiuto assolutamente di ricorrere all’incapacità di intendere e di volere. Perché dietro l’improvvisazione c’è sempre una volontà. Io ho insegnato recitazione e continuo a insegnare improvvisazione nelle scuole…

Questa già ci pare una contraddizione: che cosa vuol dire insegnare a improvvisare?

Vede, l’improvvisazione richiede una disciplina quasi militare. E’ necessaria la costruzione di regole ferree che devono essere rispettate. Se ci fosse un codice dell’improvvisazione, la prima regola in assoluto sarebbe questa: per un anno gli studenti non dovrebbero esprimersi, ma solo ascoltare. Devono prima di tutto imparare ad ascoltare. Quindi ecco perché io, quando parlavo dei miei inizi – se mi permettete questo flashback…

Non creda di intimidirci con questi paroloni! Abbiamo letto Ejzenštejn anche noi…

Per tornare indietro un attimo, al periodo in cui ho iniziato, noi artisti credevamo ingenuamente che l’improvvisazione fosse un’arte molto diffusa, estemporanea, che chiunque si potesse esprimere allo stesso livello, da artista. Di questo e solo di questo posso fare ammenda, davanti a voi. Ne ho fatto esperienza in alcune performance collettive in una chiesa sconsacrata di Brera, San Carpoforo, negli anni Settanta: in una serata dedicata all’improvvisazione e all’happening, ci fu chiesto di portare uno strumento perché eravamo convinti tutti fossero in grado di suonare. Probabilmente ho vissuto quell’esperienza in uno stato di trance – forse era diverso dallo stato di trance di cui dianzi si parlava, posso confessarlo perché ormai è prescritto: penso che i fatti risalgano più o meno al ’73. Sul momento ci parve di fare collettivamente un Requiem di Mozart diretto da Mick Jagger. In realtà credo fosse una puttanata solenne. Quella sera, quando ho faticosamente recuperato la lucidità, ho cominciato a capire alcune cose. Quindi, per rispondere alla vostra domanda, nelle mie cosiddette improvvisazioni c’è volontà e c’è premeditazione, perché comunque tutto quello che in teatro si improvvisa è il frutto di un training durissimo. A questo punto potrei aprire una discussione su questo tema: senza regole, non si può romperle.

Non divaghi, venga al punto.

Anche in questo caso, direi che c’è una cattiva improvvisazione e una buona improvvisazione. La passione che in me si è sviluppata negli anni praticando l’improvvisazione mi ha portato anche a capire, insieme con altre esperienze di vita, che alcune regole sono necessarie e che queste regole – come cercavo di spiegare in queste adunate che voi chiamate “sediziose” – vanno inserite in un contesto, in un regolamento che difende gli interessi di tutti. Nel caso dell’improvvisazione, gli interessi degli spettatori e degli attori, oltre che quelli dell’autore. Nel caso della Costituzione, queste regole devono essere fatte nell’interesse di tutti, e non solo nell’interesse di uno solo o di un paio di persone.

Non faccia allusioni! Non cadiamo nelle provocazioni, noi! Sempre attingendo ai nostri archivi abbiamo reperito una sua dichiarazione, rilasciata alla “Repubblica” nel 1992: “Io parlavo di tangenti sul pianeta Craxon nel 1983 e dicevano che esageravo. Adesso in tv è tutto troppo facile”. Lei ritiene in qualche modo di aver avuto nel corso di questi anni delle qualità profetiche?

Sarà la storia a decidere se sono stato profetico oppure ho portato sfiga. A volte – se devo essere sincero – mi sfiora il dubbio.

Ma quella profezia è stata un caso isolato o nel corso della sua carriera si sono verificati altri eventi di questo tipo di cui lei abbia memoria?

Beh, ce ne son stati abbastanza…

Può farci altri esempi?

