Le funzioni dei teatri di prossimità: le comunità al centro

L'intervento a "Lo spazio del possibile", Follonica, Teatro Fonderia Leopolda, 26 maggio 2023

Pubblicato il 22/06/2023 / di / ateatro n. 192 | Le funzioni e la gestione dei teatri comunali

Il 26 maggio 2023 il Teatro Fonderia Leopolda di Follonica ha ospitato Lo spazio del possibile. Eugenio Allegri e il teatro come politica culturale dei territori, la giornata di studi promossa dal Comune di Follonica e dal Teatro Fonderia Leopolda, contenuti e curatela a cura di Oliviero Ponte di Pino (Ateatro) e Luana Gramegna (Zaches Teatro), organizzazione, logisica e ecnica a cura di Ad Arte Spettacoli srl.
Quella che segue è la relazione di Matteo Negrin. Nei prossimi giorni pubblicheremo le altre relazioni e il report della giornata.
Info sull’iniziativa alla pagina Lo spazio del possibile. Eugenio Allegri e il teatro come politica culturale dei territori.
Nei prossimi mesi Ateatro rilancerà il progetto con nuovi approfondimenti e incontri.

Territori, aree interne e periferie: la funzione dei teatri “di prossimità” nell’ottica del teatro come servizio

Se vogliamo affrontare seriamente il tema dei teatri di prossimità non possiamo fare a meno di descrivere, o per lo meno accennare, allo scenario complessivo in cui il dibattito odierno sulla rilevanza del teatro come luogo e come linguaggio trova la sua collocazione. Collocare il ragionamento in una cornice più ampia giova a comprenderne la rilevanza oltre che a facilitare la comprensione. Il perimetro di cui stiamo parlando è quello della dialettica tra centri urbani e territori, siano essi periferie o aree interne.

Follonica, 26 maggio 2023: Mimma Gallina e Matteo Negrin

È evidente che non si possa affrontare il tema del riequilibrio territoriale prescindendo dalle specificità dei territori, a partire dalle specificità regionali per arrivare alle peculiarità locali. L’esperienza quotidiana di chi parla è relativa al Piemonte, che vede la presenza di un capoluogo di Regione che attrae su di sé nella sua estensione metropolitana la massima parte della domanda e dell’offerta dei prodotti e dei servizi – e quindi della popolazione – e dove il progressivo svuotamento delle deleghe alle Provincie ha portato alcune aree amministrativamente separate a ricomporsi secondo antichi confini – è il caso del Monferrato – o addirittura a riconoscersi in legami extra-regionali: è il caso del Verbano-Cusio-Ossola e dell’Alto Novarese il cui legame identitario con la Lombardia è sempre più esplicito. La circostanza piemontese è dunque molto diversa rispetto ad altre regioni come l’Emilia-Romagna, il Veneto o la Puglia, che potremmo definire autenticamente policentriche e per le quali il ragionamento sul riequilibrio territoriale, per quanto altrettanto ineludibile, va declinato con specificità diverse.
Al di là dei necessari distinguo, è evidente che una delle sfide centrali del PNRR è la perequazione dei servizi minimi essenziali su tutto il territorio nazionale, per far fronte a due emergenze – il calo demografico e il dissesto idrogeologico – peraltro tra loro strettamente connesse: un territorio che non garantisce i servizi minimi essenziali è un territorio che nel medio termine tende a spopolarsi. Non essendo più oggetto di accudimento, è inevitabilmente esposto a un deterioramento che è figlio dell’abbandono. Nelle more dei bandi del PNRR si possono decifrare alcune strategie indirizzate al riequilibrio territoriale: il primo bando licenziato in ordine cronologico è stato il cosiddetto Bando Borghi, orientato a sostenere crescita e sviluppo dei cosiddetti “Borghi d’Italia” vittime di spopolamento e sempre più frequentemente oggetto del fenomeno della vendita degli immobili al prezzo simbolico di 1 euro.
Complice la fretta di assegnare le importanti risorse del Recovery Fund, lo spazio per la discussione pubblica sulla catena di senso (Obiettivi – Azioni – Impatti) sottesa al Piano è stato minimo se non nullo, ma è evidente che nelle pieghe del linguaggio amministrativo dei singoli bandi le strategie di sviluppo traspaiano e comincino a essere oggetto di dibattito. A tal proposito segnaliamo la raccolta di saggi Contro i Borghi. Il Belpaese che dimentica i paesi (Barbera, Certosimo, De Rossi, Donzelli, Roma 2022).
Sempre in merito al riequilibrio territoriale, un modello di sviluppo attualmente dibattuto e che vorrei qui proporre alla vostra attenzione è quello della città a 15 minuti, un concetto urbano residenziale in cui la maggior parte delle necessità quotidiane dei residenti può essere soddisfatta spostandosi a piedi o in bicicletta direttamente dalle proprie abitazioni. Il principio, reso popolare dalla sindaca di Parigi Anne Hidalgo, è ispirato alla visione dello scienziato franco-colombiano Carlos Moreno, che lo ha proposto per la prima volta nel 2016. Per traslato, il principio che informa il modello della città di 15 minuti può essere preso a prestito come modello di sviluppo delle aree interne, andando a descrivere un’idea dell’abitare in cui la densità è piacevole, la vicinanza è godibile e l’intensità sociale (ovvero l’esistenza di un numero di legami sociali produttivi e intricati) è esplicita e concreta. In estrema sintesi, definiamo un territorio come attrattivo se chi lo abita ha a disposizione una serie di servizi: in primis un ospedale, una scuola dove compiere il primo ciclo di studi, e – aggiungiamo noi – un teatro.
Dobbiamo dunque chiederci quale siano la natura, il ruolo e la funzione di un teatro di prossimità – il teatro a 15 minuti – anche e soprattutto in relazione alle grandi strutture che operano in alcuni grandi centri (Teatri Nazionali, Fondazioni Lirico Sinfoniche, ecceera).

