Mike Tyson a Santarcangelo

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Pubblicato il 18/07/2011 / di / ateatro n. 135

Caro Oliviero,
seduto in un bar di piazza Ganganelli, il cuore di Santarcangelo, ti vedo passare, correndo veloce per non perdere – forse – il canto della poetessa-muezzin Gualtieri; poi ecco con passo svelto e perenne entusiasmo Goffredo Fofi, burbero benefico innamorato di questo Festival, accompagnato da Rodolfo Sacchettini, uno dei tanti (quanti sono? Venti? Trenta?) giovani critici che stanno restituendo pulizia e entusiasmo al nostro mestiere. E poi ecco Laura Mariani, Silvia Bottiroli, Piero Giacchè, Marco De Marinis tanti altri ancora.
Sono passati quasi vent’anni. In un salottino dell’Hotel Della Porta, con gli eterni occhiali da sole, Leo de Berardinis si divertiva a fare del pugile Mike Tyson un eroe shakespeariano, un nuovo Riccardo III.

Lui, il pugile selvaggio, aveva quasi staccato un orecchio a Evander Holyfield, reo di numerose e scorrette testate, braccandolo sul ring con ogni mezzo. Fu uno scandalo, tutti pronti a condannare il gesto inconsulto e violento del criminale Tyson, già sul viale del tramonto. Ma disperatamente quel pugile dai denti d’oro voleva lottare, combattere ancora: “Il mio regno per un cavallo” commentò ridendo Leo de Berardinis. Era sempre e ancora il grande Leo, con quella voglia feroce di mettere assieme Shakespeare e Totò. In quegli anni, con la sua direzione artistica, il Festival di Santarcangelo era davvero un momento fondante, un punto di snodo, di riflessone, di incontro. Anni vivaci, di libertà e lotta, di creatività e di scoperta. Complice la presenza sorniona di Paolo Ambrosino, e l’entusiasmo di tanti, nel piccolo borgo romagnolo si davano appuntamento generazioni intere di teatranti, all’insegna della militanza e della passione per un “Teatro d’arte per tutti” che ha fatto scuola.
Ed è bello, a distanza di tempo, ritrovare quel clima, quell’affollamento, quella trasformazione del paese in una Cannes del teatro di ricerca italiano e non solo. Allora qualche considerazione si potrebbe fare in questo senso. Tre edizioni fa, Piergiorgio Giacchè dichiarava, con il consueto acume: “Il festival è morto” e lanciava la lungimirante proposta di affidarlo – non per i funerali di rito, ma per dare nuova vita – alle compagnie locali. Chiara Guidi della Raffaello Sanzio; Enrico Casagrande di Motus; e ora Ermanna Montanari delle Albe, hanno a dir poco non solo assolto il compito, ma addirittura superato, se possibile, quelle “mitiche” edizioni legate a Leo. Mi piace, allora, sottolineare – naturalmente è già stato fatto: basti citare il contributo fondamentale di Claudio Meldolesi in questo senso – all’eredità pratica, diretta e indiretta, di Leo de Berardinis in queste terre. Non solo nel triennio di direzione del festival di Santarcangelo, ma anche con la guida del Teatro San Leonardo a Bologna, Leo ha innervato gli anni migliori della Romagna felix, ponendosi come punto di riferimento (culturale, umano, teatrale, politico) delle generazioni a venire. Anche Silvio Castiglioni, che succedette a Leo alla direzione del Festival, mantenne e rinforzò certi aspetti, pur nella indipendenza di scelte, lanciati da de Berardinis. Ed è intrigante constatare che, nelle ultime tre edizioni, a Santarcangelo sia stato messa sotto i riflettori la figura dell’Attore, in tutte le sue sfaccettature e potenzialità tecniche. Attore e musica per la Guidi; attore e “piazza”, ossia società, per Casagrande; infine attore e poesia per Ermanna Montanari. E come non citare, allora, quei “Cento attori” convocati in un folle e bellissimo sogno lirico da Leo?
In questo luglio 2011, in un paese devastato dalla malapolitica, dall’indifferenza e dall’arroganza dei nostri governanti e dalla rabbia feroce dei molti esclusi, ritrovarsi a Santarcangelo ha allora un senso bello, pulito, commovente, di riconoscersi attorno a una passione, all’idea vaga, utopica, di un futuro anche migliore, o almeno meno peggio del presente. Così si chiude, in modo struggente – per riaprirsi certo in una spirale continua e viva – un percorso iniziato allora, tanti anni fa, parlando di Shakespeare e Mike Tyson. E mentre il,sole scende, caldo, illuminando la piazza con le tante sedie e poltrone che arrivano dai teatri italiani, Marco Martinelli fa risplendere Majakovski negli occhi innocenti di adolescenti: viene da dire, allora, che anche quel teatro ostinatamente “politttttttico” delle Albe, sia un bellissimo proseguimento del teatro “poetico-politico” di Leo de Berardinis. Non è forse sbagliato pensare che le Albe abbiano svolto, già dagli anni Novanta, quel ruolo catalizzante e aurorale, attivatori di discorso e di energie, che era stato di Leo de Berardinis. E il festival di Santarcangelo, per atmosfera, qualità della proposta, sorrisi e entusiasmi, quest’anno lo dimostra. Viene da sorridere, con un pizzico di felicità, a pensarlo. Manca solo un Mike Tyson per continuare a giocare…

Andrea_Porcheddu

2011-07-18T00:00:00




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