La progettualità del teatro privato

L'intervento per le BP Oltre il Decreto, Siena, 19 maggio 2016

Pubblicato il 19/05/2016 / di / ateatro n. #BP2016 , 159 , Passioni e saperi

Vedi anche Mimma Gallina, Oltre il Decreto, FrancoAngeli, Milano, 2016, p. 81.

copertina Oltre il DecretoIl decreto nacque per dare “sistemazione” ad un settore da troppo tempo vissuto nella conservazione e tutela corporativa di sé (molto di noi avevano ripetutamente denunciato tutto ciò, io per primo da presidente del teatro privato (ANTPI) fin dal 2005 in occasioni private e pubbliche e mi guadagnai per questo la gogna e una delle pagine più difficili della mia esperienza associativa.

Nacque per definire un ordine attraverso il quale il finanziamento pubblico avesse trasparenza e criteri certi e oggettivi, con scelte ragionate senza pregiudizi, con l’obbiettivo di  creare le condizioni per una creatività nuova, da sempre impantanata e soffocata dalle oligarchie e dalla “casta” del sistema.

Nacque per incentivare e sostenere la partecipazione diffusa di un nuovo pubblico.

Nacque per “svecchiare” i vecchi recinti, la loro tutela autoreferenziale.

Nacque per consentire, dopo anni di aggiustamenti e correzioni dettati sempre dalle emergenze, lo snellimento della burocrazia. Nacque nel tentativo di impegnare seriamente la politica nel dare ordine al sistema.

Nacque per dare risposta a ciò che chiedevamo con insistenza: la politica scelga assumendo responsabilità e autorevolezza.

E che cosa è accaduto? Qual è l’esperienza di queste due stagioni? I dati sono all’esame di tutti e non molti vanno nella direzione auspicata. Che risposte dare a quelle parole, a quelle argomentate considerazioni che abbiamo letto, tra l’altro, nelle memorie dei legali che difendono, a torto o a ragione si vedrà, i diritti lesi di molte imprese;  espressioni come : “…violazione e falsa applicazione art. ecc…, …eccesso di potere per difetti di istruttoria…,  …travisamento dei presupposti di fatto e di diritto…, …disparità di trattamento…, …violazione dei principi di trasparenza e buon andamento della attività amministrativa…, violazione dell’art 97 della Costituzione…”.
Per ora possiamo limitarci a dire semplicemente che queste affermazioni, queste argomentazioni, giuste o opinabili che siano, saranno per la prima volta discusse non nei convegni o nelle stanze della politica (o dei partiti, quando di queste vicende i partiti si occupavano), ma nelle aule dei giudici e dei tribunali. E non mi sembra una  passaggio esaltante! Molte cose non hanno funzionato. Credo che l’Amministrazione stessa si trovi di fronte a difficoltà serie e non immaginabili fino a qualche tempo fa. Ma bisogna andare avanti, nella consapevolezza che  dovremo collaborare tutti per la semplificazione della burocrazia e per costruire un pensiero più “leggero” e più agile.

E allora:

Dobbiamo riprendere a lavorare, ritrovando compattezza ed energia come molte volte in passato, utilizzando la nostra esperienza e il nostro patrimonio di idee per un dialogo che sia costruttivo con la politica e l’amministrazione. Dobbiamo dire alla politica che il bene culturale di questo paese non sono solo le tante straordinarie realtà dei musei e delle opere che abbiamo ereditato dal passato, e che il problema non è solo la loro valorizzazione e tutela, ma bene culturale è anche il patrimonio di esperienze e di talenti e di creatività diffusa che siamo riusciti a mettere in campo in questi decenni, senza ruberie o inganni, senza arricchimenti sensazionali, creando una enormità di posti di lavoro, restituendo, si restituendo allo stato, gran parte dei finanziamenti ricevuti, in una condizione di perenne precarietà e di grande confusione normativa, come appunto sta a dimostrare l’esperienza di questo decreto.

E ancora una volta si parla della necessità di una legge per il teatro! Annuncia il Ministro Franceschini che dopo il cinema sarà il turno dello spettacolo dal vivo. Prepariamoci. Ma dopo che il Piccolo di Milano ha assunto identità e titolo super partes sottraendo all’intero sistema teatrale un grande partner per sollecitare la politica e trainare i cambiamenti credo che  avremo meno forza, anche se mi auguro di sbagliare.

Più che una riforma del FUS, ormai da troppo tempo (35 anni circa), strumento pilota della politica/non politica del sistema, occorre uno impegno legislativo e uno scarto di prospettiva e di mentalità. Il finanziamento pubblico non può continuare ad essere assistenza indiscriminata e così confusamente legittimata. Non può essere imbrigliato in contorti algoritmi  che poco si adattano ad una realtà così variabile come la nostra dove lo scarto tra regole e fantasia è la norma e non certo eccezione. Lo spettacolo non è una disciplina di cui si possono definire oggetto e confini. Allo stesso  tempo non  ci possono essere diritti acquisiti. Occorrono poche regole e la declinazione di alcuni “vincoli”: in primis la partecipazione di un pubblico, senza il quale il teatro non è, la qualità della proposta, l’affidabilità delle imprese e dei progetti valutati con giudizi di merito motivati, di cui qualcuno si dovrà assumere la responsabilità culturale e istituzionale. Anche se tutto ciò può sembrare semplice (non semplicistico!) occorre ricordare che la semplicità è una complessità risolta. Sicuramente l’auspicabile introduzione del meccanismo TaxCredit potrebbe essere una evoluzione salutare garantendo finanziamenti attraverso un percorso lineare e assolutamente oggettivo,  introducendo una pratica alternativa e/o complementare che le imprese e le istituzioni potranno decidere.