Di corruzione, come avete scoperto, abbiamo cominciato a parlarne ben prima di Tangentopoli. Di Berlusconi abbiamo cominciato a parlarne e sparlarne addirittura prima che diventasse presidente del Milan. Una volta facemmo una volta un pezzo “profetico” – come direste voi – che ci costò e ci costa ancora molto, secondo me: Hammamet. Lo firmammo addirittura in quattordici, per dividere poi le eventuali pene, più che gli improbabili guadagni: non credo che esista una canzone con una lista di autori del testo più lunga. Però nell’occasione prendemmo una posizione che non avrebbe dovuto dispiacere neppure ai socialisti: molto tempo prima del lancio delle monetine in piazza, la manifestazione che spinse Craxi a trasferirsi in Tunisia, facemmo un nostro adattamento di un pezzo di Alfred Jarry, dove si parla di quelli che vanno a tirare la cacca ai palotini: come mia eventuale attenuante, voglio ribadire che prendemmo le distanze anche da questo atteggiamento, qualche tempo prima che si verificasse nella realtà. In Pop e rebelot (1993) parlavamo della società dello spettacolo e prefiguravamo quella che è diventata oggi la politica, che ci ha trasformato tutti quanti più in tifosi o spettatori che non in partecipanti. Però la mia non è una dote sciamanica…

Come fa? Usa l’astrologia, i tarocchi, i fondi di caffé, le ventraglie animali, i voli d’uccelli, l’I-ching? Insomma, da dove arriva questa preveggenza?

Dai bar, dai mercati, dal metrò, dal vivere in questi luoghi, senza mai chiudersi in una lobby di artisti, di attori, di teatranti, senza riferirsi a quello che accade in altri palcoscenici o, ancora meno, in televisione, anche se entrambi – teatro e tv – vanno comunque consultati. Insomma, per immaginare i miei spettacoli parto da quello che mi suggerisce la strada. Del resto, non avendo fatto una scuola di teatro e men che meno un corso di drammaturgia, per costruire i primi pezzi non avevo altro materiale che la mia vita e quello che accade quotidianamente.

C’è un altro aspetto del suo passato che ci interessava approfondire. Ci risulta che nel corso della sua carriera lei abbia subito diversi interventi censori. Insomma, hanno giustamente e lodevolmente cercato di limitare gli eventuali danni causati dal perito chimico Paolo Rossi nelle menti degli innocenti spettatori. Può illustrarci gli episodi più significativi di questa sua carriera di censurato?

Il primo episodio di censura si verificò in RAI, in una trasmissione di Antonello Falqui. Ero l’ospite, mi ricordo che c’era anche Sergio Rubini, e dovevo fare tre o quattro monologhi in tre o quattro puntate. Allora avevo un pezzo che parlava delle infiammazioni. A proposito, ecco un altro caso di preveggenza: era un po’ prima dell’AIDS. Del resto uno dei miei temi preferiti in quel periodo era la sessualità.

Si tratta di un pezzo autobiografico?

No, era un ragionamento teorico-filosofico. Ma lo ammetto, di pezzi autobiografici ne ho fatti parecchi, anche se poi da bravo chimico mischiavo le carte. Certi episodi che capitavano a me, facevo in modo di raccontarli come se fossero capitati agli altri, mentre cose che erano successe agli altri le raccontavo in prima persona. E’ un po’ lo schema di Kowalski, il protagonista dei miei primi spettacoli da autore, Chiamatemi Kowalski nel 1987 e Operaccia romantica nel 1991. Il pezzo incriminato diceva più o meno così: c’è uno che si prende un’infiammazione e fa finta di niente, va con un altro che si prende un’infiammazione e fa finta di niente, che va con un altro e fa finta di niente, si innesca tutta una catena di gente infiammata, finché l’ultimo della catena va col primo, che nel frattempo era guarito da un pezzo. Il censore democristiano vecchio stampo della RAI mi ha spiegato che “infiammazione” non è una parola che si può dire in tv, si trova nella lista delle parole che non si possono dire. Di fronte al mio stupore e alle mie proteste, mi ha dato un consiglio: “Lei non si deve preoccupare, non deve vivere la censura in questo modo. Perché a volte la censura esalta le capacità dell’artista. Sa, anche Petrolini inventò dei termini, dei modi per sfuggire alla censura fascista e in questo modo acquisì uno stile nuovo, originale, particolare. Potrebbe sostituire la parola infiammazione con un’altra, e il tutto avrebbe un tocco surreale, meno volgare”. Non so, non capisco, gli ho risposto, mi suggerisca lei una parola. “Beh, guardi, le dico la prima parola che mi viene in mente: peperone!”. Allora gli ho rifatto il pezzo: “…allora quel tizio va con un altro e si prende un peperone e fa finta di niente, che va con un altro tizio che si prende un peperone e fa finta di niente… Secondo lei peperone è meno volgare di infiammazione?”. Così in tv ho detto “infiammazione”. La seconda censura è avvenuta in teatro, ai tempi della seconda parte di Kowalski, Operaccia romantica. A un certo punto ci fu una denuncia da parte dell’Arcivescovo o di un qualche alto prelato di Carpi, che sollevò un grande clamore giornalistico; mi vennero tolti alcuni teatri in cui dovevo fare lo spettacolo: ebbi una specie di scomunica da tutti i teatri parrocchiali, e all’improvviso lo spettacolo venne vietato ai minori di diciotto anni. Devo precisare che grazie a tutto quel casino lo spettacolo guadagnò molto pubblico!

