Per un nuovo calendario laico: il Beato John Cage artista giocoso, rivoluzionario e irriverente

In occasione dell'uscita di Un anno a partire da lunedì. Dopo Silenzio (Shake Edizioni)

Pubblicato il 27/12/2023 / di / ateatro n. 189

All’inizio del 1959 un giovane americano esperto di micologia vinse 5 milioni di lire a Lascia o raddoppia?, il popolarissimo quiz televisivo condotto da Mike Bongiorno.

L’ultima domanda, quella che dava libero accesso ai cinque milioni, ha messo a dura prova anche il sangue freddo e i nervi saldi dell’americano. John Cage doveva pronunciare i nomi dei ventiquattro generi di agarici a spore bianche. Ventiquattro domande in una, praticamente: un quesito da fare tremare le vene e i polsi anche al più grande esperto del ramo. John Cage, invece, sia pure sudando un poco, li ha detti tutti in fila, rapidamente enunciandoli per ordine alfabetico. Un trionfo. Fra gli applausi l’americano ha poi ringraziato i funghi e tutti gli italiani.
(“La Stampa”, 27 febbraio 1959)

Nel corso della trasmissione, Cage si era esibito in alcune geniali composizioni, come la strepitosa Water Walk che, spiegava, “si intitola così perché c’è dell’acqua e io cammino”.

Water Walk

Quando si presentò a Lascia o raddoppia?, Cage aveva già composto 4′ 33” (1952), che prevede che l’esecutore non suoni nulla, su qualunque strumento, per 4 minuti e 33 secondi. Nell’estate dello stesso anno al Black Mountain College aveva realizzato quello che si considera il primo happening della storia, Theater Piece No. 1. Merce Cunningham, danzatore e compagno di una vita di Cage, ricorda:

David Tudor suonava il piano, M.C. Richards e Charles Olson leggevano poesie, i quadri bianchi di Robert Rauschenberg erano appesi al soffitto, mentre lo stesso Rauschenberg metteva dischi su un grammofono, e Cage parlava. Io danzavo… Gli spettatori sedevano al centro dello spazio dell’azione, uno di fronte all’altro, con le sedie disposte in diagonale in modo che gli spettatori non potessero vedere tutto quello che stava accadendo. C’era pure un cane che mi inseguiva mentre danzavo. Quello che accadeva semplicemente accadeva, senza alcun’altra intenzione, una complessità di eventi dove ciascuno spettatore poteva scegliere cosa seguire.
https://www.mercecunningham.org/the-work/choreography/theatre-piece-1952/

