Pisa, l’Arno e Leo De Berardinis: un libro racconta i Sacchi di Sabbia

Tràgos. Atto unico con comica finale a cura di Giovanni Guerrieri e Giulia Gallo, Titivillus, Corazzano, 2006

Pubblicato il 06/03/2007 / di / ateatro n. 107

“Dire con leggerezza la comune alienazione, mostrare squisitamente la goffaggine, tradurre i sogni di aristocratica evasione in piattume democratico. I Sacchi di Sabbia divertono escludendo ogni volgarità, cercano il sorriso con pensiero e non la dimenticata risata sbracata dei cretini dentro e fuori la scatoletta della TV. Sanno cos’è la grazia ma sanno anche che si è circondati dalla sgarbatezza, dalla malgrazia, dalla disgrazia, e che la liberazione – il volo e il sogno – ci è ormai e per sempre negata”.
Goffredo Fofi

Un imperdibile volume edito da Titivillus e illustrato dai bellissimi disegni acquarellati di GiPi racconta la quindicennale storia di una delle compagnie di punta nel panorama del teatro di ricerca italiano, i Sacchi di Sabbia, con fotografie, annotazioni e riflessioni critiche. Un piccolo oggetto d’arte da leggere ma anche da ammirare per i preziosi incastri grafici di illustrazioni e testi.

Proviamo allora a raccontare qualche frammento di questa storia, così, a memoria, come viene viene, aiutati dalle cronologie e dalle teatrografie proposte dal libro.
I Sacchi di Sabbia, il gruppo fondato da Giovanni Guerrieri, Paolo Giommarelli (fuoriuscito nel 1997 per proseguire la carriera al cinema e in televisione), Giulia Gallo ed Enzo Iliano, a cui si aggiunge in seguito Gabriele Carli, nasce a Pisa nel 1992 tra le aule universitarie già occupate dal Movimento della Pantera e gli affollati locali con sconto per studenti.
Anni di inondazioni e piene dell’Arno da cui la città si difendeva mettendo sacchi di sabbia sulle “spallette” del fiume. Su un altro fronte, quello politico nazionale, bisognava attrezzarsi con ben più consistenti sacchi per il pericolo di cavalieri che “scendevano in campo” (Berlusconi, 23 gennaio 1994: “Il mio futuro è la politica”; 27 marzo: Forza Italia vince le elezioni con il 21% di voti, Berlusconi è presidente del Consiglio, Cesare Previti ministro della Difesa). Giovanni Guerrieri e soci erano le presenze assidue di quei rimediati palchi dei luoghi di ritrovo cittadino di cui si è persa purtroppo traccia e memoria troppo presto – sostituiti oggi da ben più lucrosi locali “happy hour” – come il Circolo La Rossa. Un tempo mescita, confinante con la classica copisteria, il Circolo di via del Borghetto, a ripensarci a posteriori, fu una vera e propria palestra di teatro comico, senza pretese e un po’ alla buona se vogliamo, un cabaret nostrano dove di tanto in tanto compariva anche Paolo Migoni, ex Zelig. Alla Rossa, su loro stessa ammissione, il neo-nato gruppo Sacchi di Sabbia, “si è fatto le ossa”, una vera gavetta con il meritato successo guadagnato sul campo riuscendo a catturare l’attenzione distratta di avventori che giocavano a briscola, mangiavano affettati e bevevano vino. I primi lavori come gli sketch dai personaggi di Andrea Pazienza (Strisce di varietà) e l’Otello presero vita in situazioni molto poco teatrali, dalle feste di Paese ai Circoli Arci. Sin da subito il gruppo poteva contare e vantare un proprio nutrito seguito di appassionati fan della loro comicità, trascinante, grottesca e colta. Così Giovanni Guerrieri ripensa gli esordi:

“Otello era una parodia di tutto quello che del teatro sapevamo: il mondo andava preso e rovesciato, altro modo di far non c’era dato… Parodiando “i modi del teatro” si tentava di uscire dal teatro. S’era cattivi e tragici, perché nulla prendevamo seriamente.
Ma questo s’è capito solo poi…
…Lo vide Carlo Cecchi quell’
Otello, una sera al Circolo la Rossa. Ci gracchiò un secco “Fatelo girare!” e, come era venuto se ne andò…”

Fa una certa impressione ritrovare nel libro questi ricordi – tra stralci dai testi teatrali, appunti di critici e studiosi amici, come Concetta D’Angeli e Fernando Mastropasqua e ritagli vari di rassegna stampa – scritti oggi da Giovanni Guerrieri infarciti di aneddoti e amenità, con la tipica sagacia toscana e con una favella da poeta giullaresco; ricordi che evidentemente non sono solo le tappe del loro percorso artistico come compagnia teatrale ma appartengono un po’ a tutti noi che abbiamo condiviso passioni artistiche e passioni politiche consumate all’ombra della torre. Del resto è difficile separare la “mitologia” dei loro inizi da quel contesto cittadino e nazionale così importante, un momento segnato dalle assemblee del movimento studentesco, dai cortei di protesta per affitti più equi e per contrastare l’ingresso delle aziende e dei privati negli affari universitari e nella sovvenzione delle ricerche.

In effetti a teatro – e a Pisa c’era solo il Verdi – ci s’andava poco. Ma il teatro, con i Sacchi di Sabbia, appunto, veniva da noi. Un’equazione perfetta.
Nelle prime “tournée” traslocavano il loro “teatro all’improvviso” tra l’entroterra pisano e Livorno: l’allestimento della esilarantissima e volutamente sgangherata versione del Riccardo III (con un titolo lungo che era tutto un programma: Riccardo III, Buckinghàm e ‘a malafemmena), segnò il primo successo “fuori porta” mantenendo sempre la rotta sul comico come “modalità d’inciampo, unica chance di “rappresentare”il mondo”.
Riccardo III era una marmellata di “cose” teatrali con dentro Carmelo Bene, Totò e Peppino, De Berardinis e la commedia napoletana. Un mescolone di generi, un minestrone toscano di comicità fatta ad arte (come ogni minestrone doc) in cui il folle contributo del napoletanissimo Enzo Illiano rendeva surreale tutta la vicenda, la cui trama shakespeariana evidentemente, andava a farsi benedire.