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All’epoca non mi rendevo ancora conto delle potenzialità della televisione e in un’intervista televisiva dissi che io ritenevo di essere nel giusto, che non ero assolutamente volgare e che avrei sfidato l’Arcivescovo. E feci un’aggiunta. Siccome l’accusa mi pareva medioevale, invocai la prova di Dio in piazza a Modena. La prova consisteva nel camminare sui carboni ardenti, per vedere chi di noi due avesse la ragione di Dio. Infine spiegai che io, essendo lo sfidante, sarei chiaramente partito per secondo.

Comunicò anche data e luogo dell’ordalia?

Sì, e quel giorno ci fu chi andò in piazza del Duomo a Modena, a vedere. Ma non ci presentammo né io né l’arcivescovo: lui perché aveva timore del giudizio di Dio, io perché per me era stato solo uno scherzo. Questo fu il mio secondo incontro con la censura. Dopo di che, più che censura, c’è stata la lotta contro la censura per tutto il biennio di Su la testa! (1992-93) e Il laureato (1994).

Erano spettacoli televisivi, la Rai è sempre stata sotto stretto controllo politico, avranno avuto gioco facile nell’arginare le sue intemperanze…

Però a Raitre c’era un direttore di rete che si chiama Angelo Guglielmi, che ci faceva da scudo satellitare. Durante Il laureato ci venne chiesto che non fosse fatta Hammamet e io d’accordo con Chiambretti dissi che non l’avrei fatta ma all’ultimo secondo invece la feci. Però poi non accadde niente perché ci fu un fatto…

Era l’epoca del primo governo Berlusconi?

Esatto, complimenti per la documentazione…

La trasmissione Il laureato veniva ospitata nelle università italiane. Dove si trovava quel giorno?

Quel giorno noi stavamo a Napoli, nello stesso albergo del Presidente del Consiglio, per la precisione al piano di sotto. Era proprio il giorno in cui a Berlusconi arrivò l’avviso di garanzia. Se posso dare il mio contributo alla memoria collettiva del paese, mi permetto di ricordare la mia partecipazione a quell’evento storico. Quella sera feci una telefonata alla reception chiedendo se, per favore, si potevano sentire meno urla dal piano di sopra, perché io ero un artista, stavo lavorando e per poter lavorare dovevo dormire. Stavo proprio al piano di sotto, serviva addirittura un permesso per poter accedere alla mia stanza, perché era stata dichiarata zona rossa.

Lei aveva il permesso di penetrare nella zona di sicurezza?

Sì, sì.

Una grave falla nei nostri sistemi di sicurezza

Grave, e doppia: ce l’avevo io e ce l’aveva anche Chiambretti, il permesso per la zona rossa.

Mi sembra inutile perdersi in dettagli, attraverso i quali lei vuole gettare un’ombra sulla nostra organizzazione. Preferirei concentrarmi su episodi più recenti.

Una delle ultime due censure, le più note, coinvolge Pericle.

Un noto sovversivo, ci risulta. Un democratico estremista.

