Teatro e politica: impegnarsi per l’Europa

Intervista a Costanza Boccardi, candidata nella lista "L'altra Europa per Tsipras"

Pubblicato il 13/05/2014 / di / ateatro n. 150

ateatro ha presentato con regolarità le posizioni nei confronti del teatro e della cultura in genere in occasione di diverse tornate elettorali, politiche soprattutto. Nel dibattito in corso per le prossime europee di cultura si parla molto poco, eppure è un tema “trasversale”, costitutivo degli stessi presupposti della Comunità, strategico sul terreno dello sviluppo economico e occupazionale. Proviamo a colmare la lacuna cercando fra i candidati i pochi colleghi che hanno scelto di impegnarsi per l’Europa.
Cominciamo da Costanza Boccardi, che lavora da molti anni a Napoli con i Teatri Uniti, e ha scelto di impegnarsi e candidarsi nella lista “L’altra Europa con Tsipras” (in cui si presentano fra gli altri anche Ivano Marescotti e Moni Ovadia).

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Puoi dirci prima di tutto i motivi di questa scelta?

E’ stata una scelta personale sull’onda di un improvviso e imprevisto entusiasmo sbocciato quando tutto intorno sembrava incagliato in una palude stagnante, una strada senza sbocchi, un tunnel di cui non si scorge l’uscita. Nelle parole di chi mi ha chiesto la disponibilità, negli occhi di chi ha parlato di questa nuova possibilità ho scorto la passione che ridona il fiato a chi si sente scoraggiato e vinto. Per questo non ho esitato a mettermi in gioco né ho voluto più di tanto riflettere ed ascoltare strategie. Ho colto la possibilità del cambiamento che può realizzarsi sottraendosi alla tirannia di leggi economiche e finanziarie che siamo stati noi a costruire e che noi, come cittadini europei, possiamo modificare. Per fare questo è però necessario riconoscere e riportare alla base delle politiche europee valori desueti e apparentemente sopraffatti, primo tra tutti la solidarietà e l’interdipendenza, poiché nessuno può salvarsi da solo. Il primo e fondamentale passo da compiere è quindi ridare spazio a tutte quelle vertenze provocate da scelte dei poteri economici transnazionali (un esempio tra tutti: la progressiva riduzione delle risorse per la scuola pubblica) che nei singoli paesi Europei non hanno più modo di esprimersi, e che vengono sempre più identificate in ‘estremismi’ con cui gli Stati si rifiutano di dialogare. La presenza nel Parlamento Europeo di un gruppo politico che raccolga sotto la guida di Alexis Tsipras, leader del paese più provato dalle attuali politiche economiche, tutte le espressioni della sinistra europea, potrà creare un necessario contrappeso alla deriva neoliberista e alle spinte antieuropeiste e xenofobe che possono emergere dalle prossime elezioni.

Puoi sintetizzare in poche parole gli obiettivi e la filosofia della lista?

Per costruire l’altra Europa ci sono tre priorità politiche:
1) Porre fine all’austerità e alla crisi, con gli strumenti indicati nei 10 punti del piano,
2) Avviare la trasformazione ecologica della produzione, per rispondere alla crisi ambientale e dare priorità alla qualità della vita, alla solidarietà, all’istruzione, alle fonti energetiche rinnovabili, allo sviluppo ecosostenibile,
3) Riformare le politiche europee dell’immigrazione, rifiutando il concetto di “Fortezza Europa” che alimenta forme di discriminazione, e garantendo invece i diritti umani, l’integrazione, il diritto d’asilo e le misure per la salvaguardia dei migranti, costretti ad affrontare viaggi in cui è a rischio la loro stessa vita.
I contenuti principali del Piano contro la crisi sono: la fine immediata dell’austerità, un programma di ricostruzione economica (finanziato direttamente dall’Europa), la sospensione del patto di bilancio europeo (Fiscal Compact), una Conferenza europea sul debito (simile a quella che nel 1953 alleviò il peso del debito che gravava sulla Germania, e le consentì di ricostruire la nazione dopo la guerra), una vera banca europea (e credito a costi contenuti a piccole e medie imprese), una legislazione europea per tassare i guadagni delle operazioni finanziarie.

Perché può aver senso in Italia per le elezioni europee votare una lista che fa riferimento politico un NON italiano?

