Stelle fisse | Piero Gadda Conti

Come fu che il cugino dell'Ingegnere divenne mio testimone di nozze

Pubblicato il 26/08/2021 / di / ateatro n. 179

Piero Gadda Conti

Se cerco di immaginare, oggi, un signore di fine Ottocento, elegante senza ostentazione, in grado di sostenere un’amabile conversazione in un salotto frequentato da persone misuratamente colte, perfetto padrone di casa che senza mostrarlo tiene sotto osservazione gli invitati affinché ciascuno si trovi a proprio agio, disinvolto nel baciamano a una signora, pronto a un compiacente sorriso per una cauta battuta spiritosa, aperto – ma senza esagerare – alle novità dell’ultima ora… ebbene, non posso fare altro che pensare al mio amico Piero Gadda Conti. E sottolineo la parola “amico”, perché aveva la capacità di non farmi sentire i trent’anni di età che ci separavano.

Da sinistra, Enrico Emanuelli, Carlo Linati, Piero Gadda Conti, Franco Antonicelli e in primo piano il figlio dell’avvocato Ercole Graziadei. Sordevolo, 1937.

L’avevo incontrato, molto di sfuggita, al tempo in cui frequentavo la seconda media a Villa Amalia di Erba, sede provvisoria, per ragioni belliche, dell’Istituto Gonzaga di Milano. Fra i miei compagni – unico non collegiale – c’era Giuseppe, figlio di Piero. Il quale Piero, con un gesto di quella signorile eleganza che era il suo stile di vita, un bel giorno ha invitato l’intera classe frequentata dal figlio, professori compresi, a trascorrere il pomeriggio nella sua Villa di Albese – mi pare di ricordare che fosse proprio Albese perché a qualcuno di noi venne subito in mente la strage degli Albigesi, e non fu difficile convincerci che proprio lì era accaduto quel fatto increscioso… cosa non erano capaci di pensare gli scolari di una seconda media del 1943!
Otto anni dopo sono diventato amico di Piero. In quel tempo lui svolgeva l’attività di critico cinematografico e faceva spesso parte della giuria della Mostra del Cinema di Venezia, e il comune interesse per il cinema ci ha fatto nuovamente incontrare. Il 12 settembre 1951 ero accanto a lui al Palazzo dell’Arte della Triennale in occasione dell’inaugurazione della Mostra in onore di René Clair, e durante la proiezione di Entr’acte, La Tour, e soprattutto Un chapeau de paille d’Italie, ero seduto accanto al mitico regista. In realtà, non proprio accanto: c’erano di mezzo Piero Gadda Conti e Giulia Veronesi, ma allungando il braccio avrei potuto toccarlo, il famoso regista, sentivo quello che diceva, e sapevo che non avrei avuto il coraggio di interloquire.

Video | Milano: inaugurazione del “cinema d’essai” con Piero Gadda Conti (1961)

Era stata la Veronesi a mettermi in contatto con Gadda Conti, e già dopo poche settimane lo chiamavo Piero e con un po’ di fatica gli davo del tu. Era diventata una consuetudine andarlo a trovare nella sua casa milanese anche solo per fare due chiacchiere. Di cinema, naturalmente, perché non potevo dimenticare neppure per un solo istante di trovarmi davanti a qualcuno che poteva contribuire a decidere a quale film concedere il Leone d’oro, davanti a qualcuno che poteva dare una mano a organizzare una Mostra Jean Renoir, come accadde nell’estate del 1952 al Teatro Lirico. ù
Parlavamo anche di opere; proprio in quei mesi Piero stava scrivendo Vita e melodie di Giacomo Puccini, un libro che non ho mai voluto leggere. E se a volte ci capitava di parlare di suo cugino Carlo Emilio – nel 1957 Garzanti aveva pubblicato il romanzo Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, che aveva suscitato grande interesse – ci trovavamo subito d’accordo nel ripiegare su altri libri più rassicuranti, non ultimi i suoi romanzi Mozzo e A gonfie vele, pubblicati più o meno nell’anno in cui ero nato, di cui lui era pacatamente soddisfatto, e che avevo letto diligentemente.

