Il dionisiaco nell’epoca del politicamente corretto

Peak Mytikas di Jan Fabre, Caridad di Angélica Liddell, Il Terzo Reich e Bros. di Romeo Castellucci

Pubblicato il 29/05/2023 / di / ateatro n. 189

Il primo segno forte sono i costumi. Non ci sono più le nudità dei lavori precedenti, esibite, provocatorie e scandalose, in un vorticare di liquidi organici.

Once upon a time
we proudly shamelessly showed our bodies.
We enjoyed the toy of our lust.
But times have changed.
Bodies are forbidden.
Desire is banned.
Once love was anarchy,
now it must be clean and clear.
So cut your nipples, crash your balls.
Cut your clit, sean your cunt.
Be decent, be correct, be normal.
Kill you passion, lock your body.
Hide it, blur it, bury your sex.
Seal it, shut it down.
No more pleasure, no more horniness.
Do like us: destroy the joy.
C’era una volta
che abbiamo mostrato i nostri corpi senza vergogna.
Abbiamo goduto del giocattolo della nostra lussuria.
Ma i tempi sono cambiati.
I corpi sono proibiti.
Il desiderio è vietato.
Una volta l’amore era anarchia,
ora deve essere pulito e chiaro.
Quindi taglia i tuoi capezzoli, schianta le tue palle.
Taglia il tuo clitoride, sigilla la tua figa.
Sii onesto, giusto, normale.
Uccidi la tua passione, chiudi a chiave il tuo corpo.
Nascondilo, sfiguralo, seppellisci il tuo sesso.
Lo devi sigillare, zittire.
Basta piacere, Basta eccitazione.
Fa’ come noi: distruggi la gioia.

Jan Fabre, Peak Mytikas (ph. ©Hanna Auer)

I corpi dei “guerrieri della bellezza” ora appaiono feriti. Le bende si imbevono del sangue che esce dalle ferite sui capezzoli e sul sesso. Il nuovo puritanesimo mutila le zone erogene, per uccidere il desiderio.
Mount Olympus, la megaperformance di 24 ore che Jan Fabre aveva dedicato alla tragedia greca, si concludeva con una travolgente orgia di colori, un inno a Dioniso, all’eros e alla trasgressione. Dal 2015 a oggi la prospettiva è cambiata. Sono diversi lo scenario politico e il clima culturale. Ci ha travolto il Covid-19, rendendo ancora più evidente la catastrofe ambientale. L’Europa è in guerra. Infine, Jan Fabre è stato condannato da un tribunale belga a 18 mesi (senza reclusione) per 5 “violazioni della legge sul benessere dei lavoratori” e, nel caso di una donna, di “assault on decency” (ovvero aggressione a sfondo, per un bacio “con la lingua”). La sua è una risposta da artista, attraverso la sua opera. O meglio, l’artista si esprime ripensando e mettendo in discussione il proprio lavoro e rilanciando la provocazione.

Jan Fabre, Peak Mytikas (ph. ©Hanna Auer)

Peak Mytikas, che ha debuttato al Troubleyn/Laboratorium di Anversa a maggio e sarà a Milano a novembre, è una riflessione problematica sugli stessi temi di Mount Olympus, a cominciare dal titolo. Nella drammaturgia di Johan De Boose, la mitologia non è più un deposito di archetipi, ma lo spunto per una riflessione sul tragico che nasce dalla dialettica tra individuo e società. Al centro delle otto ore di Peak Mytikas, ci sono Prometeo, Edipo e Antigone, che diventano anche dei doppi dell’artista, in lotta solitaria contro il potere degli dei e degli uomini. A interpretare le tre figure, si avvicendano ogni volta uomini e donne, quasi a voler superare una visione maschilista dell’eroe: Edipo, come Tiresia, “una volta era un donna, poi un uomo, ora è un trans”, mentre Antigone è destinata a diventare uomo.

Jan Fabre, Peak Mytikas (ph. ©Hanna Auer)

Nella visione di Fabre, i tre eroi tragici sono agnelli sacrificali, capri espiatori (si avverte l’eco di René Girard), vittime di una civiltà disagiata che ormai privilegia thanatos rispetto a eros, la pulsione di morte rispetto alla creatività, la repressione degli istinti rispetto all’anarchia del desiderio. Se rimuovi i corpi, se inibisci l’amore e il sesso, è inevitabile che arrivi la guerra, come spiegava l’angosciato Sigmund Freud nell’intervallo tra i due conflitti mondiali. A quel punto resta una sola possibilità, come grida Antigone: il rifiuto.

