L’ineffabile www.ateatro.it

Dieci anni di teatro pensante

Pubblicato il 03/07/2011 / di / ateatro n. 133

Siamo nel Tardo Lombardo Impero, un’’epoca in cui persino il Ministro Bondi, la cui vocazione poetica è l’’unica debolezza e smagliatura di una brillante carriera politica dal PCI doc delle montagne di marmo carrarine alla sala comando dell’’Imperatore lombardo, si dichiara depresso per non essere riuscito (notizia del 3 marzo 2011) a convincere il governo di cui fa parte dell’importanza della cultura, antica e nuova. Depresso al punto di volersi dimettere.
Se persino Bondi appare inconsolabile, e se persino Pompei ha tentato più volte il suicidio, vuol proprio dire che parlare, scrivere, pensare di teatro, oltretutto un teatro non clonato dagli sketch televisivi, con protagonisti delle più disparate tendenze ma uniti dal rigore e dalla passione per la ricerca di nuove forme per l’arte più antica, tutto questo insistere sul teatro, dicevo, ha qualcosa di patologico.
Patologico, che deriva da Pathos, il cui significato è noto: emozione, sentimento, e sofferenza, con molte oscillazioni nei derivati della lingua italiana: patito, patetico, patologico appunto. Deviazioni e sofferenze dei sentimenti. Sono quelle che i teatranti e i filo-teatranti di questo paese sperimentano da oltre un decennio, di fronte ai continui tagli di finanziamenti, alla chiusura di festival e sale, alle politiche nepotistiche e clientelari di una politica che nell’ignoranza di tutto invade però ogni campo, al potere decisionale affidato a direttori artistici ottuagenari o a funzionari controfigure, allo “scambismo” delle stagioni teatrali, agli spazi sempre più striminziti dedicati dai media al teatro, alla stanchezza che talvolta colpisce anche la creatività e le idee, eccetera.
Però il Pathos ostinato di www.ateatro.it, a partire dal suo fondatore e direttore Oliviero Ponte di Pino, non declina mai verso la lamentela, piuttosto inclina alla resistenza propositiva, come dimostrano le molte e sempre più partecipate edizioni itineranti delle Buone Pratiche organizzate da Mimma Gallina, continua a esplorare il nuovo in casa e fuori, dedicando uno spazio specifico e costante al teatro tecnologico e multimediale (curato da Anna Maria Monteverdi con una rete di collaboratori), mantiene un filo diretto con tutti protagonisti della scena, lasciando a disposizione un archivio decennale di materiali che ormai costituiscono un patrimonio culturale di riferimento per studenti e studiosi. Tutto questo su una base che è nello stesso tempo molto fragile e molto solida, quella di un’attività volontaria, non pianificata, libera da qualsiasi vincolo, che si genera e si rigenera continuamente, si focalizza dinamicamente sugli eventi e sulle priorità liberamente scelte e proposte dai collaboratori, senza gli affanni di scadenze temporali predefinite e con il necessario tempo di riflessione. Insomma una logica di costruzione e di gestione di una “rivista” (ma il termine è sicuramente inappropriato) che è diversa anche dalle altre webzine, apparentemente anarchica ma interiormente retta su una serie di fili d’Arianna che tessono una “visione comune”, anche se mai omologa, del teatro come motore della cultura nella “società dello spettacolo” e come laboratorio della società civile. L’uomo contemporaneo, e in particolare l’italiano contemporaneo, così assuefatto dal modello edonistico berlusconiano, ha bisogno di tornare a pensare con la propria testa piuttosto che attraverso l’agenda dei mass media, tornare a rappresentarsi sulla scena del futuro, invece che trascinarsi nell’inerzia di un presente precario, privo di orizzonti e di idee, e il teatro, quello della narrazione civile, quello della satira, ma anche quello della ricerca e dell’innovazione dei linguaggi, hanno svolto in questi anni la funzione di trasmettere una memoria storica, dei principi – non bisogna più vergognarsi di dirlo – morali, di una morale laica, di continuare a disegnare degli scenari possibili e alternativi, rispetto all’ottusità del “grande fratello” quotidiano. Anche Saviano ha dovuto (e saputo) trasformare la denuncia in narrazione per farsi ascoltare e poi teatralizzare televisivamente questa narrazione per estendere il suo pubblico, riuscendo a ottenere un’attenzione che tanti coraggiosi giornalisti e magistrati non erano riusciti a ottenere nemmeno con la loro morte.
