Stelle fisse | Igor Stravinskij

A vent'anni, a cena con l'ultimo dei grandi

Pubblicato il 08/04/2021 / di / ateatro n. 176

Igor Stravinskij in gondola.

Una volta ho confidato a un amico di aver conosciuto Stravinskij, ma non era vero. Semplicemente, ho partecipato a una cena in suo onore, presenti molte altre persone, e sicuramente fra tutte quelle persone ero il meno rappresentativo, cioè non rappresentavo nulla, solo me stesso. L’ho osservato da una decina di metri di distanza, l’ho visto mangiare e bere – in maniera scomposta – e alzarsi una volta per una necessità fisiologica, l’ho sentito parlare (ma ero troppo lontano per capire, e comunque non comprendo l’inglese), e confermo qui che non gli ho rivolto la parola e non gli ho stretto la mano. Comunque ero molto emozionato, perché intuivo che quel contatto, sia pure molto superficiale, era con l’ultimo dei grandi.

Igor Stranvinskij (1929) (Foto F. Man)

Ero arrivato lì, a Venezia, Taverna della Fenice, del tutto casualmente, in seguito alla messa in opera di un variegato spiegamento di tattiche che in realtà puntavano ad altro, e cioè a conquistare qualche collaborazione con la Rai nel campo della radiofonia. Avevo scoperto di essere capace di scrivere – o meglio, avevo deciso di essere capace di scrivere – e cercavo in tutti i modi di contattare persone che mi avrebbero potuto aiutare. Avevo vent’anni e, non sapendo come altro fare, frequentavo sia la Cineteca che la Casa della Cultura, e chiedevo lumi un po’ a tutti quelli che incontravo.
Così sono arrivato a Ferdinando Ballo, e sono stato anche ospite a casa sua. Discorrevo a lungo con lui di musica… non proprio allo stesso livello, ma da parte mia con grande entusiasmo, e pur non avendo una approfondita conoscenza della musica contemporanea che era il principale interesse di Ballo, mi preparavo, mi informavo, studiavo, qualche volta mi affidavo all’improvvisazione; insomma, sostenevo il dialogo. Un giorno, sarà stata la primavera del 1951, abbiamo parlato della nuova opera di Stravinskij che sarebbe stata presentata a Venezia in prima mondiale, e su questo argomento ci siamo soffermati a lungo, gli facevo molte domande.

The Rake’s Progress di Igor Stravinskij in prima mondiale al Teatro La Fenice (1951)

Ferdinando Ballo era uno degli organizzatori del Festival di Musica Contemporanea che si svolgeva a Venezia e, a un certo punto, del tutto imprevedibilmente, mi ha detto: “Perché non vai a Venezia? Il biglietto per entrare in teatro posso procurartelo io”.
Beh, devo dire che la faccenda non si è svolta proprio in una maniera così semplice e rapida. Da parte mia avevo messo in atto un’accorta strategia e, pur senza alcuna certezza sull’esito finale dell’accerchiamento, una piccola speranza ce l’avevo. E così è stato: l’11 settembre 1951 ero alla Fenice alla prima mondiale dell’opera The Rake’s Progress, diretta dall’autore. E dopo lo spettacolo, sono andato alla Taverna…
La presenza di Stravinskij e il privilegio accordato a Venezia di essere la sede di una prima rappresentazione, avevano creato molta attesa, e anche un bel po’ di quella che Verdi chiamava réclame; ricordo di aver pensato che, in fondo, non era tanto diverso che se fossi stato presente alla prima del Falstaff, avvenuta solo cinquantotto anni prima, qualcosa di eccezionale da raccontare infinite volte a nipoti e pronipoti. Infatti, la mia emozione di ventenne – che escludeva ogni possibilità di giudizio sull’opera, che in dicembre ho rivisto alla Scala – era determinata anche dalla convinzione di partecipare a un evento “storico” e di essere, come ho scritto, alla presenza dell’ultimo dei “grandi”. Quel tanto che sapevo della biografia di Stravinskij me lo confermava, avvolta come per i più famosi compositori del passato dal mistero della predestinazione.
Il primo contatto con la musica era avvenuto grazie al contadino muto che schioccava rumorosamente la lingua, cantava utilizzando due sole sillabe incomprensibili, e si dava il ritmo con la pressione della mano contro l’ascella; le lezioni con Rimskij-Korsakov erano state sospese perché in breve l’allievo non aveva più nulla da imparare dal maestro; poi l’incontro con Diaghilev, ossia l’uomo capace di spalancare nuovi e impensabili orizzonti culturali e professionali; infine l’imbarazzo del pubblico e degli esperti di fronte alla frastornante novità della Sagra della primavera, in breve divenuta un pezzo di repertorio tanto da entrare nel film Fantasia di Walt Disney accanto a Bach Beethoven Musorgskij Cajkovskij… tutto questo mi convinceva dell’eccezionalità dell’evento cui ero presente.

Igor Stravinskij

Poi, ritornato coi piedi per terra, ho ripreso a lottare per riuscire a scrivere testi radiofonici per la Rai, ma ci sono riuscito soltanto nell’aprile-maggio 1957, con un ciclo di sei trasmissioni dedicate al Pianoforte nella vita dell’Ottocento, trasmesse dal Programma nazionale. Ne sono seguite altre, fra cui nel dicembre 1958 un ciclo in quattro puntate dedicato a Diaghilev, Stravinskij e i Balletti Russi: non avevo abbandonato l’autore di The Rake’s Progress.
E quando nel 1971 Stravinskij è morto nella lontana New York, e il suo corpo è stato sepolto nel cimitero di Venezia, l’emozione di vent’anni prima si è rinnovata. No, non ero presente al funerale. Ma qualche tempo dopo ho visto un filmato realizzato da Gianni Serra che reinventava le immagini di quel funerale, depurate dall’affollamento, dalla mondanità, dalla immancabile réclame.
La gondola procede molto lenta. Unico rumore, il lieve affondare del remo nell’acqua. La lunga sequenza senza stacchi è una soggettiva dalla gondola, simile a quella famosa del film Vampyr di Dreyer: si vedono solo i piani superiori dei palazzi veneziani, a destra e a sinistra, che scorrono lenti, avvolti dagli accordi stridenti degli archi dell’Apollon Musagete… poi soltanto cielo nell’attraversare quel tratto di laguna che separa le Fondamenta Nuove dall’isola di San Michele, e quindi i cipressi del Cimitero. Ora la cinepresa si muove lentamente in quel luogo di silenzio, si avvicina cautamente alla grande pietra sepolcrale, e inquadra in primo piano il nome: “Igor Stravinskij”. In sovrimpressione, la parola “Fine”.




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InformazioniEduardo Rescigno

Eduardo Rescigno (Milano, 1931) è un musicologo, scrittore e commediografo italiano. Altri post