#ValoreCultura. Un decreto con il TRIC: è vera riforma?

I punti di forza e le debolezze del progetto del MiBACT

Pubblicato il 29/04/2014 / di and / ateatro n. 149

Ateatro ha divulgato e commentato il decreto “Valore cultura”, seguendo con attenzione il suo iter (anche con l’incontro pubblico organizzato presso il Centro Congressi di Fondazione Cariplo a Milano con il Ministro Bray il 19 ottobre 2013).
Successivamente convertito in legge, il decreto ha imposto al Ministro la promulgazione di un decreto applicativo: si sta concludendo il processo che – attraverso una sequenza di incontri con rappresentanze degli operatori, per la prima volta allargato al di fuori delle “parti sociali” tradizionali (pensiamo in particolare a Cresco) – ha portato all’articolato diffuso nei giorni scorsi.

In particolare, per il dossier #Valore Cultura di Ateatro, vedi bp2013 #ValoreCultura, con la lettera dell’Assemblea dell’Associazione Culturale Ateatro al Ministro Bray che sollecitava alcune precise modifiche

Cosa succederà ora?

Il provvedimento è stato rimandato alle categorie e alle Regioni. Nella relazione introduttiva che accompagna lo SCHEMA di provvedimento, con i relativi Allegati, il Direttore Generale del MiBACT Salvo Nastasi precisa che

si sottopone, quindi, alle valutazioni della S.V. lo schema di provvedimento, con i relativi Allegati, contenenti le modalità più strettamente tecniche per l’attuazione delle procedure di valutazione dei progetti e di assegnazione dei contributi. Ove dette valutazioni abbiano esito positivo, il testo potrà iniziare l’iter formale, che prevede, come primo passaggio, la sottoposizione alla Conferenza Unificata per l’acquisizione del parere prescritto, ai sensi dall’art. 9 del citato d.l. valore cultura.

L’attività culturale in quanto materia concorrente non riguarda infatti solo lo Stato centrale (il Ministero), ma appunto “la Conferenza Stato – città ed autonomie locali, unificata per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane, con la Conferenza Stato – regioni”. In particolare “la Conferenza unificata assume deliberazioni, promuove e sancisce intese ed accordi, esprime pareri, designa rappresentanti in relazione alle materie ed ai compiti di interesse comune”.

Il parere quindi è necessario. I rapporti di forza negli ultimi anni sono decisamente cambiati: i problemi finanziari delle Regioni e degli enti locali hanno portato negli ultimi anni a ridimensionare la capacità e forse la volontà di incidere sulla materia (con eccezioni naturalmente). Siamo ormai lontani anche dalle “prove di concertazione” che erano sembrate una possibile via di riforma, come era avvenuto col “patto Stato-Regioni” promosso nel 2007 dal Ministro Rutelli (se pure con esiti molto diversi). Non bisogna dimenticare, infine, che proprio la definizione delle materie concorrenti è uno dei temi più controversi della famosa riforma del titolo V della Costituzione.
Se gli equilibri fra gli enti sono sbilanciati a favore dello Stato, il passaggio dalle valutazioni della conferenza potrebbe portare a modifiche significative. L’orientamento e l’esperienza di alcune regioni, territori, città potrebbe contare non poco nella revisione di alcuni punti discutibili del decreto. La discussione sembra del resto ancora relativamente aperta anche per gli operatori – se abbiamo capito bene – senza tuttavia intaccare l’impostazione di fondo (triennalità, stabilità …).
La relazione di Nastasi sottolinea con convinzione che si dà vita a un “sistema radicalmente innovativo di sostegno finanziario dello Stato”, che introduce a fianco degli ambiti disciplinari tradizionali “il sostegno a progetti multidisciplinari” e ad “azioni trasversali” .
Evidenzia soprattutto

L’adozione dei nuovi criteri di attribuzione dei contributi a valere sul Fondo Unico per lo spettacolo (FUS) si colloca in una visione che assegna, in generale, alla cultura un ruolo centrale nelle dinamiche di sviluppo dell’Italia, e nella quale, quindi, anche le attività artistiche costituiscono elemento di riferimento per lo sviluppo del Paese. (…) Si intende rispondere, così, all’esigenza diffusa e sentita di regole più adeguate ai cambiamenti che il sistema dello spettacolo dal vivo ha registrato negli ultimi anni, apportando modifiche sul piano della razionalizzazione del sistema stesso e della efficacia e della efficienza del contributo pubblico.

