E se Il grande fratello fosse nostro cugino?

Alcune provocatorie tesi teatro e nuove tecnologie

Pubblicato il 14/05/2003 / di / ateatro n. 052

Se ci occupiamo di teatro e nuovi media, non possiamo escludere dal nostro orizzonte Il grande fratello: la trasmissione (giunta in Italia alla terza edizione, ottenendo un successo impressionante) da un lato può essere guardata e osservata con uno sguardo “teatrale”, dall’altro pare mettere in pratica alcune delle utopie delle avanguardie storiche novecentesche. Dunque si impone un confronto non superficiale tra questa esperienza e quelle che vengono attualmente condotte sul versante del teatro web.
Quelli che seguono sono solo alcuni spunti di riflessione, volutamente semplificisti e provocatori. Ma li ritengo utili, perché possono aiutarci a fare prima confusione (e poi, chissà, chiarezza) nel groviglio pratico-teorico che ruota intorno al nodo teatro e nuovi media.

Una precisazione, per evitare equivoci nella lettura. Appartengo a una generazione che ha letto Orwell e per me la profezia del Grande Fratello è sempre stata e resta uno dei peggiori incubi – e ora pare sempre meno fantascientifica. Allo stesso modo Il grande fratello per molti aspetti mi ripugna, mi irrita, mi annoia, e dunque l’ho frequentato solo saltuariamente. Ma mi ripugna un po’ troppo. Dunque voglio capire meglio i motivi di questo disagio.

Il grande fratello, il format televisivo creato dalla società olandese Aran Endemol ed esportato con successo in molti paesi, compresa l’Italia, rappresenta uno dei fenomeni più innovativi della televisione generalista. Gli studiosi hanno parlato di “reality show” (“un programma basato su situazioni reali che coinvolgono persone comuni, presentate in un contesto narrativo”, Aldo Grasso, Storia delle televisione italiana, Garzanti, Milano, 2000, p. 832) e di “tv interattiva”, considerate le possibilità di intervento del pubblico. Hanno anche sottolineato che Il grande fratello non è solo una trasmissione televisiva, ma “coinvolge in maniera parossistica tv, pay-tv, radio, stampa, satelliti, internet, webcam, cellulari” (Aldo Grasso, cit., p. 700), ma anche una trasmissione parodistica (Mai dire grande fratello), una rivista, eccetera. Insomma è un meccanismo che consente un marketing di notevole ampiezza, che è il frutto di una diversa integrazione tra i media, di quella che Tatiana Bazzichelli definisce “transmedialità” (e questo è uno degli aspetti teoricamente più interessanti dell’intera operazione).

