Il critico è un giornalista, anche se molti se ne dimenticano
L'intervista di Diego Vincenti per Dioniso e la nuvola
Questa intervista è parte integrante del progetto Dioniso e la nuvola. L’informazione e la critica teatrale in rete: nuovi sguardi, nuove forme, nuovi pubblici. Alla base del volume edito da FrancoAngeli c’è una serie di interviste a giovani critici teatrali, realizzate da Giulia Alonzo, disponibili su ateatro.it alla pagina https://www.ateatro.it/webzine/dioniso-e-la-nuvola/.
Diego Vincenti, nato nel 1976, giornalista pubblicista, inizia a scrivere ai tempi dell’università. Quando apre Epolis viene assunto come collaboratore delle pagine culturali dell’edizione milanese, seguendo in particolar modo il teatro. Nel frattempo scrive per lo storico settimanale comunista “Rinascita”, firmando anche un numero monografico sul sistema teatro. Più saltuari i lavori per AffariItaliani e “Vogue”, mentre su “Linus” cura la rubrica “I guerrieri del sottosuolo”. Negli stessi anni comincia la lunga collaborazione (che prosegue tuttora) con il trimestrale “Hystrio” attraverso critiche, pezzi di approfondimento e dossier. Fin dalla prima edizione fa parte della Giuria del Premio Hystrio Scritture di Scena, dedicato alla nuova drammaturgia. Nel 2009 il passaggio al Giorno, sempre come collaboratore delle pagine culturali e critico teatrale, per cui firma anche la rubrica quotidiana “Andiamo a teatro”. Nel 2016 ha vinto il Premio Nico Garrone e dallo stesso anno cura la rassegna “Hors” per MTM – Manifatture Teatrali Milanesi.
Come arrivi al teatro?
Casualmente. Per anni sono stato uno spettatore disattento. Ma dopo la laurea, quando ho iniziato a collaborare con il primo quotidiano, quel giorno in redazione avevano bisogno che qualcuno coprisse la conferenza stampa di un teatro milanese e ci andai io. Nel giro di poco mi “specializzai” nel settore, appassionandomi a un mondo che fino ad allora conoscevo solo in minima parte.
Chi è il critico oggi? Che ruolo ha?
Credo che il ruolo oggi del critico sia quello di sempre: uno sguardo “professionale” per gli artisti e il settore, di stimolo e confronto; uno strumento di conoscenza e approfondimento per il lettore. Inoltre può essere detonatore di polemiche, può operare per il cambiamento, sperimentare sul bello e sulla scrittura. Questo (ovviamente) nel migliore dei casi. Alla base rimane una declinazione del lavoro giornalistico, anche se in troppi se ne dimenticano.
Cosa vuol dire per un critico sporcarsi le mani?
Non ne ho idea. Se si intende assumersi la responsabilità di analizzare e approfondire la realtà in cui si opera, credo che questo sia un requisito fondamentale. E analizzare la realtà significa anche documentare (far emergere) gli aspetti più scomodi e spiacevoli. Ma è una ramificazione del ruolo che si spinge verso il giornalismo d’inchiesta, presuppone conoscenze molto più ampie rispetto al semplice gioco del giudizio.
La figura di un critico militante alla Quadri oggi è possibile? Ha senso parlarne?
Non credo sia più possibile, non tanto per una questione di militanza ma di potere. Una figura come quella di Quadri è prima di tutto figlia di un lungo percorso personale, all’interno di decenni molto più ricchi per il sistema teatro, fosse solo in termini strettamente economici. Una recensione o ancor più l’appartenenza a una scuderia, potevano davvero garantire il successo di una compagnia, la possibilità di accedere a finanziamenti pubblici, l’approdo a vetrine internazionali. Quadri era l’espressione più eclatante di tutto questo (ma non l’unica), tanto da arrivare a ruoli di grande potere e a creare un piccolo impero. Impoveritosi il teatro e, proporzionalmente, la figura del critico, mi pare non ci siano più le condizioni per un nuovo Quadri, a parte il fatto che non mi pare ce ne siano all’orizzonte. Al limite parecchi quadretti, a cercare con foga di ritagliarsi poltroncine e visibilità. Interessante sarebbe invece capire quanto una certa critica manchi agli artisti. Ho l’impressione che non siano pochi quelli che fanno teatro vivendo in una sorta di limbo, come in attesa dell’Achille Bonito Oliva di turno che indichi loro una via, una moda, una (trans)avanguardia in cui avere ruolo.