Le intenzioni sono “premiare la qualità dei progetti e la professionalità dei soggetti”, “promuovere un incremento dell’accesso e una fruizione qualificata”, con “maggiore trasparenza ed equità”.
Nastasi sottolinea come la triennalità nella assegnazione dei contributi sia uno “uno snodo centrale della architettura del nuovo sistema” che consentirà miglioramenti sul piano della programmazione, del credito, del reperimento di risorse.

Il nuovo sistema intende assicurare strumenti e leve di sviluppo nella dinamica dell’offerta e della domanda sul piano nazionale, consentendo altresì un radicamento nei rispettivi territori soprattutto da parte degli organismi che più ne sono responsabili.

Da qui gli interventi previsti sulla stabilità teatrale finalizzati a migliorare l’offerta nelle comunità e a razionalizzare (“in un quadro che aveva visto moltiplicare il numero delle realtà, senza produrre un reale sviluppo di sistema”). Nel complesso si prevede un

innalzamento dei requisiti minimi di accesso (ad eccezione delle prime istanze per il primo anno e delle formazioni under 35), in relazione ad una selezione della stessa capacità imprenditoriale e dei maggiori livelli quantitativi di produzione ed attività e degli indici di affluenza del pubblico indicati dal citato decreto valore cultura.

Completa le novità del quadro la possibilità di operare su più generi (per festival, organismi di distribuzione e esercizi), “azioni trasversali e di sistema” (ricambio generazionale, il perfezionamento professionale, interventi a sostegno dell’inclusione sociale).
Infine

l’Amministrazione potrà procedere alla realizzazione di speciali progetti di promozione individuati dal Ministro e in base al trasferimento delle funzioni già svolte dal soppresso Ente Teatrale Italiano, come disposto dalla Legge n. 122/2010.

Nastasi sottolinea che il decreto è il significativo frutto di una elaborazione e sintesi di innumerevoli contributi specialistici, del confronto con gli utenti e con le associazioni di categoria, “sviluppati nell’ambito di quell’ottica di collaborazione concertata che ha cercato sempre di contraddistinguere l’azione amministrativa dello scrivente, maggiormente e primariamente in una circostanza come questa, che prelude ad un cambiamento di così rilevante portata.”

Dunque nella sintesi del Direttore generale non è solo una riforma: è una riforma che nasce condivisa.

La lettura dello SCHEMA di decreto, ora finalmente disponibile in forma di articolato, aiuta a cogliere luci e ombre che lucidi e power point tendevano ad appiattire. Si colgono meglio tendenze e dettagli che, se non contengono “il diavolo” (come spesso si dice in queste settimane di riforme affrettate), fanno emergere con più chiarezza i problemi e rivelano vecchi vizi radicati.

Le domande e i problemi di fondo secondo Ateatro

Sarà vera riforma? Il nodo delle risorse

Ci troviamo di fronte a una vera riforma o a una spending review di settore? Ovvero una selezione, più o meno ragionata e pilotata, in presenza di risorse sempre più scarse?
In Italia si parla di riforme tutti i giorni, ma vale la pena di sottolineare che i requisiti – o i pre-requisiti – perché una riforma sia tale sono sostanzialmente due: deve innovare e deve migliorare lo stato delle cose.
Ma si possono immaginare nuovi assetti senza risorse?
Certo, in teoria. Ma è questo il caso?
Teatri Nazionali, TRIC, nuove istanze, multidisciplinarietà, 60 progetti di promozione: dove si potranno recuperare le risorse per sostenere queste scelte ai livelli di quantità/qualità richiesto? Sarà sufficiente tagliare le “rendite di posizione”? Quanti tra gli stabili pubblici, privati, di innovazione, riusciranno a superare l’asticella del TRIC? Certo, il denaro pubblico va speso bene, e a maggior regione in tempi di crisi. Ma basterà drenare le risorse dei “rami secchi” per rilanciare il settore?
Insomma, dopo i tagli degli scorsi anni occorrono più risorse, e a maggior ragione sono necessarie per reggere questi nuovi obiettivi, aree, categorie. Lo stesso Ministero non dovrebbe avere difficoltà a simulare il fabbisogno, non secondo il metro del desiderio ma sulla base degli obiettivi e di un minimo di equità territoriale (le riforme dovrebbero avere anche respiro programmatico).

