Debutta a Rennes L’ospite dei Motus da Teorema di Pasolini

dal 20 al 30 aprile al T.N.B. Théâtre National de Bretagne

Pubblicato il 15/04/2004 / di / ateatro n. 067

Debutta a Rennes il nuovo lavoro dei Motus, L’ospite, liberamente tratto da Teorema di Pier Paolo Pasolini. Qui di seguito, la scheda di presentazione dello spettacolo realizzata dal gruppo riminese. (n.d.r.)

‘Contro tutto questo non dovete fare altro che continuare semplicemente ad essere voi stessi: il che significa ad essere continuamente irriconoscibili. Dimenticare subito i grandi successi e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi con il diverso, a scandalizzare, a bestemmiare.’
Pier Paolo Pasolini 1975

Siamo stati in Tunisia con telecamere e super 8, dentro il Sahara, sullo straordinario lago salato Chott El Jerid: 200 chilometri di vuoto, solo la linea dell’orizzonte. Bianco e cielo. Nulla.
Era necessario andare, stare un po’ nel deserto, veramente, prima di immergerci nell’ultima fase di questo lungo percorso di lavoro che ci ha assorbito per più di un anno.
Ogni nostro spettacolo è sempre preceduto da un viaggio: Los Angeles ed i deserti americani per Rooms ed ora il Sahara e le periferie tunisine, dopo quelle napoletane e romane, e la nebbia della bassa Pianura Padana per L’Ospite… Un viaggio in automobile, con tre telecamere che registrano in sincrono il paesaggio in movimento dal cruscotto, ricomponendolo poi in grande trittico-cinetico-documentario, che invade il palco di quel ‘Fuori’ che ha sempre ossessionato il nostro fare scenico.
Come un viaggio del resto è andare fra le parole, i Dati e gli ‘appunti per’ di quel ‘poeta di cose’ che è Pier Paolo Pasolini: occorre lasciarsi trasportare, lasciarsi in qualche modo possedere.
E ciò lentamente è avvenuto: Pasolini, il vero Ospite, ci ha invaso.

Scegliamo di dar voce alla sua voce, di ospitare nuovamente le sue grida d’allarme, amplificandole anche, con una peculiare commistione di mezzi che, forse, ai tempi delle sue esperienze teatrali, non erano concepibili.

La sollecitazione originaria proviene dal misterioso personaggio-protagonista di Teorema, il film e soprattutto l’omonimo romanzo del ‘68, che forse più amiamo nella sua vasta e varia produzione artistica. Ci ha colpito l’atmosfera provocatoria e profetica del testo, così terribilmente attuale per il continuo interrogarsi sull’inconsistenza, anche spirituale, della vita borghese, assunta oramai a schema di relazione totalizzante, a tutti i livelli sociali. ‘Mai l’Italia fu più odiosa./ (…) si, anche il comunista è borghese. / Questa è ormai la forma razziale dell’umanità. (da Il poeta delle ceneri, 1966)
E’ di quei giorni la scelta radicale di iniziare a scrivere di situazioni borghesi, personaggi per lui odiosi, (‘ripugnanti’, li definisce nella lettera a Moravia in appendice a Petrolio…). Ma non era la borghesia nella sua attualità che poteva descrivere, aveva bisogno di un trauma che spogliasse i personaggi delle loro inossidabili certezze: questo ‘scandalo’ lo provoca mettendo il borghese a confronto con il senso del sacro, anzi creando un corto circuito fra santità ed attualità.
Il tema della crisi e della ‘banalità del male’ nel quotidiano, dentro il ‘nuovo totalitarismo consumistico’, è stato fulcro di tutto il progetto Rooms, dove nelle analisi della borghesia attuate in chiave cinico-ironica da De Lillo, ( ed in altra forma da Jean Genet), l’elemento traumatico era il compiere un atto estremo, come l’omicidio, o la devianza, per ‘guadagnare credito vitale’, per superare la paura della morte… In Pasolini la prospettiva si rovescia: è l’avvento di un fatto scandaloso esterno, quale l’irruzione dell’ospite, o una visitazione angelica, come in Petrolio, a provocare lo svelamento, la frattura, la perdita di controllo.
Teorema era nato come testo teatrale, poi ‘…ho rinunciato a fare Teorema in teatro perché il silenzio, cioè quel vuoto, era infinitamente più adatto al cinema; se lo avessi fatto in teatro questo dio avrebbe parlato, e che cosa avrebbe detto? Cose assurde. Invece adesso parla attraverso gli altri, attraverso la presenza fisica pura e semplice, cioè il massimo della cinematografia.’
Da una intervista rilasciata ad Adriano Aprà ‘ Per il cinema’,
I Meridiani, Mondadori, 2001.

