Il paese della commedia dell’arte

Recensione a Le maschere italiane di Nicola Fano

Pubblicato il 28/08/2001 / di / ateatro n. 017

Nella collana dedicata all’identità italiana, ideata e curata da Ernesto Galli della Loggia, al numero 23, Il Mulino ha pubblicato uno studio dedicato a Le maschere italiane (lire 24.000, 194 pagine). Autore è Nicola Fano – critico e giornalista, nonché autore di due saggi interessanti e curiosi, De Rege varietà (Baldini & Castoldi, 1998) e Tessere o non tessere. I comici e la cultura fascista (Liberal Libri, 1999).
Il tema di Le maschere italiane è senz’altro affascinante: il rapporto tra la storia italiana e l’evoluzione di Arlecchino (“Il Seicento ovvero l’età delle corna”), Pantalone (“Il Settecento ovvero l’età della gobba”, anche se con i suoi difetti potrebbe essere il vero specchio dell’anima italiana), e Pulcinella (“L’Ottocento o l’età del naso”), o meglio degli attori che diedero loro corpo, parole e vita, dalla nascita della Commedia dell’Arte fino alla Seconda guerra mondiale – perché, così Fano motiva questo spartiacque temporale, da un lato l’avvento della democrazia ha cambiato irreversibilmente il rapporto tra teatro e potere; dall’altro la società moderna che si impone attraverso i mass media ha finito per distruggere quello che era il popolo.
Un aspetto che Le maschere italiane lascia decisamente in secondo piano è il rapporto tra la stagione della maschere – il Carnevale – e la Quaresima: e questo porta forse a lasciare in secondo piano gli snodi più direttamente antropologico-etnografici (il rapporto tra il tempo del lavoro e quello della festa, la sopravvivenza delle antiche ritualità in un contesto cristianizzato, e in generale tutti i temi legati alla cultura del carnevale esplorata da Bachtin), per confinarsi in una logica tutta interna alle dinamiche del teatro nell’arco di quattro secoli.
Nella carrellata sorprendono poi alcune assenze che rischiano di rendere limitata e storiograficamente datata l’impostazione del volume. Solo a scorrere l’indice di nomi, spiccano due lacune (oltre a quelle di Govi e Ferravilla, nonché quella di Bachtin): quella di Angelo Beolco, ovvero il Ruzante (riscoperto da Ludovico Zorzi, e portato sulle scene da Gianfranco De Bosio), e quella di Giulio Cesare Croce, il cantore delle gesta del Bertoldo (al quale ha dedicato attenzione e studi, tra tutti, Piero Camporesi). Certo, né il Ruzante né Bertoldo sono maschere raggelate nella tradizione delle figurine e dei Carnevali da piazza e da televisione, e tuttavia non appena si riflette sul problema della maschera in rapporto all’identità italiana, rappresentano snodi centrali. Anche nei loro complessi rapporti con il potere (tema centrale di questo Le maschere italiane) Angelo Beolco e Giulio Cesare Croce offrono percorsi emblematici (e, verrebbe da aggiungere, istruttivi). Va detto che Ruzante e Croce sono stati riscoperti (e Bachtin tradotto in Occidente) solo dopo il 1945: l’autolimitazione cronologica che si è imposta Fano risulta dunque rispettata con rigorosa coerenza. Tuttavia questi autori (tardivamente riscattati alla cultura “alta”, e dunque così moderni) avrebbero potuto fornire alcuni indizi per approfondire diversi aspetti dell’evoluzione del comico negli ultimi decenni, le alterne vicende della commedia all’italiana (da Alberto Sordi a Alvaro Vitali, da Moncielli e Scola a Nannimoretti) e l’impegno politico-civile di qualche attore contemporaneo (Fo, Grillo, Benigni, Rossi…).

Oliviero_Ponte_di_Pino

2001-08-28T00:00:00




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