La scelta di un politico non italiano ci parla di elezioni che sono il banco di prova per avviare gli Stati Uniti d’Europa, dato che ancora non esiste realmente un’Europa politica su base costituzionale ma solo un’unione economica basata su trattati. Che si tratti poi di Alexis Tsipras, il leader di Syriza, il massimo partito della sinistra greca, significa riporre la speranza del cambiamento nel paese che per primo e più pesantemente è stato attaccato dalle politiche di austerità. E’ sia un monito sia una prospettiva concreta, due elementi di riflessione di cui in Italia vi è estremo bisogno.

Tu ti sei sempre occupata di teatro, di cinema, di formazione, di cultura in genere prevalentemente dalla città di Napoli. Che spazio ha la cultura nella visione -marcatamente sociale- dell’Europa e del suo futuro della lista Tsipras?

Ho sempre operato sia nella politica, per la difesa dell’acqua e della scuola pubbliche, sia nella cultura, principalmente attraverso il teatro e il cinema. Ho capito presto quanto i due aspetti siano interdipendenti. Senza cultura ci è impossibile riflettere sul presente ed immaginare un futuro, darsi una strategia di azione a lungo termine, cogliere le dinamiche sottese all’evolversi dei processi, ma senza il respiro politico, nel senso di attenzione alla polis, la cultura rischia di diventare solo ricerca estetica, o peggio mero intrattenimento, evasione fine a sé stessa.
Il teatro ha da sempre una sua forte valenza politica, perché è dialogo che avviene nell’immediato fra attori e spettatori. Il suo valore sociale prescinde quindi sia dalle tematiche sia da finalità di integrazione delle fasce disagiate, il teatro è politica nel momento in cui diviene il luogo privilegiato dove la polis legge e comprende se stessa, basti pensare al “ha da passà ‘a nuttata” che sintetizza in una battuta tutta l’aspettativa tragica del secondo dopoguerra italiano.
Con Teatri Uniti ho scelto di restare a Napoli, una città meravigliosamente complessa, soglia del futuro e non semplice retaggio del passato, la città che in questi decenni è stata il luogo di maggior sperimentazione di tensioni contrapposte, percorsa dallo scontro tra legalità ed illegalità, svuotata dalla nuova emigrazione intellettuale (dalla Campania partono ogni anno 20.000 laureati) e percorsa da una disoccupazione crescente, ma anche la città nella quale più forte è stato il movimento in difesa dell’acqua pubblica e dei territori devastati dalla crisi dei rifiuti. Restare a Napoli significa rispondere alla necessità di situare il lavoro del teatro e del cinema in una tensione politica che innervi la ricerca artistica, ‘fare politica culturale’ nel senso più alto del termine.
L’ Europa ha la responsabilità di ridare spazi alla cultura, siano i luoghi fisici aperti soprattutto ai giovani, sia le risorse economiche necessarie alla libertà dell’espressione artistica sottratta alle mere logiche di mercato. Non per caso la lista L’Altra Europa con Tsipras scaturisce da un appello di intellettuali consapevoli della difficilissima crisi antropologica nella quale l’Europa si trova. Anche il nodo centrale di queste elezioni europee, la politica economica, è il portato di un confronto ideologico e culturale, della contrapposizione tra una visione del mondo di ‘sinistra’, che definirei includente e solidale, e una di ‘destra’, escludente e governata dalla ricerca del profitto e dal mantenimento del privilegio.

Cosa significa secondo te quella strana quadratura del cerchio che l’Europa chiede da sempre nei programmi culturali, ovvero valorizzare il “retaggio” comune, l’identità europea, e assieme le specifiche  identità regionali?

Europa significa sintesi di identità diverse caratterizzate della propria specifica realtà territoriale (non si potrebbe pensare Goldoni senza Venezia) e portatrici di un respiro universale. Europa è cinema, danza, musica, letteratura, è dialogo tra paesi diversi che crescono proprio nel reciproco confronto. Un esempio della ‘quadratura del cerchio’ può essere la rete dei Teatri d’Europa inventata da Giorgio Strehler, la capacità di mettere in relazione internazionale la forma d’arte che più sembrerebbe legata ad un singolo paese. Non dimentichiamo poi che la prima ‘rete’ europea è stata proprio quella degli studenti medievali che si spostavano da un’università all’altra veicolando conoscenze e stimolando ricerca.

