Non gettate benzina sul Fu(s)oco

Ha senso finanziare lo spettacolo tassando i carburanti?

Pubblicato il 03/09/2011 / di / ateatro n. 133

Che il sistema di finanziamento pubblico allo spettacolo sia in difficoltà è un fatto evidente a tutti e che il FUS non sia più da tempo la principale fonte finanziaria per il settore è altrettanto noto. Non servirebbero numeri, percentuali, bilanci per intuire queste due affermazioni.
Agli economisti è però richiesto di esprimersi con numeri, o almeno in molti si aspetterebbero questo da loro. Ebbene eccoli qui.
Il Fondo Unico per lo Spettacolo è aumentato nei 25 anni della sua esistenza del 22,5% in termini monetari, vale a dire in valori assoluti. Se però teniamo in conto il tasso di inflazione che c’è stato nello stesso periodo lo stesso fondo è diminuito, in termini reali quindi, del 47,1%.
Il grafico 1. mostra la forbice dei valori reali e monetari a partire dall’anno di istituzione del Fondo, il 1985, ad oggi. In pratica le risorse reali si sono di fatto dimezzate ed è lecito pensare che gli annunci di future integrazioni, aumenti, fondi complementari, non renderanno possibile recuperare il gap che si è creato in 25 anni, al di là della ormai consolidata pratica politica bipartisan degli annunci non seguiti da concrete applicazioni.

Grafico 1. Il fondo unico per lo spettacolo in euro correnti e costanti (Fonte: Ministero per i beni e le attività culturali).

Un altro cavallo di battaglia di chi opera nel settore è la percentuale di spesa pubblica confrontata al Prodotto Interno Lordo (PIL), come se questo indicatore possa effettivamente essere un termine di paragone efficace per capire le risorse finanziarie che lo Stato riesce a far affluire al settore. In ogni caso analizzando i medesimi dati in relazione a questo indicatore ci accorgiamo che la diminuzione nel periodo 1985-2010 è del 66,1%.
Ho sempre detto che il grafico seguente ricorda quello delle vendite delle macchine da scrivere! Prima o poi usciranno di produzione.

Grafico 2. Il Fondo Unico per lo Spettacolo ed il Prodotto Interno Lordo (Fonte: Fonte: nostra elaborazione su dati Mibac e ISTAT).