Confessiamo invece che quello che più ci affascina è proprio il tentativo di trasporre questo desolato silenzio in teatro, così come la presenza fisica pura e semplice degli attori, anche se comprendiamo le perplessità di Pasolini, che nelle sue esperienze teatrali partiva comunque da una essenziale priorità della parola. In realtà Teorema ha una natura anfibia, su cui scrive egli stesso: «Teorema è nato, come su fondo oro, dipinto con la mano destra, mentre con la mano sinistra lavoravo ad affrescare una grande parete ( il film)».
Ed è proprio questa duplicità, fra cinema e letteratura, che ci ha coinvolto.
Abbiamo tentato un percorso trasversale, che si estende anche a quelle opere in cui, si manifesta questo elemento sacrale-distruttivo, come Porcile, San Paolo e Petrolio… e l’interrogazione sui meccanismi di narrazione è insistente. Opere in cui tutto è in movimento ed il continuo vagare, sempre in cerca, senza sapere dove – perché sempre manca qualcosa – è stranamente vicino al continuo vagabondare artistico di Motus che già nel nome racchiude questa natura nomade e poco incline alla sedentarietà di un certo teatro ‘di regime’.
La soglia della città è il punto di partenza da cui hanno inizio le ricognizioni pasoliniane alla ricerca di agognata unitarietà nella irrimediabile frammentazione di realtà contigue. E dai margini, dalle periferie estreme si intravede il deserto, che compare ossessivamente, come metafora.
E’ simbolo di solitudine e negazione della storia, cui l’uomo ricorre non per cercare il vuoto, ma quando scopre il vuoto dentro ed intorno a sé: ci corre in mezzo il cannibale Pierre Clementi in Porcile, solitario, contro il fondo nero del vulcano; e ci corre anche Massimo Girotti in Teorema, disperato, come se da quella situazione di nudità, dove i pregiudizi, i classismi sono caduti, Pasolini volesse (ri)cominciare.
‘Africa, mia unica alternativa!’
Ma nei deserti dell’Oriente ci va anche in spedizione Carlo, il protagonista di Petrolio, alla ricerca del nuovo ‘vello d’oro’, il petrolio, l’oro nero…ed è proprio nel deserto che oggi si disputa la guerra criminale per il controllo dell’intero pianeta, è nel deserto che corrono i carrarmati statunitensi, che vanno in putrefazione i corpi atterrati dai bombardamenti, che bruciano i pozzi petroliferi per mesi …Tutto viene dal deserto e tutto pare risolversi in esso, fra la sabbia ed il vento caldo. Il maggior grado di presenza è l’assenza.

‘Ah miei piedi nudi, che camminate sulla sabbia del deserto…’
Abbiamo tentato un viaggio che parte da Teorema e giunge a Petrolio. In cerca.
Un viaggio che termina, che viene interrotto dalla morte, la sola in grado di compiere il definitivo, scioccante montaggio ‘sull’inarrestabile piano sequenza della vita’.
Del resto se in Teorema i rapporti sessuali intrattenuti con l’ospite hanno per tutti un forte valore rivelatorio, in Petrolio l’allegoria assume un connotato decisamente pessimistico. L’eccesso, il disordine sessuale, la rottura del tabù dell’incesto, non hanno più nulla di liberatorio. La sessualità acquista un segno inequivocabilmente sadiano, il Sade di una smania fredda, scientifica, ripetitiva che fa tutt’uno con la razionalità e l’ordine, inglobato nell’orrore nazista – e stragista-. E’ il Sade di Salò, di quella razionalità strumentale, sostanzialmente irrazionale, tesa esclusivamente al dominio, al possesso. La visione pasoliniana si fa assolutamente disperata, di riflesso alle oscure manovre politiche che hanno cambiato il corso della storia italiana, e mondiale, negli anni settanta, a partire dall’omicidio di Kennedy…
E’ un viaggio che termina, dunque, preceduto da un grido:

(…) E’ un urlo che vuol far sapere,
in questo luogo disabitato,
che io esisto,
oppure, che non soltanto esisto,

ma che so.
E’ un urlo
in cui in fondo all’ansia
si sente qualche vile accento di speranza;
oppure un urlo di certezza, assolutamente assurda,
dentro a cui risuona, pura, la disperazione.

Ad ogni modo questo è certo: qualunque cosa
Questo mio urlo voglia significare,
esso è destinato a durare oltre ogni possibile fine.’

… fine che dunque non è mai fine, ma ancora e ancora inizio perché è all’eco di questo urlo di Pasolini assassinato da ben altri moventi del ‘delitto sessuale’ che vogliamo dare voce, quest’urlo che ancora risuona all’idroscalo di Ostia, (anche se nessuno pare averlo udito…), rimbomba assordante in tutte le periferie del mondo, e non si quieta, e non si può acquietare.

MOTUS
L’ OSPITE

di Enrico Casagrande e Daniela Nicolò
Liberamente ispirato al romanzo Teorema di Pier Paolo Pasolini

Con: Catia Dalla Muta, Dany Greggio, Franck Provvedi, Daniele Quadrelli, Caterina Silva, Emanuela Villagrossi

Cura delle parole:
Daniela Nicolò
Cura dei suoni: Enrico Casagrande

Riprese e montaggio video: Simona Diacci
Motion Graphic: p-bart.com
Video Contribution engineering: Giovanni Ghirelli

Scenografie
: Fabio Ferrini
Costruzione scenografica: Plastikart di Istvan Zimmermann & Amoroso
Responsabile tecnico: Michele Altana
Fonica:
Carlo Bottos
Progettazione luci: Gwendal Malard

Costumi: Ennio Capasa per Costume National
Fotografie: Federica Giorgetti

Consulenza letteraria: Luca Scarlini


Ufficio stampa e promozione:
Sandra Angelini in collaborazione con Giorgio Andriani
Direzione della produzione e amministrazione: Marco Galluzzi in collaborazione con Cronopios
Logistica: Roberta Celati

Una produzione
Motus e Thé‚tre National de Bretagne, Rennes, (Francia)
in collaborazione con
Festival di Santarcangelo, La Ferme du Buisson – Scène National de Marne-La-Vallée, Teatro Sanzio di Urbino, Teatro Lauro Rossi di Macerata e A.M.A.T
e il sostegno di Provincia di Rimini, Regione Emilia Romagna

Motus

2004-04-16T00:00:00




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