Piu in concreto, sono soddisfacenti/ contestabili/ da riformare gli interventi sulla linea Creative Europee secondo voi? anche nel rapporto fra le diverse discipline e nell’area Media (come si può favorire la produzione cinematografica europea d’autore: si fa abbastanza?). Può aumentare la voce di bilancio dedicata alla cultura? E come si può garantire spazio al settore cultura e spettacolo nel quadro dei fondi strutturali e dei fondi sociali (è di questi giorni una pressione quasi disperata delle compagnie lombarde sulla regione Lombardia che ha inserito nelle voci interessate dai fondi moda  e design e NON spettacolo)

Riteniamo che il bilancio dedicato alla cultura debba aumentare, e che sotto il termine cultura non debbano andare le attività legate al turismo di massa ma quelle che hanno nella creatività, nella conservazione e nella ricerca di nuove forme di espressione la loro specificità. Le linee di intervento risultano purtroppo molto farraginose e burocratizzate, poco agili soprattutto per realtà in crescita che vengono regolarmente superate da strutture statali già ampiamente finanziate, mentre l’Europa dovrebbe essere il volano per lo sviluppo soprattutto delle giovani generazioni. Da valutare con grande attenzione l’impatto che i nuovi trattati commerciali, quali il T.T.I.P. (Transatlantic Trade and Investment Partnership), possono avere in particolar modo sul cinema nazionale e d’autore.

Parliamo di SUD. All’ultima edizione delle Buone Pratiche, una sessione era dedicata alla “questione meridionale del teatro”: una delle riflessioni è stata che – a fronte dei problemi così gravi e generalizzati del settore- non esiste più una questione “meridionale”, la questione è generale. Eppure spazi, organizzazioni, finanziamenti: tutti gli indicatori mostrano un meridione ancora fortemente svangaggiato..
A tuo parere c’è una politica per il SUD d’Italia e per la CULTURA e lo SPETTACOLO al sud che si può/deve fare in Europa?

Ritengo che la questione meridionale sia molto attuale. Sono cresciuta a Firenze, ho studiato a Milano e a Bologna, vivo e lavoro a Napoli, e mai come adesso sento una differenza tra nord e sud in termini soprattutto di mancanza di risorse, di strutture, di investimenti. La scuola pubblica di teatro più meridionale d’Italia si trova a Roma, nonostante anni di tentativi per creare un modello di Scuola Civica d’Arte Drammatica a Napoli, e questo comporta la perdita di tantissimi talenti che sono costretti ad andare a studiare al nord e là poi rimangono. La situazione è particolarmente difficile soprattutto fuori dai capoluoghi, in zone ad altissima densità abitativa in cui non vi sono teatri, cinema, biblioteche, spazi culturali di alcun genere. L’ultimo tentativo organico di intervento nazionale fu fatto dall’ETI con il progetto Aree Disagiate, purtroppo interrotto poi con la soppressione dell’Ente stesso.
Quando parliamo di sud non possiamo dimenticarci inoltre che il tema meridionale riguarda tutto il bacino del Mediterraneo, comprendendo anche il nord Africa e il Medio Oriente; l’Italia deve tornare ad essere il crocevia dei popoli del Mediterraneo, il luogo nel quale le civiltà si incontrano e comunicano tra sé; non avremmo Venezia senza Bisanzio, la Magna Grecia senza l’Ellade, la Sicilia senza gli Arabi. E invece siamo divenuti solo la sentinella arcigna che con la legge Bossi-Fini impedisce ai migranti di cercare una via d’uscita alla loro disperazione.

Pensi che l’eventuale riconoscimento di capitale europea a una città del sud nel 19 (fra le città candidate ci sono Lecce, Matera, Cagliari) possa essere un’occasione importante?

La capitale europea della cultura in Italia meridionale potrebbe essere un’occasione da sfruttare, se si riesce a sfatare l’idea diffusa che il Sud sia terra di conquista occasionale e non luogo di sviluppo (basti pensare al Festival del Teatro a Napoli). Colpa nostra il non saper difendere tutto ciò che produciamo, la nostra immensa ricchezza culturale ed artistica. Colpa altrui il considerarci una terra a cui sottrarre continuamente risorse e in cui intombare rifiuti che nessuno vuole.

Di cosa vorresti occuparti in particolare a Bruxelles?