Fenomeni Wikipedia e Tripadvisor, tutti possono essere critici e scrivere e giudicare sul web. Che autorità ha oggi il critico? Da chi viene letto e per chi scrive?
Rimanendo al critico teatrale, ha un’autorevolezza proporzionale alla sua competenza e all’importanza della testata per cui scrive, che in teoria garantisce sulla qualità. Ho l’impressione che in molti, anche dell’ultima generazione, si siano guadagnati un meritato rispetto, ma in pochi abbiano ancora autorevolezza.
Per il resto tutti possono scrivere e quasi tutti lo fanno per se stessi, per la propria passione, per l’ego o per raggiungere un qualche obiettivo. Pochissimi per il lettore. Inoltre l’assenza spesso di compensi e la vaghezza di molti nuovi progetti “editoriali”, stanno amplificando il gusto amatoriale della riflessione critica, che si ferma a giudizi acerbi e ombelicali, spesso compiacenti nei confronti di artisti e strutture.
Sul web un nome è uguale all’altro o il pubblico riesce a distinguere chi scrive?
Lo spettatore saltuario non distingue, anzi capace che rimanga perplesso di fronte ai siti più seri e alle critiche più approfondite. L’appassionato invece riconosce una firma e la cerca, proprio come succede sui giornali cartacei.
Se ne ha persi, cosa deve fare la critica per riacquistare valore e autorità?
Essere intellettualmente onesta, farsi pagare, evitare campanilismi, scrivere per tutti e non per se stessa, tenersi distante da pigrizia e superbia, ricordarsi di aiutare il pubblico ad avvicinarsi al teatro, esprimere anche giudizi negativi, non lasciarsi strumentalizzare ma, al contrario, far valere il proprio peso per migliorare le condizioni del settore. L’approfondimento politico fa guadagnare molti meno amici di una critica positiva, ma incide più a fondo in una realtà che ha un gran bisogno di scosse.
Che rapporto deve avere con i teatranti?
“Il teatro è una comunità in cui necessariamente sei sempre a stretto contatto. Fa parte del suo fascino. Ovvio che diventi presto un problema, visto che si trasforma in un microcosmo di amici, nemici, avventure, amanti e parenti. Chi mantiene un’onestà intellettuale riesce a gestire tutto questo. In tanti ne rimangono invischiati in maniera più o meno ambigua, barattando il proprio giudizio in cambio di gratitudine e riconoscibilità sociale.
Che prospettive future ha la critica?
Come il teatro, dubito che assisteremo mai al funerale della critica. Ha un ruolo marginale ma definito e in qualche modo il suo essere microcosmo fa sentire importanti chi vi partecipa. Il proliferare di siti amatoriali mette però ulteriormente a rischio la sua autorevolezza sul web, a scapito delle testate storiche online. Mentre sul cartaceo continua a vivere il non facile periodo dell’editoria. L’emergere di figure di valore e carismatiche potrebbe invece dare una spinta in senso positivo. Così come la volontà di incidere sempre più sulla propria realtà in termini non strettamente intellettuali ed estetici.
Come si finanzia oggi la critica?
Credo che buona parte dei critici non riceva alcun compenso e che affianchi all’attività un secondo lavoro. Piccole entrate potrebbero provenire dalle collaborazioni giornalistiche, da ospitalità e rimborsi spesa, dal coinvolgimento in progetti editoriali e da qualche laboratorio. Vien da pensare che la militanza critica sarà sempre più elitaria.
L’Associazione Nazionale dei Critici? Che ruolo ha?
Non ne faccio parte. Mi pare sia un osservatorio interessante, che faticosamente prova a essere collante di una realtà atomizzata non sempre in grado di ascoltarsi.
(febbraio 2015)
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