Le recensioni di “ateatro”: Edoardo II di Christopher Marlowe

Traduzione di Letizia Russo, regia di Antonio Latella

Pubblicato il 18/12/2004 / di / ateatro n. 078

Edoardo II è un testo che continua a divorare quella minima speranza nelle possibilità di riscatto che l’’essere umano reclama e tenta di garantirsi da epoca in epoca, ma che costantemente annulla per avidità, brama di potere, follia o peggio ancora, stupidità. L’inettitudine è una delle peculiarità che costeggia tanto la storia fattuale delle battaglie e delle date quanto quella mitica e letteraria. Pensare che questo testo, rappresentato per la prima volta nel 1592 e dato alle stampe esattamente quattrocentodieci anni fa, fu scritto da un ragazzo di ventisette-ventotto anni, Christopher Marlowe, a pochi mesi dall’assassinio in una taverna di Deptford, fa correre un brivido lungo la spina dorsale. Eppure ben poco di giovanilistico o di non-ancora-maturo può essere ravvisato nella lingua del testo, nello sviluppo della trama, nell’epilogo tragico.

Lo spettacolo diretto da Antonio Latella deve un certa asperità linguistica alla traduzione di Letizia Russo (il volume edito dal Teatro Stabile dell’Umbria è acquistabile presso i teatri che ospitano lo spettacolo), che ripropone in questa riscrittura alcune peculiarità della propria drammaturgia, da Tomba di cani a Babele all’ultimo Edeyem; spesso saltano i congiuntivi che vengono resi in un indicativo presente, gli articoli e i pronomi talvolta s’invertono. E’ curioso notare come la riscrittura di Fedra fatta alcuni anni fa da Sarah Kane suoni come una parente stretta, sebbene in alcuni frangenti le ondate di sproloqui possano urtare l’orecchio più attento abituato ad altre forme di traduzione, più caute, più misurate, più moderate.
Latella divide lo spettacolo in due parti, i primi tre atti nel primo tempo, il quarto ed il quinto nel secondo. La scelta risulta funzionale soprattutto per la prima sezione che scorre rapida, con un bel ritmo incalzante dando addirittura l’illusione della fine dello spettacolo quando improvvisamente termina il tempo.
Per molti della mia generazione Edoardo II significa Derek Jarman, il lungometraggio diretto nel 1991 dal regista inglese con le scenografie di Christopher Hobbs, i costumi di Sandy Powell e le interpretazioni di Tilda Swinton, Andrew Tiernan, Steven Waddington.
L’adattamento e la regia di Latella, grazie all’uso di costumi neri, scuri, monacali, all’uso di luci che sottolineano il vuoto della spazialità scenica, nonché l’intervento di impulsi sonori ed amplificati, elettronici, studiati per l’occasione da Franco Visioli, porta in dote gli esiti estetici raggiunti da Jarman ma senza riproporli alla lettera. Questo Edoardo II risulta quindi essenziale ma al contempo ricco di stratificazioni, soprattutto caratterizzato da un alto tasso di bravura attoriale: la monolitica espressività del protagonista, Danilo Nigrelli, la plasticità gestuale e vocale di Marco Foschi in Pierce di Gaveston, la misura orchestrata della drammaticità da Cinzia Spanò nella regina Isabella, il fulcro di tutta la pièce, il fuoco denso che rimette in moto la macchina con la sua leggerezza e le sue furie. Ma tutto il cast manifesta una pregevole coralità: Rosario Tedesco in Mortimer, Fabio Pasquini nel Vescovo, Nicola Stravalaci nel Conte di Warwick, Annibale Pavone in Edmund il fratello del sovrano, Matteo Caccia in Lancaster, Alessando Quattro nel Principe Edoardo, Enrico Roccaforte in Spencer.
Il primo tempo si sviluppa secondo un ritmo crescente ed equilibrato: Edoardo II deve affrontare il dilemma fra l’amore – la passione che lo infiamma per lo sprezzante Gaveston – e la fedeltà alla corona e dunque al volere dei nobili di corte, i quali già una volta esiliarono Gaveston ed ora nuovamente premono per allontanarlo. La moglie, la regina Isabella, ama il sovrano che però oramai riserva alla donna soltanto aridità e indifferenza. La sete di potere dell’amante del re, ovviamente, impedisce una convivenza diplomatica. Sarà scontro frontale fino alla guerra che porterà alla sconfitta dell’esercito del re e all’assassinio di Gaveston.
Nel secondo tempo il sovrano giustizierà i responsabili della sua perdita e si troverà ad affrontare una nuova guerra che lo porterà alla tomba. Il potere passerà sotto la reggenza del figlio immaturo, che però proprio nel momento di massima crisi vendicherà il tradimento che Mortimer aveva condotto a buon fine insieme alla madre Isabella. Troppo lunga ed insistente però appare la scelta di Latella di sostare per diversi minuti sull’agonia del re, nonostante un’abile trovata scenografica che sancisce con una suggestiva pioggia d’acqua e di sabbia la morte del sovrano, mentre il successivo funerale con ombrelli che ricorda la matericità nera di alcuni dipinti di Francis Bacon.

Tiziano_Fratus

2004-12-18T00:00:00




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