No, non si preoccupi, si tratta solo di un cabarettista ateniese a cui mi sono ispirato per un pezzo da inserire in una di queste adunate popolari sulla Costituzione. Tenga presente che il cabaret ateniese ha uno stile democratico, a differenza di quello di Sparta, molto più punk, là buttavano i bambini giù dal palcoscenico… Insomma, non erano molto moderati, gli spartani… Invece Pericle come cabarettista greco era moderatissimo. Mi chiamarono nell’autunno del 2003: “Vieni? Allora vieni? Perché non vieni a fare un pezzo a Domenica In? Bonolis vorrebbe tanto…”. Ricevemmo anche una telefonata da Bonolis in persona: era molto gentile, credo che sia tuttora all’oscuro di tutto quello che è accaduto in seguito. E io ogni volta chiedevo: “Ma siete sicuri?”. E loro: “Sì, sì”. E io: “Ma siete davvero sicuri?”, “Sì, senz’altro”, “Ma siete proprio sicuri?”, “Sì!!!”. Allora, proprio per rispettare la regola, ho deciso che non volevo trasgredire. Così mi sono detto: faccio Pericle, è un pezzo che si trova persino nelle antologie scolastiche. Mi chiesero di mandarglielo. Era un testo scritto da Tucidide, che riferisce il discorso di Pericle agli ateniesi dopo la guerra del Peloponneso. Erano cento volte che chiedevo: “Ma siete sicuri?”, “Sì”, “Ma siete proprio sicuri?”, “Sììììì”. Così gli mandai il testo e chiesi: “Ma siete ancora così sicuri?” e loro mi hanno cominciato a spiegare che “Beh, insomma, mah, non… Sai, è un momento delicato… bla bla bla”. E alla fine: “No, meglio di no”. Più che una vera e propria censura, fu un invito che poi all’ultimo venne ritirato. Per inciso, con la televisione questa cosa mi capita spesso: prima mi chiamano e dopo mi tagliano, mi chiudono, mi rimandano indietro… Per me la televisione è un po’ come una di quelle belle donne che continuano a invitarti, e tu ogni volta vai da lei speranzoso e ogni volta che arrivi a casa sua lei ti tira un cartone in faccia: ma ci ricaschi ogni volta… Però va bene così. L’ultima censura è stata quella di Questa sera si recita Molière, la più ridicola, la più problematica. Io credo molto nella possibilità di coniugare teatro e televisione e penso di esserci riuscito in diverse occasioni, soprattutto con quel Molière, che raggiunse tra l’altro uno share e un’audience pazzeschi, all’una di notte…

Perché lei venne relegato dai nostri previdenti programmatori televisivi in terza serata, sabato 8 gennaio 2005, nella serie che Raidue dedica al teatro di prosa il sabato sera.

Lo vide più di un milione di persone, al confronto dei due-trecentomila che guardano abitualmente Palcoscenico.

Metterei agli atti i dati Auditel della serata: 1.609.000 spettatori, 14,28% di share.

All’inizio, quando mi hanno comunicato il dato Auditel, eravamo tutti contentissimi. Mi sono detto: “Forse, visti i risultati, qualcuno mi chiamerà per propormi un progetto di teatro in televisione…”. Però subito dopo, quando ho visto meglio i dati, ho subito aggiunto – senza punteggiatura e senza pausa – “ma forse mi taglieranno la seconda puntata”. E così è stato: il 15 gennaio la seconda puntata non è andata in onda. Per inciso, le due puntate erano state registrate, dunque le avevano viste tutte e due prima della messa in onda.

Così hanno mandato in onda solo la prima parte dello spettacolo?

Sì, solo il primo atto.

E il secondo quando l’hanno mandato in onda?

Ci furono molte discussioni.

E stiamo ancora aspettando?

Sì, stiamo ancora aspettando.

Così i telespettatori non sanno come va a finire il suo Molière?

No, la settimana dopo hanno trasmesso uno spettacolo su Fred Buscaglione… Ma devo aggiungere – e ci tengo a ribadirlo alla corte – che non intendo assolutamente raccontare questi aneddoti per costruirmi una carriera sul piedistallo del censurato. Infatti ritengo che il rischio della censura faccia parte del mio mestiere. Quindi è certamente giusto denunciare ogni censura, e io l’ho fatto sia informando la stampa sia con denunce civili o penali. Tuttavia non credo che sia giusto indossare i panni della vittima, anche perché le vittime non siamo certo noi. In primo luogo perché comunque noi un palcoscenico e un riflettore ce lo siamo già conquistati, e comunque abbiamo un mestiere. In secondo luogo perché la vera vittima è il pubblico. In terzo luogo perché non bisogna essere ipocriti: noi comici molto spesso ci divertiamo a far casino, perché il rapporto con il potere – e dunque con la censura – fa parte della genetica del comico. Soprattutto quando abbiamo già conquistato un palco, e dunque conosciamo le regole…

Dunque perché sollevare ogni volta una gazzarra indegna?