Per quanto riguarda gli elementi teatrali, vale la pena di individuare (con uno sguardo volutamente ingenuo) quelli presenti nel format (e quelli che non ci sono). Anche se già qui emerge un problema: seguire Il grande fratello sul web oppure seguirlo il giovedì sera su Italia 1 sono due esperienze diverse, perché si svolgono in contesti mediatici differenti. Nelle considerazioni che seguono, questa distinzione resta in secondo piano; il presupposto implicito è che il medium di riferimento, per così dire, sia Internet.
In primo luogo (presupponendo che chi legge conosca già i meccanismi fondamentali del programma) vengono identificati con assoluta precisione un tempo e uno spazio in cui ha luogo la performance: un numero di settimane predeterminato e la “Casa”. E’ l’identificazione di uno spazio e tempo diversi da quelli della vita quotidiana e della normalità: per gli inquilini della Casa la discontinuità dalla vita quotidiana è drammatica, e si riflette nella percezione e nell’attenzione del pubblico.
Quante esperienze artistiche di frontiera degli ultimi decenni sono partite da condizioni analoghe di autoconfinamento e di esibizione di sé? Basti pensare a Beuys, Stelarc, Abramovic. Certo, sono state condotte con maggiore consapevolezza e radicalità – ma partono in ogni caso dall’idea di rendere in qualche misura il proprio corpo “ostaggio” dell’evento, e garanzia della sua verità. Forse i protagonisti del Grande fratello, non hanno piena coscienza di questo fatto – ma l’hanno sicuramente i suoi creatori, come l’avevano e l’hanno molti dei militanti che in questi decenni hanno prestato il loro corpo a manifestazione di carattere politico o sindacale, arrivando a volte all’autodistruzione.
Dal punto di vista del teatro, questo tempo e questo spazio rappresentano il “qui e ora” dell’evento: la diretta televisiva o web crea e produce l’evento in diretta. Non sono le condizioni di una normale trasmissione televisiva (che ha il suo tempo e il suo spazio), perché questo limite così esplicitato assume una connotazione rituale, quasi sacrale.
Vengono poi identificati gli attori-performer, scelti attraverso un attento processo di selezione e consacrati dall’ingresso nello spazio scenico. E’ interessante notare come queste “persone” diventino per presto “personaggi”. I diretti interessanti sono ovviamente consapevoli di essere i protagonisti di una rappresentazione (e sanno che vengono visti in tutta Italia); inoltre possono (anzi, devono, se vogliono avere successo) seguire una strategia di dissimulazione: per evitare di essere eliminati devono indossare una serie di maschere, per esempio si comportano diversamente con i loro coinquilini o nel confessionale dove parlano con il GF. Le conversazioni con il GF, tra l’altro, sono veri e propri “a parte” (“convenzione per cui l’attore non parla più rivolgendosi all’interlocutore, ma tra sé: in pratica rivolgendosi al pubblico per fargli conoscere il suo intimo pensiero”, Enciclopedia dello spettacolo, Garzanti, Milano, 1977, s.v.).
Dal punto di vista del pubblico, gli internati della Casa diventano via via più riconoscibili: con il passare del tempo, se ne colgono sempre più nitidamente carattere, psicologia, emozioni, motivazioni… Molti di essi diventano vere e proprie maschere, caratteri da Commedia dell’Arte (in questo aiutati dal talento della Gialappa’s); in questo, soprattutto nell’ultima edizione, ha influito la scelta di “regionalizzare” e caratterizzare maggiormente i concorrenti: quelli delle edizioni precedenti apparivano interscambiabili e «carini», tutti figli dell’«Italia da bere» berlusconiana; quelli dell’edizione 2003, rivendicando la loro “etnicità”, hanno fatto evocare ad alcuni commentatori addirittura Pasolini per la loro vera o presunta “originarietà”. Ovviamente dal punto di vista teatrale i personaggi del Grande fratello ricadono in una particolare categoria: quella di “attori che siano essi stessi personaggi (si pensi a Chaplin o a Totò, a Woody Allen o a tanti protagonisti dello spettacolo leggero); l’identificazione può arrivare al punto da impedire in pratica all’attore l’interpretazione di personaggi diversi dal proprio” (Enciclopedia dello spettacolo, s.v.). Ma questo al rassicurante teatrino televisivo va benissimo: creato il personaggio, l’icona, lo si può sfruttare fino a sazietà (del pubblico).
Creando un personaggio, gli inquilini della Casa impongono al pubblico un modello: tanto nel modo di essere tanto nella consapevolezza di sé (soprattutto attraverso i monologhi al Confessionale). Diffondono anche dei moduli di comportamento: l’ostentata sincerità sulle proprie vicende e sentimenti, l’accettazione del fatto che siamo sempre controllati, ma anche una sostanziale ipocrisia: nel panopticon della Casa non possano esserci segreti, ma la strategia vincente prevede un margine di dissimulazione confronti sia degli altri inquilini, che si vogliono eliminare e metaforicamente “uccidere”, mentre una convivenza sostanzialmente pacifica è in qualche modo imposta e accettata dalle regole della Casa.
Dati un qui e ora (e una compresenza del pubblico – seppure non fisica, ma attraverso la diretta) e una serie di attori-personaggi, l’altro elemento teatrale fondamentale è la drammaturgia. Quella del Grande fratello ha diversi livelli. Il primo, diciamo così, è quello del plot (“l’ossatura, la sinossi del dramma [con] i nomi degli attori… le entrate e le uscite dei personaggi, gli attrezzi necessari allo spettacolo”, Enciclopedia dello spettacolo, cit.). Il plot del Grande fratello ricorda certi gialli di Agatha Christie. C’è un gruppo di persone confinato in uno spazio chiuso (una villa di campagna, l’Orient Express, la nave in crociera sul Nilo); a una a una vengono progressivamente eliminate da un serial killer. Nei gialli di Agatha Christie bisogna scoprire l’assassino. Qui l’assassino è il pubblico. Il mistero riguarda le vittime: chi NON verrà ucciso da questo implacabile serial killer, che colpisce regolarmente ogni settimana? In questo aspetto di imprevedibilità (e nel versante agonistico della lotta tra gli inquilini) Il grande fratello è più simile a un evento sportivo, anche se la struttura portante resta quella teatrale.
Un secondo livello drammaturgico riguarda una serie di eventi ripetitivi: abbiamo già citato gli ingressi nel Confessionale, ma a questa categoria appartengono anche le “nomination” con cui i reclusi scelgono periodicamente i compagni che vorrebbero espellere, e poi ovviamente l’eliminazione-esecuzione del concorrente che gli spettatori scelgono tra i più “nominati”. Infine ci sono le sorprese, i piccoli soggetti, i minicopioni inseriti per ravvivare la vita monotona di quel carcere mediatico: le prove da superare, le “sorprese”, eccetera. Si crea così una griglia assai complessa, se si considera che è accompagnata da una ampia serie di regole che determinano quello che si può fare e soprattutto non fare nella casa: niente giornali, libri, radio, musica e neppure, paradossalmente, televisione. Nessuno scambio di notizie con parenti e amici, salvo eventuali “visite” via video nel corso della trasmissione tv. Eccetera eccetera.
La Casa è dunque uno spazio totalmente fittizio, un luogo altro, una sorta di utopia, o di agghiacciante contro-utopia. In questo contesto ipercontrollato, alla fine, le reazioni dei personaggi e i loro dialoghi hanno un grado di libertà (di improvvisazione, se vogliamo) piuttosto predeterminato e limitato. Diciamo che Il grande fratello ha un copione con un plot e una serie di soggetti; dopo di che dà spazio a una serie di azioni, di performance da parte degli inquilini della casa. Ma i gradi di libertà sono maggiori di quelli di un tradizionale spettacolo teatrale, ma restano assai limitati.