Infine alcune considerazioni su quanto sta accadendo nella nostra regione, anch’essa in prima fila in questo sforzo di rinnovamento.

Ebbene anche qui ombre diffuse e non pochi silenzi. Intrecci istituzionali sollecitati dalla politica e non da un progetto di riforma che parta dai contenuti e si sforzi di armonizzare le identità. La Toscana è stata fin dalla nascita delle regioni, un laboratorio aperto a cui si sono ispirate moltissime, quasi tutte, le politiche regionali; dalle esperienze Toscana degli anni 70/80 sono nati numerosi circuiti di distribuzione che hanno favorito la crescita del pubblico nelle aree periferiche, la nascita e il consolidamento di esperienze creative che hanno trovato spazio e identità, un sipario aperto a tantissime esperienze.

Di quella storia oggi se ne perdono alcuni profili. C’è bisogno di affrontare le criticità che esistono (distribuire spettacoli oggi ha un significato diverso da quello di dieci/quindici anni fa, basti registrare che le disponibilità economiche dei comuni sono assai mutate, ovviamente in peggio, che le provincie non esistono più); insomma c’è bisogno di una mission che non sia più solo una distribuzione tout cour, c’è bisogno di aprire il confronto con le altre esperienze regionali per uno scambio che sia in primis progettuale ritrovando il senso comune al di là del protezionismo di parte. C’e’ bisogno di metabolizzare definitivamente la soppressione dell’Eti precipitosamente azzerata senza alternativa se non quella della periodica ricorrente approssimazione a soluzioni parziali e scarsamente efficaci. C’è bisogno infine di riflettere se la Fondazione Toscana Spettacolo debba essere, oltre a uno efficiente strumento di servizio per circa 100 comuni (il primo in Italia), anche il motore di un progetto artistico suscettibile di introdurre correzioni, laddove necessario, alle logiche del mercato e rischiare percorsi nuovi (da tempo ne immagino uno: il sostegno a produzioni indipendenti in teatri della regione che offrano ospitalità ad attori e tecnici negli ultimi 15 giorni di allestimento di uno spettacolo, creando una affezione culturale tra artisti e territori, e un indotto economico e turistico interessante, qualcosa di analogo alle film commission); e ancora penso ci sia necessità di sostenere la produzione teatrale della regione al di la delle logiche residenziali, su cui dovremo fare le prime verifiche in termini di investimento/ricaduta per non ripercorrere gli antichi vetusti schemi ideologici che vanno a premiare la “presunzione culturale” creandone un recinto protetto “a prescindere”.

C’è bisogno di aiutare lo sviluppo delle le realtà istituzionali più importanti, Teatro Nazionale in primis, che pur in mezzo a tante confusioni e contraddizioni dettate principalmente dalla politica e dalle sue alchimie, sta positivamente sperimentando ipotesi di lavoro interessanti e coraggiose. In questo senso occorrerà favorire e incentivare una ragionata operazione di intensità progettuale più che di accumulo che appare pericoloso e difficilmente comprensibile e contraddittorio.

Infine: le imprese private stanno scomparendo dalla nostra regione. E’ un’estinzione naturale, c’è un disegno, magari inconsapevole e sommerso? Mah? non so dare risposta, registro il fenomeno e ne sono preoccupato. Non solo per ciò che riguarda me e chi lavora con me e i numerosi attori, registi, scenografi,  tecnici che continuano ostinatamente a difendere la dignità del loro lavoro con prodotti che servono non solo la nostra regione ma il paese intero (cito le nostre produzioni che nell’ultimo triennio hanno fatto registrare questi numeri su tutto il territorio nazionale: 370 repliche, 170.000 presenze, 122 teatri in 11 regioni e 2.860.000 euro di incassi a borderò. In Toscana nelle ultime 3 stagioni 40000 presenze e 650000 di incassi a borderò!); tutto e’ accaduto senza chiedere o pretendere (e vi par poco in un momento in cui le rivendicazioni di tutti su tutto si intensificano con arroganza?). Il nostro orizzonte e il nostro progetto è stato, è e sarà ancora per molto tempo questo. Senza rivendicazioni se non quella di una parità di trattamento senza pregiudizio. E’ infatti assai curioso che questi dati vengano a volte letti con sospetto e diffidenza come se fosse una deriva commerciale da scoraggiare. Eppure i registi impegnati sono quelli fortemente lusingati dal teatro pubblico (cito Valerio Binasco, Piero Maccarinelli e Leo Muscato per tutti), e i testi e gli attori non appartengono certo a una lusinga del mercato. E’ il solito vecchio pregiudizio che ritorna e che tanti guasti ha prodotto nei decenni, mistificazioni e inganni culturali, che sono sotto gli occhi di tutti, o comunque di tutti coloro che sono capaci di  vedere e capire con onestà intellettuale.




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