Il doppio codice dei Motus

X (ICS) racconti crudeli della giovinezza a Santarcangelo

Pubblicato il 04/09/2007 / di / ateatro n. 111

Nell’edizione 2007 a dire il vero un po’ sottotono, del festival Santarcangelo dei Teatri, Motus fa ancora una volta centro (e sold out ) con il nuovo spettacolo X Racconti crudeli della giovinezza, che aveva debuttato poche settimane prima in versione provvisoria alla Biennale di Venezia nella sezione danza.

X (ICS) è prima di tutto un progetto aperto che mette in cantiere contemporaneamente uno spettacolo e un film ed è costruito intorno a tre fasi di lavoro organizzate tra l’Italia, la Francia e la Germania: la prima è debuttata alla Biennale di Venezia lo scorso giugno con una definizione della costruzione scenografica, un abbozzo di drammaturgia e una parte del video (costituito da vari cortometraggi) girato nelle periferie della riviera adriatica. A Santarcangelo la compagnia ha mostrato proprio questa prima sezione.
La seconda fase è prevista per il 15 novembre 2007 a Valence presso la Scène National Lux con un allestimento dello spettacolo in versione francese e la creazione di nuovi cortometraggi girati per l’occasione tra Valence e Grenoble. Terza fase: corrisponderà alla presentazione del lavoro ad Halle, nella ex DDR, presso il Festival Theater der Welt nel giugno 2008; alcune aree industriali oggi in disuso e abbandonate dalla popolazione molto significativamente entreranno nel lavoro video.

Il progetto si concluderà con la postproduzione di un’opera cinematografica che manterrà testimonianza delle varie residenze internazionali. Un vero progetto di intermediate theatre, per usare un termine oggi parecchio in voga? In realtà mi piace definire questo spettacolo l’avanguardia di un double coding theatre, uno spettacolo in cui saltano le gerarchie e le preoccupazioni di specificità del mezzo per dare vita a una narrazione espansa, doppia, contemporanea tra cinema e video, graphic e videogames art e teatro con un libero nomadismo di linguaggi già ampiamente sperimentato dal gruppo nelle precedenti prove teatrali (da Twin rooms a Splendid’s, da Come un cane senza padrone a L’ospite) contro ogni tentativo di totalizzazione e genere.
E’ una rinuncia a un riferimento unico, stabile e stanziale (di stile, di linguaggio); del resto nomade e ribelle agli schemi è la vicenda narrata di due ragazzi, simboli di una generazione inquieta, tra degradazione urbana ed erranza esistenziale con un sottofondo di paesaggio da “bordo stradale”: sentimenti a brandelli in una città selvaggia, giovani vite umane ai margini perennemente vaganti e in bilico, forse in frantumi, comunque precarie ma la cui precarietà è vissuta con un sotterraneo senso di euforica libertà nelle pieghe della città tra ipermercati e angoli industriali abbandonati (i famosi “non luoghi della surmodernità” di Marc Augé).
Spiega la compagnia:

Scegliamo una formula ibrida, brevi cortometraggi come cartografie immaginarie di personaggi immersi nelle inquietanti urbanizzazioni periferiche e, sulla scena, corpi, racconti fatti di corpi, messi a nudo e confronto con il mutare della pelle e del desiderio, tra dolore e leggerezza, perché il passaggio di tempo non può e non deve essere necessariamente sfavorevole, ma farsi fonte di nuove risorse.

Il corpo della bravissima attrice-danzatrice Silvia Calderoni che incarna a pieno lo spirito Motus e la sua filosofia postmodern, funziona come cesura, anello vitale di questa doppiezza dello spettacolo: spirito libero, vaga con i suoi pattini a distribuire volantini in uno shopping center mentre si consumano i riti cannibalici del consumismo quotidiano, e là incontra un ragazzo. Stessa inquietudine, stessa solitudine, stesso spaesamento. La storia è narrata, cantata, esposta per quadri visivi tra frenesia, sesso e suicidio. I luoghi periurbani evocano ancora una volta le periferie pasoliniane e i “frammenti disgreganti” e i “grossi pezzi sanguinanti di cruda esperienza” delle vite nei romanzi di De Lillo (le definizioni sono di Fredric Jameson).