Considerate queste affinità, sarebbe possibile leggere puntata dopo puntata Il grande fratello come un evento teatrale, con gli strumenti di analisi messi a punto con questo obiettivo. Vale la pena di notare che gli autori del format dimostrano una notevole padronanza delle grammatiche dei media e delle possibilità di trasferire alcuni elementi da un medium all’altro. Ma non è tutto. Un secondo aspetto, forse ancora più interessante, riguarda la maniera in cui questi elementi teatrali vengono fatti interagire con i nuovi media, mettendo di fatto in pratica alcune delle visioni delle avanguardie novecentesche.

Nella tradizione della avanguardie ci sono alcune utopie ricorrenti, che possono essere coniugate in diverse maniere. Per esempio l’annullamento della distanza tra teatro e vita, tra realtà e rappresentazione. Il grande fratello trasforma – nelle condizioni che abbiamo esaminato – la vita in teatro, gli spettatori in attori. Non sono gli attori presi dalla strada del neorealismo: i reclusi del GF erano davanti al piccolo schermo, e sono passati semplicemente al suo interno. I “quindici minuti di celebrità” che Andy Warhol aveva promesso a tutti noi diventano la regola. Pare il trionfo di una democrazia creativa dove chiunque ha qualcosa da dire e il diritto di dirlo (a otto milioni di persone!).