Theater Piece No. 1, Black Mountain College, 1952

Cage e i suoi amici stavano gettando le basi della rivoluzione che accenderà il mondo a partire dagli anni Sessanta, Sessantotto compreso. Quella iniziata da Cage e da quella generazione di artisti fu una rivoluzione non solo estetica, che ebbe un enorme impatto sull’intera società, a partire dai comportamenti giovanili.
Negli anni Sessanta Cage scrisse una serie di saggi: quelli più legati all’attività di musicista confluiranno nel volume Silence (1961, Silenzio, pubblicato in Italia da Feltrinelli nel 1981 e riproposto di recente dal Saggiatore). Un’altra raccolta di saggi che risalgono agli anni Sessanta, Un anno a partire da lunedì. Dopo Silenzio è arrivata in libreria grazie a Shake Edizioni, nella traduzione di Giancarlo Carlotti e Ermanno “Gomma” Guarnieri).
A colpire subito, non appena si apre il volume, è l’inventiva impaginazione, una vera sfida tipografica. I testi si distribuiscono nella pagina rifiutando di farsi ingabbiare dai tradizionali confini rettangolari, le font e i corpi cambiano costantemente. Per il primo saggio, Diario: come migliorare il mondo (puoi solo peggiorare le cose), l’autore spiega di aver affidato al caso il numero di tasselli e il numero di parole da scrivere ogni giorno per ogni tassello, per poi usare “una macchina per scrivere Ibm Selectric, con dodici diversi caratteri, lasciando che decidesse il caso quale carattere usare per tale frase”. Altre regole riguardano l’impaginazione: dove posizionare i margini, quante parole scrivere per ogni riga.
Quanto di questi scritti è opera di Cage? Quante sono le frasi riprese da altri? Quando è dovuto al caso? Qual è la funzione creativa dei vincoli che si impone l’artista?
Nell’opera di Cage, c’è un rapporto organico tra l’intuizione creativa e l’opera, che connette organicamente lo spazio, il tempo/ritmo, il respiro, il suono… E dunque “Perché uno che guarda qualcosa non fa il suo semplice lavoro di guardare? Perché è necessaria una lingua quando l’arte ce l’ha già in sé”? (p. 74)
Il mix di alea e regole – quello che accade nella vita – è tipico del metodo creativo di Cage. Lo ha usato anche in Empty Words, eseguito dal vivo di Milano il 2 dicembre 1977, in una serata memorabile. Di fronte a un pubblico da concerto rock, Cage era seduto su una sedia davanti a un tavolino al centro del gigantesco palcoscenico del Teatro Lirico. Leggeva le sillabe frammentate e rimescolate con l’I-Ching di alcuni brani dai Diari di Henry David Thoreau, che venivano anche proiettate su un gigantesco schermo. Gli spettatori, disorientati e spiazzati, iniziarono a rumoreggiare. Piovvero sul palco rotoli di cara igienica, programmi di sala… Alcuni salirono minacciosi e si misero intorno a Cage, cercando di interrompere in tutti i modi quel flusso di suoni senza senso, mentre altri iniziavano a improvvisare piccole e goffe esibizioni. Cage, imperturbabile, continuò la sua performance in quella baraonda infernale e pericolosa. Mite e ostinato, dopo due ore e mezzo in cui era accaduto di tutto, si alzò per ricevere il liberatorio applauso finale (di quella serata fece una memorabile cronaca Roberto Calasso, John Cage o il piacere del Vuoto, “Panorama”, 20 dicembre 1977, ora nella raccolta La follia che viene dalle ninfe, Adelphi, 2005).
Ma gli scritti raccolti in Un anno a partire da lunedì non gettano luce solo su quello che è successo nella seconda metà del Novecento. La curiosità e la capacità di anticipare i tempi hanno una portata più ampia. I temi che lo affascinano sono quelli che ci interrogano anche oggi: l’impatto della tecnologia e in particolare dell’elettronica, la globalizzazione, il peso della finanza, la sostenibilità ambientale (il rapporto del Club di Roma è del 1972). Queste consapevolezze gli arrivano dai suoi maestri, soprattutto Marshall McLuhan e Buckminster Fuller, mentre sul versante artistico si mise sulla scia di due rigorosi sovversivi come Arnold Schönberg e Marcel Duchamp.
Ci sono intuizioni sorprendenti. “Spostare i controlli sociali in punti dove sfuggano alla nostra attenzione” è già “capitalismo della sorveglianza” (p. 65). O ancora: “L’idea che tutto è uguale (diritti) non è diversa dall’idea che tutto è disuguale (unico)” (p. 67). Prefigura un inedito proletariato creativo e rivoluzionario: “Tecnica per cambiare la società: istruzione seguita da disoccupazione” (p. 65).
La sua utopia sarebbe smettere di fare arte in una società dove l’arte non serve più, perché il mondo è davvero diventato migliore. Gli artisti sono pigri, finiscono per restare intrappolati negli schemi innovativi che hanno creato. Un bagliore e poi l’arte torna a essere noiosa e inutile. Il paradosso dell’arte radicale di Cage è che lavora per non essere più necessaria: una volta che la sua azione ha davvero migliorato il mondo (senza peggiorare le cose), possiamo e dobbiamo farne a meno, perché l’Arte è diventata un tutt’uno con la Vita. L’arte è un cammino verso la vita. O meglio, è uno strumento per restituire alla vita la sua autenticità. Si pone come lo strumento chiave di un cambiamento che deve avvenire “’spiritualmente’ senza la nostra partecipazione consapevole” (p. 160).
Non a caso uno dei nodi ricorrenti è la partecipazione sia degli spettatori sia dei cittadini: “Devo trovare la maniera di lasciare libera la gente senza che diventi sciocca”, per poi aggiungere “i miei problemi sono diventati sociali piuttosto che musicali” (p. 134). Dietro l’apparenza giocosamente provocatoria, autosufficiente nella sua provocatoria perfezione, quella di Cage è un’arte politica, perché cambia lo sguardo e l’ascolto, e dunque la consapevolezza.

Dopo il trionfo a Lascia o raddoppia?, Cage si congedò dal pubblico televisivo.

Mike Bongiorno e John Cage a Lascia o raddoppia?

Mike Bongiorno: Bravissimo, bravo bravo bravo bravo. Bravo bravissimo, bravo Cage. Beh insomma, il signor Cage ci ha dimostrato indubbiamente che se ne intendeva di funghi, perché con le domande che gli abbiamo fatto questa sera c’era di che sudare. Quindi non è stato solo un personaggio che è venuto su questo palcoscenico per fare delle esibizioni più o meno strambe di musica strambissima, quindi è veramente un personaggio preparato. Io lo sapevo perché mi ricordo che il signor Cage ci aveva detto che abitava nei boschetti nelle vicinanze di New York e che tutti i giorni andava a fare passeggiate a raccogliere funghi, ed ecco dove ha imparato la sua materia.
John Cage: Un ringraziamento a …funghi, e ringraziamento alla Rai e a tutti genti d’Italia.
Mike Bongiorno: A tutta la gente d’Italia!
[APPLAUSI]
Mike Bongiorno: Bravo, signor Cage! Arrivederci e buon viaggio. Torna in America o resta qui?
John Cage: …mia musica resta.
Mike Bongiorno: Ah, lei va via e la sua musica resta qui. Ma era meglio che la sua musica andasse via e lei restasse qui.
[RISATE E APPLAUSI]

Ma non tutto è come sembra.

Guy Nearing ripete che tutti gli esperti di funghi muoiono avvelenati. Donald Malcomb ritiene estremamente immaginari i rischi della caccia grossa, e perfettamente reali quello della ricerca di funghi. (p. 83)




Tag: CageJohn (3)