Video | Milano: Piero Gadda Conti vince il Premio Bagutta con La paura (1971)

Fra i suoi libri preferivo il romanzo Adamira, appena pubblicato (1956), con un protagonista attratto dal fascino, dai misteri e anche un po’ dal disordine della vita di palcoscenico, ma capace, in età matura, di allontanarsene – “Sono un uomo tranquillo” – pur coltivandone un appassionato e malinconico ricordo: un ritratto del suo autore.
Poi c’erano le feste a casa sua, in piazza Castello. Probabilmente nel 1951 ne aveva organizzata una in onore di René Clair, ma non lo ricordo, e se c’è stata non sono stato invitato, il mio primo incontro con Piero risaliva proprio a quei giorni. Mi ha invece invitato nel 1960 per festeggiare Federico Fellini in occasione della prima milanese della Dolce vita, che era stata accolta molto male, a differenza di quello che era accaduto a Roma.
Eravamo in molti, e ricordo l’arrivo dell’ormai famoso regista a ricevimento già da tempo iniziato e la sua rapida uscita, ricordo il mio imbarazzo di fronte a tante persone importanti che mi guardavano senza vedermi. Credo di aver scambiato solo qualche parola con Tullio Kezich e forse con Giuseppe, il figlio di Piero che era stato mio compagno di scuola nel 1942. E c’era per me un altro motivo di disagio, la certezza che il padrone di casa aveva qualche riserva su quel film – ne avevamo parlato il giorno prima – troppo lontano dalla fantasia ben piantata sulla terra dello Sceicco bianco e dei Vitelloni. Ma Piero era un abile padrone di casa, attentamente misurato nell’inchinarsi e festeggiare il nuovo personaggio; e questa disinvolta signorilità, che io non possedevo, mi creava imbarazzo.

Nel frattempo, con il regista Gianni Serra, avevamo preparato per la televisione un articolato copione destinato a illustrare il centenario della liberazione di Milano dagli austriaci, 8 giugno 1859, un episodio fondamentale della Seconda guerra d’Indipendenza. Avvallati dalla consulenza storica di Leopoldo Marchetti e di Franco Valsecchi, siamo andati due volte a Roma, nella vana speranza di poter parlare con Sergio Pugliese, allora arbitro della programmazione televisiva. Al terzo viaggio verso via del Babuino, l’inavvicinabile Pugliese non solo ci accolse nel suo ufficio, ma con poche e decisive parole diede il via libera al progetto, a condizione che la stesura del testo fosse affidata a Piero Gadda Conti.
Niente di più facile, per noi. E così è nato Milano 1859, andato in onda l’otto giugno 1959 alle ventuno, dopo il telegiornale delle venti e trenta, l’ora di maggiore ascolto. Durante il lavoro di preparazione, Gianni Serra e io ci siamo felicemente misurati con la disponibilità di Piero Gadda Conti, e soprattutto della sua straordinaria efficienza. Scena per scena, sequenza per sequenza, ascoltava le nostre richieste; poi, seduto alla scrivania, prendeva da un cassetto un singolo foglio A4, e con la Waterman scriveva rapidamente, trasformando in un bell’italiano di agevole lettura i nostri approssimativi suggerimenti. Fissavo quella stilografica nera, e mi pareva che fosse proprio lì, in quello strumento ormai un poco desueto, il segreto di una scrittura che non conosceva esitazioni.
Posso soltanto aggiungere che, due mesi prima della messa in onda di Milano 1859, ho trovato il tempo di sposarmi, e Piero è stato il mio testimone alle nozze.

Duomo di Monza, 2 aprile 1959: i due testimoni – Piero Gadda Conti e lo zio dello sposo Angelo Del Bono – e lo sposo osservano compiaciuti mentre Anna Sorteni firma il registro.




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InformazioniEduardo Rescigno

Eduardo Rescigno (Milano, 1931) è un musicologo, scrittore e commediografo italiano. Altri post