Se questo aspetto riguarda il versante arte-vita, l’altro versante riguarda le possibilità di espansione e ridefinizione del rapporto del pubblico con tra l’evento attraverso le nuove tecnologie. La direzione è ovviamente quella di un maggiore coinvolgimento dello spettatore nel determinare il corso dell’evento teatrale, intervenendo sul qui e ora.
Nel Grande fratello è il pubblico a determinare lo svolgimento dello spettacolo, in una forma di coinvolgimento formalmente (ancora una volta) “democratica”: attraverso il voto telefonico sceglie settimana dopo settimana l’indiziato (il nominato) da eliminare. In qualche misura, il pubblico diventa attore e personaggio. Se Il grande fratello fosse un vero giallo, l’assassino non sarebbe probabilmente il protagonista, ma in ogni caso il personaggio principale, quello che con il suo delitto mette in modo l’azione drammaturgica. Anche nel Grande fratello il pubblico, pur non essendo il protagonista, è il personaggio principale: è quello che riconduce alla normalità e alla libertà i reclusi della casa (anche se si tratta di una libertà assai strettamente vigilata: i reduci della trasmissione, almeno nei primi mesi, paiono vivere all’interno del piccolo schermo, dove girovagano da una trasmissione all’altra come anime in pena). Ma è importante notare che il pubblico in qualche modo decide dello sviluppo del plot (“le entrate e le uscite dei personaggi”, con tutto quello che ne consegue): e sono anche qui numerosi gli esperimenti che in passato hanno seguito questa strada, con risultati spesso meno convincenti.
Il coinvolgimento del pubblico trova sul web un’altra declinazione: attraverso le diverse webcam disseminate nello spazio scenico, il visitatore può determinare il proprio punto di vista e (se si vuole) la propria trama, la propria sequenza: che so, seguendo unicamente un personaggio attraverso i vari sottospazi che occupa, oppure seguendo unicamente quello che accade in una determinata stanza. In questo senso, la televisione resta più vicina al cinema, che impone il punto di vista; il web rimanda invece a uno sguardo teatrale, dove lo spettatore può scegliere dove focalizzare l’attenzione.
Prese singolarmente, queste pratiche erano già presenti in molte esperienze (di televisione, di web, di teatro-web). In questa occasione, hanno trovato una applicazione sinergica e soprattutto hanno coinvolto attivamente un pubblico di massa. Per certi aspetti, è un’opera di alfabetizzazzione che ha portato esperienze elitarie a una fruizione molto più ampia.

Dal punto di vista estetico, è chiaro che per un critico teatrale Il grande fratello è un fallimento. La scenografia è squallida, la casa è di rara bruttezza, ricorda l’asettico anonimato delle carceri socialdemocratiche del Nord-Europa. I personaggi sono, a dir poco, banali. Lo loro esperienze – quelle che vivono nella Casa, ma anche il loro passato – rappresentano volutamente la normalità corrente. Alla fine, non hanno niente da dirci, solo che esistono – ma non ne sono sicuri neppure loro, e infatti sono finiti in quegli arresti domiciliari per esibizionisti. (Chi ha davvero qualcosa da dire e da fare, chi ha preso qualche impegno nei confronti della vita e degli altri, difficilmente può permettersi tre mesi di isolamento totale dal mondo). In genere nella Casa non succede quasi nulla, e quel poco non è interessante. Il meccanismo della suspence è tra i più consunti.