NO NO NO NO NO
NO to the testosterone of wars
NO to the horny bigotry of the Ayatollahs
NO to the creep in his Kremlin
NO NO NO NO NO
NO al testosterone delle guerre
NO al bigottismo arrapato degli Ayatollah
NO a quel viscido nel suo Cremlino

 
C’è una straordinaria intuizione che ispira lo spettacolo, fin dal titolo. Perché in greco “μύτη” significa “naso” (in greco antico sarebbe “μυκτήρ”). Il desiderio, rimosso da quei corpi senza organi, asessuati, da quelle zone erogene rese invisibili, e dunque letteralmente oscene, viene riacceso dal più primitivo dei sensi, “il più misterioso”, l’olfatto. Quando Prometeo dona il fuoco all’umanità, sono i fumi delle vittime sacrificali a salire fino all’Olimpo, per il piacere degli dei: a eccitarli è l’odore degli animali, delle ossa, degli uomini che bruciano nell’olocausto. Dalla scena, il sudore dei corpi estenuati invade la platea. Durante la performance, sono gli ormoni a scatenare un’orgia paradossale, dove ogni attore/attrice mima accoppiamenti multipli e acrobatici con partner invisibili. Se reprimi la sessualità, da qualche parte il dionisiaco riemerge ed esplode. A volte nella violenza, a volte in uno sfogo liberatorio, contro ogni ipocrisia.

Jan Fabre, Peak Mytikas (ph. ©Hanna Auer)

Quello di Jan Fabre non è un manifesto, e tanto meno un programma politico: è pensiero teatrale in atto, è un rituale che porta il scena – ovvero disvela – ciò che turba le nostre coscienze. C’è una curiosa coincidenza con Caridad. Un’approssimazione alla pena di morte divisa in 9 capitoli, l’ultimo spettacolo di Angélica Liddell (visto all’Arena del Sole di Bologna), dove è centrale la riflessione sull’arte e sulla legge nell’era del neo-perbenismo (il testo dello spettacolo, seguito da una saggio assai polemico contro i suoi critici, è pubblicato da Luca Sossella Editore).

Angélica Liddell, Caridad. Un’approssimazione alla pena di morte divisa in 9 capitoli

Caridad è un inno alla trasgressione, all’eccesso, al libertinaggio, che riprende Pasolini e Godard, Sade e il Gilles de Rais glorificato da Bataille, Nitsch e Abramovic. Liddell non si autocensura: teorizza che “bisogna continuare, bisogna insistere con le vagine, con i peni, con il coito, con la levitazione” e sulla scena agisce di conseguenza. Caridad è un gesto di ribellione contro “la legge dello Stato”, ma anche contro gli eccessi della ragione. La performer spagnola si ribella e si esibisce senza pudore in nome dell’amore, ovvero “l’impotenza della ragione” (Georges Bataille) e “la ribellione contro lo Stato e la produzione” (Michel Foucault). Il suo è un proclama a favore di un’arte che “si colloca al di fuori di qualsiasi legalità frutto della ragione” (George Steiner).

Io credo nell’innocenza delle azioni, osserva bene il peggiore degli assassini e vedrai un uomo innocente, poveri uomini perduti, la stessa storia di sofferenza alle loro spalle. Credimi, è una questione di sacrificio. Il giustiziato ci redime, che sia colpevole o innocente. (…) La Legge non ha nulla a che vedere con la giustizia o la morale, bensì con la Purificazione. Grazie alla pena inflitta al reo i nostri cuori si sublimano, si purificano dalla malattia. Dal suo sacrificio dipende il risanamento. La nostra salute dipende dai condannati, dai criminali. (p. 37)

La società non si regge sulla colpa o sull’innocenza degli esseri umani, ma sulla punizione, sul castigo, sul sacrificio (torna ancora una volta l’eco di Girard). Per dimostrarlo, in un’atroce lezione di storia, l’invenzione e l’uso della ghigliottina vengono narrati a un gruppo di bambine: perché poi si racconta il destino delle ultime vittime dell’atroce strumento, ideato nel Settecento da un costruttore di clavicembali, e utilizzato fino al 1977 contro (presunti) sadici e pedofili.

