BP2012 Spazi Fare teatro nelle periferie

Prime considerazioni su "Teatri a Milano, Teatro Ringhiera, teatro oggi"

Pubblicato il 02/04/2012 / di / ateatro n. #BP2012 , 138

Grazie a questi anni passati nel Teatro Ringhiera, ho cominciato a focalizzare alcuni punti a mio avviso nodali circa il teatro e Milano, gli spazi e i loro usi diversi.
1 . Milano ha davvero bisogno di un’’altra stagione?
2. La forza del teatro sta anche al di là degli spettacoli: esso è lo strumento culturale più efficace per l’integrazione sociale.
3. Per riuscire ad aumentare pubblico e clienti dei teatri milanesi, bisognerebbe diversificarne le mission, partendo da un’analisi accurata delle specifiche.
4. Definite le diverse attività e mansioni, si dovrebbe fare rete. Alla concorrenza tra teatri si dovrebbe sostituire un concetto più sostenibile di utilità reciproca, a seconda delle funzioni individuate. Collaborare per diversificare l’offerta e la clientela.
Ecco, mi piacerebbe, a fronte dell’esperienza del Ringhiera, avviare un dialogo con le Istituzioni e gli altri teatri finalizzato alla definizione congiunta di una nuova geografia teatrale a Milano. Per questa volta, almeno in questa prima analisi, non partire dai soldi, ma partire dalle idee.
Un teatro è fatto di molti elementi: la natura e la storia dei nuclei artistici che lo dirigono, i luoghi fisici in cui è inserito, con tutto ciò che ne comporta, le caratteristiche architettoniche e strutturali di una sala rispetto ad un’’altra, la vitalità del tessuto sociale cittadino. Se ogni spazio teatrale arrivasse a definire la sua identità specifica, si potrebbe lavorare su nuovi e diversi pubblici. Il pubblico delle stagioni è comunque sempre lo stesso che gira tra le sale a seconda degli interessi. Non si può sperare di spremere all’infinito sempre le stesse persone. E’ un circolo vizioso dal quale non si esce. E’ una logica che prima o poi è destinata a fallire. Valorizzare le differenze, anche in termini di investimento economico e promozionale potrebbe rivelarsi utile a tutti.

Il Teatro Ringhiera
Organizzare una stagione nel senso tradizionale del termine, compagnie ospiti, repliche tutto l’anno, ecc. ecc. è impresa non solo difficilissima in quel luogo di Milano ma forse anche senza senso. Meglio di noi, perché più forti economicamente e storicamente, sono altri teatri che hanno saputo e sanno garantire a Milano le migliori stagioni in Italia ( Piccolo, Elfo Puccini, Franco Parenti, CRT, Teatro I, Teatro della Cooperativa, per citare quelli a mio avviso più significativi). Il Teatro Ringhiera vive in una zona dove più che lo spettacolo di Ronconi, servono servizi sociali, serve un lavoro direi quasi para medico di inclusione e integrazione del disagio e dell’alienazione caratteristiche di quella periferia. L’ATIR non è solo un gruppo che produce spettacoli ma un gruppo che vive il teatro come esperienza sociale a tutti gli effetti. Il teatro che studia la qualità di relazione tra gli individui, che ne incoraggia il confronto, che favorisce l’incontro e la crescita reciproca attraverso esperienze intense e uniche, questo è anche il nostro teatro. Una comunità che si cura col teatro. Se il Ringhiera diventasse esattamente questo, per la sua zona, certo, ma anche per tutta Milano, ecco, questo vorrebbe dire poter rendere una sala un luogo riconoscibile e unico a Milano di cui potrebbero servirsi anche gli altri teatri nel momento in cui avessero a gestire progetti di quel tipo. Lavori professionali su anziani, diversamente abili, bambini, adolescenti in difficoltà, da una parte. Dall’altra sala prove a disposizione di giovani gruppi bisognosi, laboratori teatrali e non solo di grandi nomi, convegni di un certo rilievo e eventi particolari. A questo proposito sarebbe opportuno mobilitare forze imprenditoriali lontane da un teatro come il Ringhiera e che però potrebbero, proprio in virtù della sua particolarità, trovarci qualcosa di nuovo e bello per loro: sfilate di moda, esposizioni del salone del mobile, qualche concerto di MITO. Insomma i produttori e creatori di cultura a Milano, i vari direttori artistici, potrebbero contare su una sala speciale per location e per struttura, potrebbero contare su un luogo “vergine” e originale dove svolgere iniziative particolari. Se si riesce a creare “ movimento”, diventa più facile sperare in investimenti chiave come bar, ristoranti, panchine, spazi giochi per i bambini, di cui c’è assoluta mancanza al Boifava e senza i quali nessun futuro reale è immaginabile. E l’ATIR? L’ATIR coordinerebbe questo lavoro, seguirebbe i laboratori e i loro momenti di confronto pubblico, garantirebbe le sue energie e risorse umane al servizio di un progetto nel quale crede da sempre. Non gestiamo un teatro per farne il nostro teatro ma per farne il teatro del quartiere e della città. Per i nostri spettacoli valuteremo di volta in volta: se saranno adatti al Ringhiera e alla sua new mission li presenteremo lì, se invece non saranno in linea, potremo andare altrove ( in uno dei teatri di stagione di Milano di cui parlavo prima o se non fosse possibile, troveremmo altre soluzioni come le abbiamo sempre trovate quando non avevamo il Ringhiera).
Anche sul concetto teatro di quartiere/teatro di città, credo che il futuro stia nel pensarla diversamente ovvero teatro di “funzione”, cioè un teatro che si definisce sulla base della tipologia di attività che vi si fanno, che poi sia di quartiere o di città diventa una questione piuttosto futile. Per arrivare a costruire l’identità, infatti, si ragiona proprio su cosa ha bisogno il quartiere e cosa può dare quel quartiere, e più mi definisco, più divento indispensabile per il resto della città. Nel nostro caso, pertanto, la logica dell’inclusione sociale va a costruire un’identità capace di favorire una maggiore e migliore integrazione tra il Ringhiera e il quartiere, il Ringhiera e la città, il Ringhiera e gli altri teatri. E traslando lo stesso concetto su tutti gli altri teatri milanesi, uno sforzo comune per ridefinire compiti e funzioni, identità e specifiche dell’uno rispetto all’altro, potrebbe portare, almeno questa è la nostra convinzione, ad una nuova, più ampia, più ricca e più efficace geografia culturale della città.

Serena_Sinigaglia

2012-04-02T00:00:00




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