Facendo un po’ di conti, anche con il pallottoliere, emerge con chiarezza che c’è qualcosa che non quadra. Come fa un settore economico (o non economico) a reggere una tale emorragia di risorse? Con gli stessi numeri, qualunque azienda privata avrebbe chiuso i battenti da un pezzo. Ebbene la risposta si può trovare andando a leggere i bilanci regionali e comunali. I fondi di questi enti nel tempo hanno sostituito quelli statali e i più avveduti se ne sono accorti. Farei anche notare che il federalismo è stato approvato da poco, ma nel settore è una realtà da molto tempo.
Abbiamo due vie d’uscita: una, quella che tradizionalmente va per la maggiore, è piangere miseria al ministro di turno, che per altro non ha un gran potere di decidere tant’è vero che è il mio omonimo ministro dell’economia a parlare con Muti; l’altra è quella di riformare il sistema. Escludo la prima perché è un copione già visto, provato e riprovato, e mi concentro sull’altra.
Arrivato a Torino alle Buone Pratiche mi sono imbattuto in un tassista che mi ha trasportato dall’aeroporto di Caselle all’albergo in centro. Mi ha chiesto per cosa ero venuto a Torino e gli ho risposto che ero stato invitato ad un convegno sul teatro. A questa mia affermazione mi ha subito chiesto: “Ma mi dica una cosa, a cosa serve il teatro?”
Questa semplice domanda mi ha fatto salire un brivido per tutta la schiena ed ho provato a dare una risposta di tipo economico. Gli argomenti che mi sono venuti in mente lì per lì sono stati: l’impatto sociale, il valore degli immobili, i benefici in termini di sicurezza, l’ampliamento delle proprie conoscenze e di conseguenza la possibilità di costruire una società migliore. Ma l’argomento più efficace è stato che in fondo se lui (il tassista) ha fatto quella corsa lo doveva indirettamente al teatro. Insomma con il teatro si guadagna, argomento da sempre caro ai tassisti e non solo. Alla fine della corsa mi è sembrato averlo convinto sulla necessità di finanziare i teatri. Ora, parlando chiaro, non posso convincere i tassisti a uno a uno, mi costerebbe una follia! Ma mi piacerebbe sapere adesso, da quello stesso tassista, cosa ne pensa della tassa sulla benzina (per la quale lui è un contribuente privilegiato) per finanziare i teatri.
Intanto vi dico la mia opinione: in uno Stato democratico la tassazione è lo strumento di riequilibrio delle disparità più opportuno e più efficiente (non saranno “bellissime” ma le tasse se ben coordinate, sono di sicuro efficaci). La discussione dovrebbe concentrarsi semmai sul come vengono imposte e cosa finanziano.
Tassare i cittadini per finanziare i teatri (o i cinema, la danza, gli ospedali, la difesa, l’ambiente, eccetera) dovrebbe dunque servire al riequilibrio delle possibilità di ciascuno di fruire di servizi pubblici necessari a un prezzo più basso di quello che sarebbe facendo agire la “mano invisibile” del mercato.
Una volta affermato questo principio, dovremmo però capire quali tasse devono finanziare cosa. Quale nesso c’è tra la benzina e il teatro? O le guerre (ophs! le missioni di pace) finanziate con le accise sulla benzina?
Secondo me nessuna. Sarei favorevole a una tassa sulla benzina che serva a disinquinare il mare dalle petroliere che ogni tanto hanno qualche problema e scaricano barili di greggio. Oppure sarei favorevole ad una tassa sulla benzina che finanzi un sistema più efficiente di trasporto pubblico collettivo. Ma il teatro proprio no. Non riesco a trovare un nesso logico.
Insomma, se il teatro lo consideriamo un servizio pubblico essenziale, dovrebbe essere finanziato con fonti ordinarie provenienti dalla tassazione sul reddito delle persone fisiche. Ciascuno contribuirebbe così a garantirsi quel servizio pubblico in misura proporzionale alle proprie disponibilità economiche. I poveri non pagherebbero per i trastulli dei ricchi (nella ormai consolidata percezione del settore da parte della collettività) e tutti potrebbero, se lo vogliono, usufruire del servizio a prezzi equi.
Ma perché sono partito dal tassista per parlare di come riformare il sistema di finanziamento al teatro? Perché secondo me uno dei temi cruciali sta proprio in questa coerenza di fondo tra entrate e uscite dello Stato. Il ministro di turno ha sbandierato l’integrazione dei fondi come un suo personale risultato, anzi quasi una precondizione per sostituire l’altro ministro. E molti operatori del settore hanno applaudito, si sono placati, hanno finalmente ottenuto quello che volevano, sono soddisfatti. Lo sono meno gli automobilisti, che poi sono anche quelli che potenzialmente vanno a teatro.
A me sembra evidente che questa soluzione di reintegrare i fondi con una soprattassa sulla benzina sia un escamotage per placare gli animi più di quanto possa essere una incisiva azione di riforma.
Ma qui si dovrebbe fare un passo indietro e capire cosa bisognerebbe fare per riformare il sistema: innanzitutto gli operatori del settore dovrebbero mettersi d’accordo su cosa vogliono fare nella vita; nessun Ministro farebbe una riforma di settore senza l’accordo degli operatori perché di sicuro una parte sarà penalizzata a favore di un’altra parte e di solito ai ministri non piace essere preso di mira dai teatranti.
In secondo luogo bisognerebbe capire con la maggiore precisione possibile cosa finanziare e come. E’ ancora attuale etichettare i generi teatrali? Musicali? Coreutici? E così via… E’ giusto finanziare soltanto la produzione e poco o niente la comunicazione, la diffusione, gli obiettivi di accesso, le nuove tecnologie, gli scambi internazionali? solo per citare alcuni ambiti di attività.
E soprattutto siamo disposti ad avere un sistema efficace di monitoraggio dei risultati raggiunti che rimetta in discussione lo stesso finanziamento. In altri termini ci va’ di premiare il merito? E come lo misuriamo?
Anche questo passaggio è cruciale. Non possiamo più lamentarci del fatto che i tagli (e i reintegri) siano orizzontali se non abbiamo elaborato noi stessi un sistema di merito che ci differenzi. Ci sono tanti teatri (o tanti ospedali) che se chiudessero nessuno se ne accorgerebbe. Forse è legittimo in questi casi farli chiudere. Soprattutto in un momento di crisi economica e finanziaria nella quale ciascuno deve fare dei sacrifici.
La soluzione della benzina sul FUS non affronta nessuno dei nodi cruciali che ho elencato, e spaventa ancora di più l’’allegria con la quale è stata accolta, l’’inconsapevolezza con la quale si sta perpetrando un sistema evidentemente al collasso, l’incapacità di individuare ed affrontare i temi più cogenti ed individuare le soluzioni possibili all’affanno nel quale le istituzioni culturali del nostro paese si trovano.
Da molto tempo credo sia necessaria una riflessione critica sul sistema di finanziamento allo spettacolo ed in generale alla cultura. E’’ arrivato il momento di voltare le spalle al vecchio e di guardare ai possibili scenari futuri. E’ compito di ciascuno e di tutti coloro che amano e odiano il teatro.

Giulio_Stumpo

2011-09-03T00:00:00




Tag: FUS aka FNSV (137)


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