I tre ambiti di intervento nei quali si articola la mia campagna elettorale europea sono il teatro, l’istruzione e la difesa dell’acqua pubblica.
Il teatro è il luogo della mia vita lavorativa, non potrei immaginarla senza il palcoscenico. E’ un luogo fisico, ma soprattutto è il luogo nel quale si incontrano uomini e donne alla scoperta del mondo. Il teatro è passione, quanto di più lontano ci sia dall’intrattenimento, quanto di più vicino alla filosofia, al lanciare lo sguardo verso l’assoluto. Il teatro è cultura, una delle profonde radici costitutive dell’identità europea, un linguaggio comune ed universale perché fatto da esseri umani per altri esseri umani, perché vive della relazione reale e non virtuale. Proprio in questa sua apparente marginalità risiede la sua capacità di opporsi all’omologazione e alla legge del profitto ed esaltare le particolarità di ogni comunità nel confronto con il mondo. Nella sua incongruità economica e nella precarietà della vita dei professionisti che lo abitano trova cittadinanza la necessità di ripensare le politiche economiche europee. Portare il teatro in Europa significa chiedere che vengano ripensati modelli di finanziamento troppo rigidi, poco attenti alle necessità dei giovani teatranti, appiattiti su un rapporto di resa quantitativa e incapaci di valutare la qualità della proposta offerta. E significa chiedere le risorse perché le zone più culturalmente disagiate possono avere luoghi nei quale fare e vedere teatro, luoghi di socialità e di formazione del pensiero e dei giovani.
Alla base della cultura c’è il nodo dell’istruzione. In Italia al momento attuale la cultura viene vissuta come un fastidioso ‘di più’ che sottrae risorse al profitto, qualcosa che ‘non si mangia’, e questo non riguarda solo gli artisti in senso lato, ma tutti gli intellettuali, a partire dalla classe insegnante. Forse proprio perché solo la cultura può fornire gli strumenti atti a comprendere la realtà? Forse perché per mantenere l’attuale situazione di dominio del consumo acritico è necessario privare gli individui della capacità di riflettere, se non secondo binari prestabiliti, determinati da interessi economici?
Per parlare di cultura in rapporto con la società bisogna allora partire non tanto da chi la cultura la produce quanto da chi della cultura dovrebbe usufruire, dalla cultura dovrebbe trarre le competenze fondamentali per capire se stesso e il mondo che lo circonda. Nella crescita di un bambino i luoghi di formazione sono la famiglia nella quale nasce, con tutte le disparità che questo comporta, e la scuola, che dovrebbe essere il luogo dell’uguaglianza. Il bambino a scuola trova spesso un ambiente inospitale, lacerato suo malgrado dalle tensioni derivanti dalla mancanza di risorse, un luogo nel quale si sta oggettivamente male perché spesso sporco, troppo freddo o troppo caldo, scomode le sedie e i banchi, spoglie e scrostate le pareti. In questo luogo è costretto ad apprendere nozioni e ‘competenze’ a lui per lo più estranee, distanti, che non trovano riscontro immediato nella sua vita. Ecco allora che la scuola diviene un mondo ostile, da cui fuggire quanto prima, a cui strappare un pezzo di carta obbligatorio per riconquistare un’agognata libertà. E per non leggere mai più. Rispettare e motivare anche economicamente gli insegnanti significa ridare loro il ruolo centrale nell’educazione dell’Italia che verrà, formare i giovani alla cultura significa restituire alle scuole la possibilità, anzi l’obbligo, di condurre in visita gli alunni nella propria città sin da piccolissimi, di far loro scoprire il teatro e il cinema, di essere aperte fino a tardi, corredate di palestre e biblioteche, in una parola luoghi in cui crescere e non prigioni da cui fuggire.
La difesa dell’acqua quale bene comune è stata invece la grande battaglia nella quale in Italia abbiamo compreso cosa significava cedere alla lusinga e all’obbligo della privatizzazione dei beni essenziali. Abbiamo ottenuto a Napoli, oltre alla vittoria referendaria, anche la costituzione di ABC, l’azienda speciale Acqua Bene Comune che gestisce in modo totalmente pubblico le risorse idriche napoletane. E’ stata una vittoria di grande importanza nazionale ed internazionale, la dimostrazione che era possibile la ripubblicizzazione dei servizi essenziali. Ma perché non rimanga una vittoria isolata è necessario che a livello europeo venga recepita la Legge d’Iniziativa Popolare europea proposta con oltre 3 milioni di firme, e soprattutto è necessario che venga cambiata la linea economica di austerità che sta alla base della svendita delle ricchezze dei singoli stati, e l’acqua è tra queste una delle più importanti data la sua crescente scarsità.




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