Il fatto va comunque denunciato, e va denunciato soprattutto lo stato in cui versa il mondo dello spettacolo e della comunicazione in Italia. Anche su questo c’è un bell’articolo della Costituzione: non solo lo Stato italiano difende la libertà di espressione, ma si prende cura anche della cultura e del nostro patrimonio.

Si tratta dell’articolo 9: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

Vede che la conosce anche lei, la Costituzione?

L’articolo 9 non è stato ancora cambiato e non ci risultano proposte in tale direzione.

Anche perché sarebbe inutile. L’articolo 9 di fatto non viene rispettato, e i più penalizzati sono i giovani, quelli che iniziano adesso, e non solo quelli che fanno satira, non solo i cosiddetti “comunisti”, ma tutti quelli che hanno idee intelligenti o quantomeno originali in un paese che ormai vive nel completo abbandono culturale. Sono loro a essere penalizzati, ancor più di quelli che subiscono il taglio delle sovvenzioni. Sono i giovani le vere vittime!

Si calmi, questo non è un comizio, questo è un interrogatorio! Riprendiamo con ordine e ripartiamo dal fatto specifico. Il suo spettacolo ha per tema la Costituzione. Prima di tutto ci è difficile comprendere come mai a un guitto di seconda fila, un perito chimico senza alcuna preparazione giuridica, abbia deciso di occuparsi della carta fondamentale della Repubblica italiana.

Posso permettermi di dire che l’unico a mantenermi è il popolo, se possiamo usare ancora questo termine: il popolo che si ritrova la sera nei teatri. Sono responsabile della scelta dei testi e dei temi dei miei spettacoli solo nei confronti di queste persone. Dunque nel scegliere di fare uno spettacolo, devo tener conto di due cose: prima di tutto devo sentire qual è il problema, il conflitto, la storia che più gli interesserebbe sentirsi raccontare.

Questa è la scusa che usa con sua moglie per passare le giornate al bar…

O per dirle: “Esco a lavorare”, e invece vado a bighellonare in giro per la città. Poi c’è la seconda parte, il mestiere, oltre alla parte sociale. E lì è necessario buttare l’occhio su un testo comico…

Secondo lei la Costituzione è un testo comico?

Assolutamente sì. Ma non perché la Costituzione sia comica. Quello che fa ridere è la frattura, lo iato, il buco nero, la sospensione, la pausa, che c’è tra la regola scritta e la vita che viviamo, o il modo in cui questa regola viene applicata. Quel buco, quella sospensione è una delle migliori pause comiche, per cui a un certo punto diventa più comico fermarsi e lasciare che il pubblico ti prepari la battuta.

Dunque lei, in quanto attore comico, trova nella Costituzione un buon materiale per i suoi spettacoli, per far divertire il pubblico. C’è tuttavia un secondo aspetto che vorrei approfondire: che legittimità ha lei per occuparsi di questioni così elevate, seppure nella sua abituale goliardica? Con tutti i professionisti seri che se ne occupano – giuristi, politici, editorialisti, intellettuali – chi le ha dato il permesso di occuparsi della Costituzione?

Il permesso me l’ha dato il popolo, come le dicevo prima. E’ solamente a lui che rispondo. Tuttavia, se dovessi scendere nei particolari, posso addurre delle spiegazioni, delle giustificazioni storiche. Nel momento in cui i parlamentari, i politici – non parlo solo di quelli di governo, quelli a voi vicini – ma…

La prego di notare che noi non siamo vicini al Governo: siamo vicini al potere, in linea di principio…

Mi consenta… Ooops, mi scusi se ho usato questa espressione… Ma – mi consenta – lei ha perfettamente ragione. Il politico oggi, se ne rendono conto tutti, in una politica che ha trasformato i cittadini in tifosi, ha un ruolo diverso. Ne stavamo parlando prima: mi pare impossibile che la politica non diventi tifo, dopo che il calcio era già entrato nella politica. E non solo da quando il Presidente del Consiglio è diventato presidente del Milan…

In effetti è accaduto l’esatto contrario: il presidente del Milan è diventato Presidente del Consiglio.

Effettivamente volevo dire esattamente questo. Prima hanno portato il calcio dentro la politica, e oggi la politica rientra dentro il calcio. Perché la società ha bisogno di equilibri: è come nelle reazioni chimiche.

Un secondo cambiamento al quale ha già accennato riguarda la spettacolarizzazione della politica. Anche questa mi pare una scusante che lei usa per giustificare il suo impegno politico.

