L’arte dev’essere insopportabile? e altri piaceri della vita (beta version)

dopo aver visto lo spettacolo di jf e aver parlato con amm

Pubblicato il 26/05/2001 / di / ateatro n. 011

Dieci comandamenti (circa)
L’arte, ormai l’abbiamo imparato, per essere vera arte deve essere insopportabile. Deve farci male.
Perché ora che dio è morto, solo l’arte può e deve creare quel turbamento che provocava il numinoso. Perché da sempre l’arte si spinge nei terreni proibiti, fin da quando gli sciamani avevano il compito terribile di farci parlare con i morti, con gli animali, con l’anima del mondo, con ciò che non è umano e ci atterrisce.
Perché l’arte deve portarci fuori da noi stessi, in lande sconosciute e pericolose, affinché possiamo autenticamente ritrovarci. L’arte deve farci sperimentare l’orrore, solo così possiamo imparare a convivere con esso, dargli un limite e conoscere noi stessi e forse purificarci.
Perché l’arte ha il compito di mettere in discussione il nostro modo di vedere il mondo e di ridefinire le categorie con cui percepiamo e organizziamo la realtà, e per farlo deve destabilizzare il nostro orizzonte percettivo e cognitivo. Noi crediamo che il mondo sia spazio e tempo, linea e colore, e invece non sono mai quello spazio e quel tempo, quella linea e quel colore, ma un diverso guazzabuglio dove non esistono segni e cose ma nient’altro che energie e atomi danzanti nel nulla e solo lo sguardo creatore dell’artista può penetrare quel caos e attraversandolo dargli un nuovo precario ordine.
Perché la storia progredisce inesorabile, con il proprio sguardo rivolto al passato di rovine, mentre noi dobbiamo guardare in faccia il futuro e attrezzarci ogni volta a vedere il mondo con occhi nuovi.
Perché le avanguardie ci hanno insegnato che bisogna spingersi sempre oltre, essere radicali, andare fino alle estreme conseguenze. Rendere reale il possibile, questa è la loro lezione: dove il possibile è quello che fino a un attimo prima veniva ritenuto inaccettabile.
Perché l’arte è malattia, patologia, devianza, disturbo, rivolta, eccesso, sacrificio (di sé), spreco… Dunque l’artista viene sedotto dal misterioso, affascinato dall’improbabile, stregato dall’eccentrico, è un diverso che si sente attratto dai diversi.
Perché è reazione ai meccanismi del potere – anche quelli che abbiamo introiettato, nel più profondo di noi stessi, e li subiamo come se fossero naturali. L’arte deve aprire all’uomo spazi di libertà sempre nuovi: dunque è trasgressione, è la necessità di superare le regole e i luoghi comuni, è liberare il desiderio anche e soprattutto là dove i condizionamenti sociali ergono le loro barriere.
Perché la vita dev’essere come l’arte. Anzi, per essere come la vita, l’arte deve avere tutta l’infinita ricchezza della vita e dunque riscattare anche le propaggini più estreme e meschine e trascurabili e degradate della realtà. Deve trasfigurare gli scarti in bellezza.
Perché l’arte dev’essere come la vita. Perché nell’arte dobbiamo ritrovare l’intensità insopportabile della vita, lo stesso brivido dell’eccitazione. E lo possiamo fare solo creando, all’interno di quello spazio chiuso e fittizio che è l’esperienza artistica, una folgorazione di verità. L’artista e il suo pubblico possono trovarla – quella verità dell’esperienza, quella reazione fisica che dice “Sono vivo” – nel dolore, nello scandalo, nel sudore e nella fatica, nella noia, nella ripetizione, nel ribrezzo, nel sacrilegio, nell’eccitazione sessuale, nel panico della morte…

Undicesimo comandamento
Se cercherai di seguire questi dieci comandamenti alla lettera, produrrai dei cliché.
Ma forse, se produrrai un cliché che rende insopportabili i cliché, o un cliché davvero insopportabile…

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