Angélica Liddell, Caridad. Un’approssimazione alla pena di morte divisa in 9 capitoli

Lo spettacolo è volutamente crudele e disturbante. Come spiega Liddell nella sua postfazione,

Quando ero giovane, gli “happy ending” non suscitavano il favore del pubblico. Materializzavano la parte più commerciale del cinema americano, un “happy ending” era uno schifo, lo chiamavano “un’americanata”. Oggigiorno gli “happy ending” si sono trasformati nei portabandiera di qualsiasi rivoluzione che si rispetti. Quei finali costruttivi di personaggi emancipati non fanno altro che rovinare il senso profondo dell’arte, cioè l’esposizione cruda della condizione umana. (pp. 112-113)

In conclusione a questa fiera delle atrocità, si chiede Liddell, se il comandamento è l’amore, “che quantità di perdono siete disposti a sopportare?” Qual è il limite della carità? In una visione che va oltre il “perdona settanta volte sette” del Vangelo, oltre la morte ogni bambina violentata e assassinata tiene la mano del suo assassino.

Il mio perdono è più grande.
E’ un atto di carità totale.
(p. 78)

Angélica Liddell, Caridad. Un’approssimazione alla pena di morte divisa in 9 capitoli

Liddell mette in cortocircuito e fa deflagrare i diversi piani: la giustizia e la legge, l’arte e la ragione, l’amore e la violenza, la punizione e il sacrificio. Il Nietzsche della Genalogia della morale, Jean Genet e la più fondamentale virtù cristiana. L’indiscutibile morale di questo spettacolo amorale – o meglio, assai morale perché in “lotta contro l’ipocrisia del puritanesimo del XXI secolo” – la si può leggere alla fine, proiettata sulla parete di fondo:

Ci sono uomini e donne che durante la loro vita rispettano la legge.
Si comportano con rettitudine. Sono cittadini modello.
Sono democraticamente responsabili e non commettono mai un crimine.
Ma moralmente sono orribili, molto più riprovevoli di un assassino.
(p. 79)

Anche nel finale di Peak Mytikas si riflette sul senso della legge e sulla nostra ipocrisia.

There is no better law
than the law of human beings.

But

in what continent, in which era
have humans applied
their own laws properly?

Many things are unthinkable
but nothing is as unthinkable
as humans beings living
according to their proper laws.

Non c’è legge migliore
della legge degli esseri umani.

Ma

in quale continente, in quale era
gli esseri umani hanno applicato
correttamente le proprie leggi?

Molte cose sono impensabili
ma niente è così impensabile
come esseri umani che vivono
secondo le loro leggi.

Jan Fabre (Antwerp, 1958) e Angélica Liddell (Figueres, 1966), artisti di paesi diversi e con percorsi diversi, avvertono una pericolosa involuzione della nostra società, confermata ogni giorno da numerosi fatti di cronaca (e di cronaca politica). Reagiscono mettendo in atto il loro pensiero teatrale, in dialettica con il pubblico e con i media. Alla fascinazione dell’autoritarismo allude anche Romeo Castellucci (Cesena, 1960), esponendo la potenza manipolatrice del linguaggio con Il Terzo Reich e illustrando la violenza sadica del gruppo con i poliziotti di Bros. Forse non è un caso se questi tre artisti radicali, che nel corso della loro carriera hanno fatto esplodere il perturbante nel cuore del rito teatrale, si misurino oggi con una dimensione politica, al confine tra la loro sensibilità individuale e l’evoluzione della società.
Alla fine di questi spettacoli non c’è un’orgia liberatoria, una catarsi. Non arriva nemmeno un impossibile lieto fine. Piuttosto, oltre all’ammirazione per la bellezza oltraggiosa e violenta delle immagini, resta un senso di disagio, un’ansia.
C’è una guerra culturale in corso. Come in ogni guerra, il rischio è che la lotta ti renda sempre più simile al nemico che combatti, che ti costringe a usare le sue stesse armi, le sue stesse tattiche, la sua stessa ottusa ferocia. Il teatro e l’arte permettono ogni volta di scartare, per scegliere un diverso campo di battaglia. E’ possibile salvare un margine di libertà, mettere in scena il paradosso e l’ironia, che è al cuore del tragico. Rendendo visibili le nostre contraddizioni. Interrogandoci ogni volta sull’origine del male.

I LINK

Mount Olympus: tragedia e catarsi secondo Jan Fabre. 24 ore per perdersi nel dionisiaco

Voler morire, voler uccidere: solo questo serve per fare teatro? (Starring Angelica Liddell, Sergio Blanco, FC Bergman, Achille Lauro, Tiago Rodriguez, Uffe Isolotto)

Per un teatro “antifa”. Note sparse su Giacomo del Teatro dei Borgia, Il terzo Reich e Bros. di Romeo Castellucci, Catarina o la beleza de matar fascistas di Thiago Rodriguez, Entre Chien et Loup di Christiane Jatahy, L’Etang di Gisèle Vienne, Mal di Marlene Monteiro Freitas e altri spettacoli




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