Oggi tutti ci rendiamo conto che un uomo politico può raccogliere più consensi quando va in un talk show e fa, diciamo così, un monologo. A volte una battuta detta al momento giusto nel programma giusto sposta più voti di un progetto politico, di un contenuto serio. Allora per mantenere la società in equilibrio, ecco che i comici hanno cominciato a occuparsi delle cose di cui i politici non si occupano più. Vado in giro e ne parlo. Nel caso dei politici, questo tipo di tournée si chiama campagna elettorale: ora la fanno in pullman, in camion, in bicicletta…

Perfino sulle navi da crociera.

Io vado a piedi, per strada, per sentire i problemi della gente, quindi potrei essere accusato di vagabondaggio… Detto questo, rispetto all’accusa che mi avete riferito, devo aggiungere che c’è un altro equilibrio che va sistemandosi. Un tempo, fino agli anni Cinquanta, il comico aveva studi che si potevano fermare alla terza media, più o meno, mentre chi aspirava alla carica di statista era plurilaureato, uno studioso. Oggi è molto più facile trovare un comico che si è fermato, come me, a tre esami dalla laurea, oppure un comico con due lauree due, come molti dei miei colleghi. Mentre un politico che si occupa del Ministero dell’economia o del Ministero dei trasporti può avere alle spalle studi molto più limitati.

Per quanto riguarda la sua preparazione giuridica, per lavorare a questo spettacolo che strumenti ha utilizzato? Ha chiesto aiuto, consulenze? Quali sono i suoi complici?

Non ho fiancheggiatori. E anche se li avessi non farei i nomi. Ho cominciato a capire la Costituzione alla prima replica. Come tecnica, prediligo recitare con il pubblico, e non al pubblico, come amo spesso ripetere: mi piace capire insieme agli spettatori i loro problemi. Attenzione, però: nello spettacolo io mi sono occupato solo dei principi fondamentali.

Ovvero la parte prima della Costituzione..

Sì, quella che si trova nella prima parte dello spettacolo e del DVD che ne è stato ricavato. Della seconda parte della Costituzione vengono poi tirati a sorte tre articoli, nella seconda parte dello spettacolo. Anche perché le estrazioni a sorte, in questo paese, comunque sono..

È quello che tiene in piedi l’Italia..

Tiene in piedi l’Italia, e anche i miei spettacoli. Ma torniamo ai principi fondamentali. Proprio per la loro stessa natura, sono molto semplici. Però nella loro elementarità ti fanno capire le contraddizioni, anche se insisto a dire che io non ho fatto uno spettacolo giuridico, un’opera di genere teatral-giuridico, ma ho fatto uno spettacolo che più che un genere teatrale è un genere di conforto.

Può esplicitare questo concetto, che ci rimane oscuro?

Penso che sia il dovere di un comico, quando fa una scelta come la mia. “Genere di conforto” significa portar da mangiare a chi è bloccato in autostrada, perché magari è nevicato. “Genere di conforto” significa portar da mangiare a una festa. Il genere di conforto serve comunque a tener alti lo spirito e il morale. In realtà, Il signor Rossi e la Costituzione ha fatto da traino a manifestazioni ben più serie, che hanno accompagnato la tournée in maniera collaterale. Perché chiaramente il nostro era uno spettacolo comico, e la riforma della Costituzione è un argomento molto serio. Questo non lo dico per alleviare o per aggravare il peso delle mie personali responsabilità, ma perché così è accaduto. Infatti nelle mie tournée cerco sempre dei partner seri con i quali mi posso coordinare.

Deve fare i nomi dei suoi complici, di questi cosiddetti “partner seri”. Deve nominare le associazioni o i gruppi…

Non intendo fare i nomi, ma comunque si sanno, li conoscete benissimo anche voi: sono personaggi molto esposti. Non intendo fare nomi, e ritengo che loro non faranno il mio. Stiamo parlando anche di personalità molto in vista, di associazioni di cittadini benemeriti.

Lasci giudicare a noi se sono davvero “benemeriti”. Glielo abbiamo già detto: si limiti a rispondere alle nostre domande. Mi ricollego alla questione posta in precedenza: quanto conta l’improvvisazione e quanto conta il copione nel suo lavoro? L

Paolo_Rossi_di_fronte_alla_Commissione_per_le_Attività_Anticostituzionali

2006-03-29T00:00:00




Tag: Paolo Rossi (12)


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