I teatri di prossimità di cui parliamo sono prevalentemente teatri comunali, talvolta gestiti in economia e talvolta esternalizzati – tramite evidenza pubblica o affidamento diretto – a enti terzi, non di rado compagnie teatrali. Ancora, possono essere teatri dotati di una storicità di rilievo o costituire esiti relativamente recenti di politiche di rigenerazione urbana. In ogni caso, quale che sia la natura dello spazio e la sua modalità di gestione, il teatro comunale non è un Teatro Nazionale in sedicesimo né un Centro di Produzione figlio di un dio minore.
Il teatro di prossimità è anzitutto uno spazio di cittadinanza attiva, di sperimentazione di processi democratici, di condivisione di pratiche che hanno a che vedere tanto con l’arte e la cultura quanto con il mondo dell’educazione e della promozione della salute. La rilevanza di questo teatro, inteso come luogo e come linguaggio, si misura più con la sua capacità di essere poroso, attraversabile e reattivo che con la competitività dei suoi cartelloni: è un teatro che ha attenzione per i processi che cura prima ancora che per i prodotti che mette in scena. Se per un attimo pensiamo alla natura e al ruolo delle biblioteche di quartiere rispetto a una Biblioteca Nazionale, anche e soprattutto dopo la rivoluzione digitale, il pensiero ci sembrerà meno radicale di quanto possa sembrare a una prima lettura. In questo senso e in questa direzione, le esperienze delle Residenze Artistiche in Toscana e dei Teatri Abitati in Puglia, già opera di Carmelo Grassi, possono costituire modelli cui ripensare con ulteriore attenzione.

Funzione e modalità di intervento dei Circuiti nella programmazione dei Teatri Comunali e a
supporto della funzione culturale-sociale sul territorio

Chiedersi quale ruolo abbiano i Circuiti in quest’ottica equivale a chiedersi se la funzione di un teatro comunale (o di prossimità) si esaurisca nella dozzina di aperture nel corso della stagione o se si espliciti anche e soprattutto in altre forme, e dunque quale sia il tipo di relazione, ingaggio e sostegno che un Circuito può attivare nei confronti di questi teatri di prossimità.
In occasione del ventennale della Fondazione Piemonte dal Vivo, abbiamo promosso una riflessione che muove dal concetto di decentramento a quello di riequilibrio territoriale: si tratta di una riflessione che ha sicuramente delle specificità piemontesi, ma che può essere di una qualche utilità anche per territori con geografie e storie diverse. Nel nostro specifico, la Fondazione è nata nel 2003 come esternalizzazione dell’Ufficio Territorio del Teatro Stabile di Torino: in vent’anni non siamo solo passati dal concetto di distribuzione a quello di programmazione, ma abbiamo soprattutto superato il concetto di decentramento evolvendolo a favore di una più ampia politica di riequilibrio territoriale. Per farlo, abbiamo ingaggiato le amministrazioni locali, i portatori di interesse (in primis le compagnie locali, ma anche il mondo della scuola e quello della sanità) e il pubblico in processi di individuazione ed emancipazione non sempre incruenti.

Per usare un’espressione che oggi è al centro del dibattito culturale, abbiamo cercato di decolonizzare l’attitudine del Circuito, mettendo al centro le comunità locali e il genius loci, qualora esplicito, o costruendo alleanze per andarne alla ricerca qualora non fosse evidente, superando il pensiero binario (centro/periferia) e favorendo lo sviluppo di reti locali ulteriori a quelle esistenti, interpretando il ruolo del Circuito come “abilitatore di contesto”.
Il rapporto tra le amministrazioni Locali e il Circuito, a riguardo della programmazione non solo teatrale ma culturale nel senso più ampio, è divenuto quindi uno spazio di negoziazione che mette al centro le esigenze e le aspirazioni della comunità locale, generando come output cartelloni multidisciplinari, proposte per le scuole, laboratori, incontri, traiettorie di ricerca/azione, strategie di inclusione per i cittadini più fragili (minori, anziani, persone con disabilità).
E’ un processo ancora in corso e che deve essere nutrito e rinegoziato quotidianamente. E’ altrettanto evidente che all’interno di questa relazione i Circuiti, dopo aver lasciato alle spalle il concetto di decentramento, possono veder legittimato il loro ruolo come moltiplicatori di opportunità per le comunità dei territori: dalla possibilità di sostenere il rischio culturale propriamente inteso, al rendere possibili processi virtuosi strutturalmente in deficit a favore del pubblico di domani, alla possibilità di ampliare l’offerta al pubblico attraverso sistemi di offerta distribuita su più territori vicini e interconnessi, in un’ottica di autentico riequilibrio territoriale.




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