I Teatri Nazionali

Un Decreto legge non è certo la sede adatta per un ragionamento critico sulla storia e sulla funzione degli stabili e dunque sul teatro pubblico in Italia. Tuttavia parlare di Teatri Nazionali in un paese dove non sono mai esistiti (per innumerevoli motivi, che affondano nei secoli e nel Novecento) è una grande responsabilità culturale che il MiBACT si assume a cuor leggero, e con un pizzico di incoscienza: basti pensare alle ricadute che avrà questa scelta sui diversi territori.

Stato e Regioni: squilibri, equità, operatività

I nuovi assetti prefigurati dal decreto richiedono l’apporto determinante degli enti territoriali, ma la riduzione delle risorse allo spettacolo e alla cultura è un dato quasi generalizzato. Inoltre le condizioni normative e operative sono molto diverse da una Regione all’altra. E’ possibile immaginare una nuova articolazione del teatro italiano con condizioni territoriali così squilibrate?

Un patto tra il Ministero e il teatro italiano

La “riforma” chiede al settore un grande impegno culturale e gestionale, a cominciare dalla progettazione pluriennale (che era stata considerata impraticabile nei primi anni 2000, in tempi di relativa stabilità). Chiede risultati quantitativi impensabili in tempi di crisi. Se la riforma sarà possibile, lo sarà grazie all’impegno e alla fantasia degli operatori, giovani e meno giovani.
Nel contempo, il decreto è costellato da balzelli, trabocchetti, diffidenze, sfiducia e interferenze continue e totalmente inefficaci, sul terreno sia progettuale sia gestionale. Non pensiamo che i teatranti siano mammolette (però non sono neppure un’associazione per delinquere finalizzata a estorcere contributi pubblici). E’ necessario stabilire un patto: che, almeno nel primo triennio, il MIBAC si dia i tempi e i modi della flessibilità, per verificare le scelte, assestarle, misurare gli effetti, discuterli con il settore, sperimentare nuove forme.
I casi sono due: o questa non è una vera riforma ma solo un aggiustamento che ha l’obiettivo di “ripulire il settore”, facendo finta di cambiare tutto per non cambiare nulla. Oppure si tratta di una riforma strutturale, che avrà un impatto profondo (e per certi aspetti devastante) sul sistema, e dunque è opportuno garantire grande flessibilità per assorbire gli inevitabili contraccolpi.

La selezione

Lo sforzo è apprezzabile, ma viene un dubbio: non è che i princìpi matematici e proporzionali hanno preso la mano (dei tecnici e nella discussione)?
I criteri quantitativi sono fortemente sbilanciati verso il mercato, quelli indicizzati sono opachi e complicati, quelli qualitativi sono segmentati. E’ molto difficile che le Commissioni possano operare con efficacia.
In generale, la sensazione è quella di una impostazione ingegneristico-burocratica (vedi i labirintici allegati) che tenta di prevedere tutto e oggettivare per quanto possibile i criteri, in modo da de-responsabilizzare l’amministrazione.
La quadratura del cerchio è impossibile, ma la via scelta non è l’unica possibile. Molti “dettagli” sono affidati ad altri decreti (triennali del Direttore generale), forse c’è ancora tempo per una discussione sgombra da slides?

Il lavoro

Non è facile valutare l’impatto della riforma sul fronte del lavoro.
Certamente la selezione porterà molte realtà sull’orlo del fallimento (e pure oltre). Altri tagli arriveranno da fusioni e accorpamenti. Per molte realtà il decreto prevedere quote di lavoratori assunti a tempo indeterminato (anche se favorisce figure tradizionali e non le nuove professionalità).

Insomma, resta ancora molto da fare i questi mesi. Come operatori, come categorie, come movimenti, come movimenti di opinione. Forse, se abbiamo capito bene.




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