L’epopea contadina nell’epoca del PNRR
Ad Anghiari la XXVII edizione di Tovaglia a quadri
Partecipare a Tovaglia a quadri mentre è in corso la più bislacca delle campagne elettorali fa pensare a come potrebbe essere il tanto sbandierato “lavoro sul territorio” della politica. Si moltiplicassero le iniziative di questo tipo, il nostro dimentico paese ritroverebbe un patrimonio di storie, bisogni, visioni, una pluralità di voci e progetti, un modo di fare comunità che la socialità virtuale non può sostituire e che i luoghi del potere ignorano. Intorno alle tavolate elegantemente rustiche, i commensali sanno che a recitare è la gente del paese, sentono il genius loci aleggiare e insieme colgono il cortocircuito che connette le vicende del passato al nostro complicato presente. Il suggestivo Castello di Sorci, che per la seconda volta ospita l’evento giunto alla ventisettesima edizione, diventa quest’anno la sede di un originale Liceo contadino.
Nella finzione drammaturgica di Paolo Pennacchini e Andrea Merendelli (che ne è anche regista), il Conte proprietario del maniero (Michele Guidi) decide di formare una nuova generazione di lavoratori della terra, sfruttando i fondi del PNRR, perché i vecchi contadini non ci sono più e l’unico che sa ancora adoperare la zappa è Prince (Dian Foula Touré), un immigrato di colore.
In uno spettacolo che ha i caratteri della commedia popolare, i racconti di episodi di vita e lavoro dei secoli passati, raccolti nelle frazioni del territorio comunale di Anghiari dalla viva voce degli ultimi testimoni, aprono scorci intensi sul mondo contadino della Valtiberina e raggiungono toni epici quando vengono ricordati i nomi veri delle casate contadine, di braccianti e mezzadri, applicando all’epopea rurale l’antica tecnica narrativa della genealogia degli eroi (come in Gilgameš o nei poemi omerici).
Guerre, siccità, epidemie, carestie, lotte sindacali: i contadini d’un tempo attraversavano le fatiche, le umiliazioni e le avversità con la forza delle loro braccia e le conoscenze ereditate.
«E sapevano tutto: bestemmie e preghiere senza aver mai aperto un libro. Poi c’è stato il tempo della chimica, della meccanica e dello sfruttamento intensivo. Un oblio lento. Oggi, chi sa usare la zappa e traccia solchi in Italia viene da zolle lontane e aride.»
Trasformatosi in preside, il Conte arruola un corpo docente strampalato che dovrà affrontare l’ispettore (Pierluigi Domini) incaricato di raccogliere i dati per valutare l’ammissione del Liceo contadino ai fondi europei. Uno alla volta, gli insegnanti presentano improbabili curricula e fantasiose competenze.
C’è il professore di Meccanica agricola (Gino Quieti) affezionato al suo trattore, il mitico Landini Testa Calda, che ha imparato a guidare «a dodici anni dal mi’ zio». Quello di Selvicoltura (Rossano Ghignoni), specialista in cataste di legna che vende sempre più a caro prezzo approfittando della crisi energetica.
C’è Ri-Mario (Mario Guiducci), esperto di musica popolare che parla sempre in rima; e lo spigoloso don Contro (Fabrizio Mariotti), sacerdote comunista sospeso a divinis ma riabilitato come professore di (contro)Storia. C’è anche la bidella (Maris Zanchi), senza peli sulla lingua ma ancora rispettosa del Conte, di cui era la governante.
Gli attori sono vecchie conoscenze per chi sia già stato ospite di Tovaglia a quadri, e questa impressione di familiarità contribuisce al gioco di verità e finzione, ricostruzione storica e invenzione poetica che l’azione drammaturgica sviluppa in quasi tre ore. Tra una portata e l’altra della tradizione toscana, annunciate da un maitre factotum (Sergio Fiorini), tra canzoni e aneddoti, conosciamo la cuoca dell’istituto (Katia Talozzi), i camerieri (Giulio Detti e Gabriele Meoni) che aspirano al reddito di cittadinanza, una ecologista apocalittica (Stefania Bolletti) e una signora alla moda (Federica Botta), capitata lì per caso dalla vicina locanda, che diventerà la social manager dell’istituto.
Sua figlia intanto (Miranda Neri) dimentica lo smartphone e sparisce in cucina dove impara a scuoiare conigli e tirare il collo alle galline, e ogni tanto corre divertita tra i tavoli a esporre le sue truculente scoperte.
All’ultimo, quando tutto sembra precipitare perché nessuno si è ancora iscritto al Liceo e l’ispettore se ne sta andando, i ragazzi e le ragazze che hanno servito la cena prendono posto ai banchi della scuola e si apprestano a seguire la prima lezione – sarà Prince a insegnare a zappare – salvando il progetto del Conte e rianimando una nuova comunità «che inevitabilmente dovrà sviluppare la capacità di sopravvivere ad uno scenario economico e sociale in cui razionare diventa l’imperativo principale», spiegano gli autori. C’è forse un po’ di idealizzazione della vita contadina, ma lo spettacolo, andato in scena per dieci serate registrando sempre il tutto esaurito, cerca ancora una volta, attraverso un’esperienza di prossimità e condivisione, di intelligente convivialità, di interrogarsi sulle potenzialità di una comunità che voglia guardare avanti, verso un futuro incerto, senza tradire la propria identità.
Sarà l’ultima edizione di Tovaglia a quadri al Castello di Sorci. Merendelli e Pennacchini annunciano infatti che dal prossimo anno la manifestazione prenderà forma, ogni anno, in un luogo nuovo: «angoli del territorio di Anghiari individuati insieme alle comunità che mantengono ostinatamente in vita questi preziosi frammenti periferici di umanità. Le cosiddette Aree Interne diventano il centro della narrazione in questa epoca di perenne transizione nella quale la complessità può essere compresa unicamente vivendola, profondamente, in ogni suo aspetto». Una coraggiosa sfida artistica e organizzativa per gli autori e per tutta la comunità di Anghiari e dell’alta Valtiberina. Un esempio di lungimiranza, anche politica.
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