La domanda che più volte noi (i collaboratori più assidui della rivista) ci siamo posti è stata: ha ancora senso portare avanti questa impresa? Con tutti gli impegni di ciascuno, con l’assenza totale di fondi, con la crisi cronica del teatro in tutti i suoi aspetti, con la precarietà di un appuntamento poco calendarizzabile in Rete che non riesce a star dietro agli eventi ed è inevitabilmente sbilanciato nei suoi contenuti… A questa domanda ciclica hanno risposto i fatti, i collaboratori fedeli e quelli occasionali, e voci sempre nuove, hanno continuato a scrivere e mandare i loro articoli, le loro recensioni, le loro riflessioni, e www.ateatro.it non ha mai smesso di dire la sua, anzi le sue, vista la molteplicità delle opinioni, restando e consolidando via via il proprio ruolo di bacheca virtuale del teatro pensante, con il teatro inteso come punto di interpretazione, elaborazione ed anche intervento sul reale. C’è in questo, come abbiamo detto, un eccesso di ostinazione, una specie di patologia ed insieme un accanimento terapeutico verso il nostro moribondo teatro, ma c’è anche un modello, per certi versi anacronistico (l’unione volontaria e gratuita su un progetto artistico-culturale, poiché fare cultura in Italia è diventata una specie di “missione laica”) e per altri versi decisamente innovativo, connaturato alle caratteristiche/potenzialità dei nuovi media e che oppone una pratica del dono al dominio dello scambio. Dono inteso come una libera offerta di beni e servizi (nel nostro caso “immateriali”, sotto forma di idee e informazioni) senza contropartita, al fine di creare, alimentare o ricreare il legame sociale tra le persone. Una dimensione che ha avuto non a caso (non è infatti un caso se www.ateatro.it è nato e vive on line) uno straordinario rilancio attraverso la Rete, come testimonia il bel libro di Marco Aime e Anna Cossetta, Il dono al tempo di internet, Einaudi, Torino 2010. Il mondo della rete e dei software nasce e si evolve grazie al lavoro gratuito di milioni di persone sparse sul pianeta, che agiscono cooperativamente e di concerto per elaborare sempre nuove opportunità operative e comunicative, rendendole accessibili a tutti sia sul piano tecnico (mediante la diffusione libera dei codici sorgente) sia sul piano economico (garantendo la gratuità o il bassissimo costo dei risultati della ricerca). Dai software peer to peer a fenomeni come Wikipedia, l’enciclopedia libera della rete gestita da gruppi di volontari organizzati e costruita con voci scritte da altri volontari, il sapere viene messo on line senza lucro e senza contropartite. Come segnalava il filosofo Alain Caillé, in un altro libro cardinale su questo tema, Il terzo paradigma. Antropologia filosofica del dono, Bollati Boringhieri, Torino 1998, tra i due paradigmi classici dei comportamenti sociali, quello utilitarista che identifica l’uomo con l’homo oeconomicus (che cerca sempre di ottenere dalle circostanze il massimo vantaggio per se stesso) e quello collettivista durkheimiano (i comportamenti sociali esistono aldilà delle coscienze individuali), esiste un terzo paradigma possibile, secondo il quale le società sono create dagli uomini attraverso l’atto del donare: il dono in quanto generatore di relazioni si pone alla base del legame sociale. Se nell’economia classica i valori dei beni e dei servizi si distinguono in valore d’uso e valore di scambio, il dono produce una terza tipologia: il valore di legame, dove la relazione è più importante del bene stesso. L’’economia del dono – secondo un’importante corrente di pensiero attuale – non è però una condizione originaria e arcaica della società, ma una necessità fondamentale delle società contemporanee (vedi il ritorno a forme di baratto, le banche del tempo, il commercio ecosolidale, etc.) che non reggerebbero le problematiche crescenti del disagio sociale (economico, multiculturale, psicologico, relazionale, esistenziale, giovanile, etc.) senza la presenza e l’’intervento costante di tutte le associazioni e le iniziative spontanee senza fini di lucro dei cittadini che compensano la latitanza dello Stato e la spietatezza del Mercato, e persino nell’ambito professionale il sistema produttivo non potrebbe sopravvivere se non ci fosse un surplus di impegno che non è né obbligato dallo stipendio né legato esclusivamente all’ambizione e alla competizione. La pratica del dono è diffusa ovunque e a tutti livelli sociali, in molta parte non riconosciuta e spesso non organizzata, ma continua a essere, anzi per certi aspetti lo è sempre di più, la linfa vitale del legame sociale, anche perché il dono volontario comporta una relazione umana diretta, mentre l’assistenza dello Stato è impersonale e asettica.
Se, come noi di www.ateatro.it crediamo, il teatro, ha ancora il valore di motore della cultura nella “società dello spettacolo” e di laboratorio della società civile, darsi strumenti teorici -– come la webzine –- e strumenti concreti, come quelli emersi nelle Buone Pratiche, in una dimensione che sceglie il valore del legame sociale e culturale piuttosto che il valore di scambio dominante, è un piccolo ma significativo contributo alla creazione indispensabile di una rete reale e virtuale di intelligenze e talenti, unica strada per rimettere in scena lo spettacolo di un’’altra realtà.

Andrea_Balzola

2011-07-03T00:00:00




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