Il teatro rincorre il tempo del video: gli attori (Silvia Calderoni, Dany Greggio, Sergio Policicchio, Alexandre Rossi, Nicoletta Fabbri) in una prova intensa e persino commovente, stentano a stargli dietro: ma è il cinema a inseguire la realtà, a offrirgli insomma il copione e la sceneggiatura o viceversa? Il video spia i personaggi nella loro fuga dalla realtà e insegue gli attori stessi nel loro lavoro di scavo psicologico, come già accadeva nell’Ospite. Un enorme schermo amplifica dettagli di una storia che il teatro può solo accennare: le immagini in bianco e nero pixellate sono sguardi evocativi di un turbolento e angosciante paesaggio-stato d’animo, ma sono anche schermate di videogames di altri tempi, mentre i ragazzi indossano improbabili mantelli da supereroi che combattono gli alieni. Come ci ricordano Daniela Nicolò e Enrico Casagrande,

sulla linea del percorso pasoliniano compiuto con Come un cane senza padrone e L’ospite, ci rivolgeremo, complice il mezzo cinematografico, a un paesaggio ancora una volta in radicale trasformazione…Brevi cortometraggi come viaggi tra i giovani e le periferie umane: i nostri attori sono stati filmati a conttto con i ragazzi che gravitano e si incontrano alle panchine dei parchi pubblici, di desolati centri commerciali, o nelle sale prove musicali. L’immagine anonima della panchina è usata da noi come simbolo della zona liminale tra città e campagna, come luogo di incontro e di attesa: cos’è del resto l’adolescenza se non una fremente, snervante attesa dell’età adulta che a volte giunge troppo presto o non arriva mai.

Vale la pena ricordare alcuni dei riferimenti letterari e cinematografici di questo spettacolo definito dagli autori “un viaggio all’interno dello junkspace contemporaneo”: non solo gli amati De Lillo, Fassbinder, Gus Van Sant e neanche soltanto Easton Ellis offrono spunti e personaggi dai lucidi deliri e identità paranoiche e autodistruttive ma James Purdy, Douglas Coupland (non a caso lo scrittore della “generazione X”) e il consumismo da lui descritto quale simbolo stesso della morte al lavoro, il Ballard de Il regno a venire, la generazione crudele di Nagisa Oshima. Un rinvio quello di Ballard giustificato anche dalla nota attenzione e attrazione da parte dell’autore di fantascienza per geografie anomali, per le periferie delle metropoli come territori psichici («Per questo le periferie mi interessano, perché vedo accadere il futuro. Lì ti devi svegliare al mattino e devi decidere di compiere un atto deviante o antisociale, perverso, foss’anche prendere a calci il cane, per poter affermare la tua libertà»).
Ecco le ragioni della scelta del tema e dei riferimenti dalle parole stesse degli autori:

Abbiamo scelto il sottotitolo dal film degli esordi di Oshima non tanto per citare quel film ribelle e criminale che sconvolse la cinematografia giapponese degli anni Sessanta, ma per l’eloquenza del titolo, il presupposto in esso conchiuso ovvero l’idea di racconto, lo sguardo rivolto all’indietro, all’evocare in svariate forme, momenti frementi, attimi di estasi, rivolta e narcisismo sfrenato vissuti in quel periodo magico e contraddittorio che è la giovinezza che in piena sindrome di Peter Pan (quella X Generation degli anni Novanta cinicamente descritta da Douglas Coupland) cade vittima del tranello consumistico che appiattisce la comunicazione sostituendola con narcisismi autistici, protesi alla continua alterazione della “confezione corpo”, del suo “package” da merce di scambio amorosa.

ICS racconti crudeli della giovinezza Ideazione e regia. Enrico Casagrande e Daniel Nicolò.
Con Silvia Calderoni, Nicoletta Fabbri, Dany Greggio, Sergio Policicchio, Alexander Rossi.
In video: Adriano e Luio Donati, il gruppo musicale Foulse Jockers.
Produzione video Motus e Francesco Borghesi (p-bart.om). In collaborazione con Camera stylo. Riprese: Francesco Borghesi, Daniela Nicolò. Stefano Bisulli. Video compositing: Francesco Borghesi. Text Compositing: Daniela Nicolò. Sound Compositing. Enrico Casagrande. Elementi scenografici Erich Turroni.

Anna_Maria_Monteverdi

2007-09-04T00:00:00




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