Tuttavia questo intreccio di noia e banalità, al di là del clamoroso successo che ne ha fatto un vero fenomeno di costume, pone un’ampia serie di questioni. Da un certo punto di vista, è inevitabile e normale che tecnologie e tecniche d’avanguardia trovino più vaste applicazioni. Il nodo è: che cosa accade durante questo processo?. E’ evidente che Il grande fratello, pur utilizzando tecnologie che hanno uno straordinario potenziale estetico e liberatorio (anche rispetto al mezzo televisivo), ne fa un uso limitato, limitante e regressivo. Sulle ragioni di questo risultato, si possono fare diverse ipotesi.
1. E’ una trasmissione gestita da mega-colossi dell’informazione, sotto stretto controllo politico. Dunque che pretendiamo? Viene però da chiedersi se sarebbe possibile di fare un Grande fratello «indipendente», che funzioni senza essere regressivo, se è possibile usare le stesse tecniche e tecnologie per costruire consapevolezza e reale senso di comunità.
2. A irrigidire il processo comunicativo del Grande fratello è la sottostante struttura teatrale, l’idea che ci siano un plot e un gruppo chiuso di personaggi, insomma una griglia rigidamente prestabilita che nella sua natura resta tendenzialmente autoritaria, perché crea nell’immaginario strutture rigide. Se si accetta questa opzione e la si radicalizza, qualunque forma diamo alla comunicazione rischia di essere considerata un limite insopportabile. Anche una chat, in apparenza un medium con pochissimi vincoli, ha in realtà una struttura molto rigida.
3. E’ quel plot che non funziona. O meglio, il plot funziona sin troppo bene, nel senso che sembra riflettere il nostro attuale rapporto con gli altri e con il mondo. Esiste un potere superiore che ci controlla, ci condiziona e determina le nostre vite. C’è un’entità, anch’essa invisibile e astratta, che decreta il nostro successo e insuccesso (il mercato, il pubblico). Noi siamo soli (non ci sono parenti e amici, nella Casa) e dobbiamo sopravvivere a ogni costo, con tutti i mezzi, seppure all’interno delle regole stabilite dal GF; e sopravvivere vuol dire eliminare l’altro, toglierlo di mezzo. Vale la pena di ricordare che un programma analogo, Saranno famosi, ambientato nel mondo degli aspiranti showman e showgirl, ha una struttura analoga, e presuppone un’idea di spettacolo decisamente mattatoriale, basato sullo scontro e non sulla collaborazione, sulla concorrenza più spietata e non sulla pratica intorno a un progetto comune. Quella del GF è la logica che in questa epoca di downsizing e «razionalizzazione» pare dominare i luoghi di lavoro, e in genere molti rapporti sociali. E’ la logica del potere e della forza. Oltretutto si fonda sul sadismo inconsapevole del pubblico, che fa una scelta più «contro» che «pro». Ma è possibile costruire un plot che porti invece all’emancipazione di tutti, invece che alla soddisfazione del narcisismo di qualcuno? E che sia appassionante e coinvolgente per il grande pubblico, senza cadere nella banalità didascalica?
4. Queste nuove tecnologie, al di là degli usi che ne vengono fatti da piccole élite, ottengono in ogni caso un effetto devastante. Il male può essere nella tecnologia in sé, oppure nel fatto che le nuove tecnologie, dalla radio alla tv alla rete, permettono di fare un uso massificato di un evento comunicativo o estetico. Nei due casi la sostanza non cambia. Meglio dunque restare ancorati alle forme più tradizionali, magari alla più tradizionale di tutte: il teatro vissuto come incontro reale tra un attore e uno spettatore, senza alcuna mediazione.
5. Un’arte davvero democratica (qualunque giudizio diamo della democrazia come forma di organizzazione politica) non può esistere. L’eccellenza artistica è un dono di pochi: pochissimi grandi e autentici artisti, solo un’élite li può apprezzare. Le aperture democratiche creano ambiguità e confusione, e producono inevitabilmente opere di bassa qualità. Forse esisteranno capolavori di web theatre, ma saranno per pochi. Il grande fratello e operazioni analoghe sono un’altra cosa, non è e non saranno mai arte perché lavorano sulla banalità quotidiana e su una umanità massificata, dall’una e dall’altra parte dello schermo.

Quelle appena descritte sono posizioni volutamente rozze e caricaturali. Ma hanno lo scopo di suggerire una riflessione sulla valenza politica (e non solo estetica) delle nuove tecnologie.
In questi anni si sono innestati anche «processi virtuosi», se così vogliamo dire. L’esempio più clamoroso è quello della documentazione video realizzato a Genova durante il G8 nel luglio del 2001: un processo di autorappresentazione collettiva e di controinformazione militante di ampio respiro, e che potrà avere significative ricadute sulla pratica comunicativa. Non a caso la controcassetta realizzata dal «Foglio» in occasione della contromanifestazione romana pro-Israele non ha avuto alcun impatto significativo.
Un’altra novità degna di attenzione è l’emergere delle nuove street-tv: un fenomeno che per certi aspetti ricorda l’esplosione delle radio private negli anni Settanta (e in certi casi ha gli stessi protagonisti ma, speriamo, non avrà la stessa parabola di integrazione e appiattimento).
Anche nelle varie forme di ibridazione tra teatro e nuovi media, il rapporto tra l’aspetto tecnico, quello estetico e quello politico è cruciale, sia sul versante della progettualità creativa sia da quello della fruizione e dell’analisi. Gli esperimenti pionieristici condotti finora in questo settore hanno affrontato il nodo in diverse maniere, senza ancora riuscire (a mio avviso) a costruire un format che abbia la stessa coerenza e l’efficacia (sebbene discutibile) del Grande fratello.

Oliviero_Ponte_di_Pino




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