A Giovanni l’idea di mettere in piedi una sgarruppata compagnia di comici dell’arte gli venne dalla folgorazione avuta dalla visione del Ritorno di Scaramouche di Leo De Berardinis, inarrivabile maestro.
“Sono maschere”, puntualizza Dario Marconcini tra le pagine del catalogo Teatri90, testo riproposto nel libro, “i cui caratteri “sono già ben riconoscibili e non solo fisicamente: uno, magro, dalla trista figura legato ai sogni allo spirito e alla conoscenza dei libri; l’altro forte e terreno legato alla concretezza e alla corposità con tutti i suoi appetiti; la terza, la donna, che incarna la leggerezza, quasi un clown bianco, che si muove fra i due subendone gli eccessi, ma che riesce col suo candore e pudore a risolvere i conflitti”.
Dopo aver presentato i loro spettacoli a Volterra teatro, Rovigo Opera prima, Piccoli fuochi, Santarcangelo e Castiglioncello, i Sacchi di sabbia presentano a Teatri90 Pauperis Oratorium Christi. Studio su un Faust qualunque, spettacolo segnalato al Premio Eti “Debutto d’Amleto”. Alla compagnia si aggiunge Gabriele Carli. Il gruppo la definisce “un’avventura profana nel sacro, una tragicomica-scaramuccia spirituale”. Dalla storia al mito: l’Orfeo muto dei Sacchi di sabbia viene proposto quale primo studio nel 2001 per Firenze, rassegna Artport e successivamente per il Teatro Sant’Andrea di Pisa (che ha anche prodotto il loro Parole parole parole. Tra il Giro d’Italia e Don Milani) e nell’estate 2002 al Festival di Santarcangelo Il pianto non si addice a Orfeo, e il lutto per l’amata Euridice (una Giulia Gallo eterea come Lydia Mancinelli nel Riccardo III televisivo di Carmelo Bene) non trova adeguata espressione né forma alcuna se non nel silenzio e nell’urlo soffocato, spezzato nel suo nascere. Un respiro negato, quello di Orfeo, ingoiato insieme alle lacrime, alle parole, alle lamentazioni. La situazione cui danno vita è a tratti comica (Oliviero Ponte di Pino parla di una “clownerie stralunata”) ed effettivamente il dramma sembra sempre sul punto di cadere nel comico (come in Entr’acte di René Clair), ma non si conclude mai, si ripete, invece, ciclicamente all’infinito. Tutto è perduto per sempre e il dolore per il quale Orfeo soffre non ha fine: è eterno e indicibile.
Negli ultimi anni si allineano sempre più verso un “format” microteatrale, tascabile e immediato: nascono Il teatrino di San Ranieri, e il Don Giovanni, operetta morale in forma di farsa ma anche La crociata dei bambini. Il “best seller” Amleto è forse la loro preoccupazione costante: ecco Grosso guaio in Danimarca. Quando spunta la luna a Elsinor, improbabile e farneticante risposta in dialetto napoletano a Rosencranz e Guilderstein sono morti di Tom Stoppard, dove Fortebraccio è un mafioso che commissiona affari sporchi a due sicari dell’onorata società – Enzo Illiano e Gabriele Carli – che raccontano la storia, si, quella del fantasma che apparve di notte a ‘o prencipe:

“Amlè, i’ song ‘o spettro ‘i papà, condannato a vagà dinto ‘sta notte scura a papà, a digiunà, a papà, a espià a papà. …Arò guardi? Sto ccà”.

Tragos, che ha debuttato al Festival di Santarcangelo del 2004 è un affondo nelle radici greche del tragico con i soliti ingredienti misti di sapienza antica e comicità viscerale; è senza dubbio il loro lavoro più completo, forse addirittura la sintesi del loro percorso che non a caso dà titolo al libro e offre lo spunto anche per uno straordinario omaggio in forma di disegni acquarellati, concesso alla compagnia dall’amico GiPi, fumettista di fama internazionale. Proprio la presenza come special guest di GiPi fa del libro quasi un “graphic novel”; da ammirare i disegnini ispirati a Tragos posti in alto a destra del libro: scorrendo veloci le pagine, questi diventano un piccolo “cinematografo tascabile”.
Ai Sacchi di sabbia – a cui sta collaborando da alcuni anni anche Federico Polacci – va anche il merito di aver creato a Pisa con lo stesso spirito ed entusiasmo dei loro inizi artistici, un vivace ambito di interesse intorno al Teatro: il SantAndrea (una chiesa sconsacrata confinante con il Teatro Verdi) loro residenza e quartier generale, è un centro molto frequentato da studenti o semplici appassionati della scena contemporanea, attivo sulla formazione con laboratori di espressione teatrale e momenti di approfondimento con autori e registi, e sulla promozione di un “altro teatro”, di “valore” e alternativo a quello proposto dai cartelloni tradizionali. Il Teatro di SantAndrea ospita infatti la rassegna annuale CONFLITTI-frammenti di un teatro necessario che porta a loro firma come direzione artistica. Recentemente Giovanni Guerrieri e il gruppo hanno creato anche preziose collaborazioni con artisti come Dario Marconcini, Francesca Della Monica e la compagnia Lombardi-Tiezzi rispettivamente per La resistibile ascesa di Arturo Ui di Brecht, La crociata dei bambini di Schwob, Viaggio in Armenia dal libro di Osip Mandel’stam, con Silvio Castiglioni.

Anna_Maria_Monteverdi

2007-03-06T00:00:00




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