Robert Lepage l’inarrestabile

Dal Cirque du Soleil a Wagner

Pubblicato il 01/03/2012 / di / ateatro n. 137

Un successo senza fine
Chi visita il sito ufficiale di Ex Machina, la struttura di Robert Lepage con quartier generale a Québec City, fa fatica a crederci. Il numero di allestimenti e produzioni (concerti, spettacoli di prosa e d’opera, installazioni luminose, proiezioni videoarchitettoniche, pubblicazioni fotografiche d’arte) che la R. L. inc. firma annualmente è impressionante, come impressionante è il numero di spettacoli in tournée contemporaneamente in tutto il mondo da anni, cosa assolutamente impensabile per qualunque produzione italiana.
La Face Cachée de la Lune (che ha debuttato nel 2001) è di ritorno da un tour in Grecia, Andersen Project (realizzato nel 2005) sarà negli States nel 2012, Le Dragon Bleu è ora in Canada, Eonnagata in Giappone, The Nightingale and Other Short Fables in Olanda, Lypsinch in Australia, mentre New York ha chiuso l’anno con Il crepuscolo degli dei a firma di Lepage al Metropolitan.

Nel giro di pochi anni Lepage ha firmato uno spettacolo di ispirazione shakesperiana (The Tempest), interpretato da nativi in esclusiva per una regione del Canada, il Wendake; una gigantesca proiezione videoarchitettonica sui silos del porto di Québec City per i 400 anni della fondazione della città (The Image Mill) e due scenografie per il Cirque du Soleil (compagnia internazionale di nuovo circo con base a Montréal, fondata nel 1984 da Guy Lalibertè e Daniel Gauthier). Si tratta di Totem (2010, set designer Carl Fillion) e Ka (2005, spettacolo stabile al MGM Theatre di Las Vegas; set designer Mark Fischer, l’architetto che ha firmato anche i concerti dei Pink Floyd e degli U2; una scheda completa su Wikipedia).
Ma la vera fatica titanica lo ha visto impegnato, a partire dal 2008, nella regia dell’intera tetralogia wagneriana per il Metropolitan di New York diretto dal maestro James Levine. Il ciclo dell’Anello dei Nibelunghi è stato inaugurato la scorsa stagione con Das Rheingold e Die Walküre, è proseguito con Siegfried nell’ottobre 2011 e si è concluderà nel gennaio 2012 con Die Götterdämmerung; l’’intero ciclo verrà riproposto al MET nella sua interezza tra il 25 aprile e il 2 maggio 2012. Ogni produzione di Lepage è un evento accolto con enorme entusiasmo dal pubblico (ma non sempre con eguale entusiasmo dalla critica), a cui seguono girandole di premi, riconoscimenti prestigiosi che a loro volta attirano nuove commissioni milionarie. Anche il MIT di Boston lo ha recentemente insignito di un premio, l’Eugene McDermott Award in the Arts (allegato un assegno di 80,000 dollari).
E’ passato molto tempo dall’epoca in cui, per finanziare i suoi primi film negli anni Novanta, come ricordava in un’intervista, era irritato alla sola idea di andare a chiedere finanziamenti per i suoi progetti artistici, a un “civil servant“. Oggi sono le grandi Fondazioni, i teatri internazionali a contenderselo a suon di milioni di dollari.

L’opera: a great meaning place
Nonostante il notevole cambio di scala rispetto ai palcoscenici e al pubblico degli inizi, la coerenza artistica di Lepage è degna di nota. Il regista e interprete quebecchese trasporta temi, motivi e idee del teatro di ricerca in territori a esso insoliti: negli stadi per i megaconcerti pop o nelle opera house per i classici della musica lirica, veicolando in spettacoli per il grande pubblico la profondità narrativa, la visionarietà immaginifica e l’ingegno tecnico che caratterizza i suoi spettacoli teatrali. Le sue scene impongono anche un certo impegno acrobatico agli attori/ballerini/cantanti: la struttura metallica ideata per il Growing Up Tour, che si staccava da terra per salire verso l’alto, obbligava Peter Gabriel a cantare a testa in giù; in Ka gli artisti precipitano dall’alto di una piattaforma; nel ciclo wagneriano i cantanti cavalcano imponenti quanto virtuali cavalli, in bilico su una struttura alta otto metri.

Ka.

Nella piattaforma ideata per la tetralogia di Wagner è il movimento stesso della macchina scenica (insieme con le luci e le proiezioni videodigitali) a creare una drammaturgia e un interessante dialogo con l’attore: alzandosi verticalmente, disponendosi perpendicolarmente, accogliendo videoproiezioni, essa evoca molteplici “luoghi”: montagne altissime, profondità marine, assolati campi di battaglia.
Nel momento in cui si attraversano altri territori dell’arte, la qualità della ricerca teatrale non si disperde, ma si estende ai diversi luoghi dello spettacolo, modificandone le convenzioni, che si tratti di un teatro d’élite o di pura spettacolarità musicale:

“I’ve worked a lot with Peter Gabriel; his music isn’t operatic, but he creates big, popular gatherings to which architecture, dance and music are all invited. Opera needs a major makeover; the large opera houses are too in thrall to their conservative patrons. Opera should be a place for art forms to meet. It includes music, litterature, architecture, set designing, fine arts, choreography. Opera is a great meaning place.”

E’ proprio nell’ambito dell’opera che Lepage si è cimentato per la prima volta con la sua sperimentazione scenica più ardita, un’architettura in grado di accogliere immagini 3D ed effettistica cinematografica: l’ha utilizzata nella messinscena di La Damnation de Faust da Berlioz nel 1998 (rimasto in repertorio all’Opera di Parigi dal 2000 al 2005).

La Damnation de Faust.

Nella versione del 2008 per il Met, Lepage vi aggiungerà anche un sistema di motion capture che cattura i movimenti dei cantanti e integra attori e immagini in una scena dall’aspetto di un enorme videowall. Un modo, come lui stesso racconta, per “tentare di illustrare l’energia della musica di Berlioz, estenderla non decorarla“. La tecnologia amplifica l’energia della musica perché:

“The survival of the art of theatre depends on its capacity to reinvent itself by embracing new tools and new languages. In a way, innovators in both arts and sciences walk on parallel paths: they have to keep their minds constantly open to new possibilities as their imagination is the best instrument to expand the limits of their fields.”

Macchine di scena: dalla Hamletmachine alla Walhalla Machine
E’ impossibile dissociare Lepage dal suo giovane e altrettanto geniale stage designer Carl Fillion, con il quale crea da sempre le macchine sceniche per le quali è universalmente acclamato. Con Fillion ha dato vita al mondo d’ombre viventi e video di The Seven Streams of the River Ota; al dispositivo rotante di Elsinore, il marchingegno per il suo più folle progetto di one-man-show; ai pannelli scorrevoli, specchianti e proiettabili di La Face Cachée de la Lune.
E’ Carl Fillion a spiegare il segreto con cui egli trasforma un’unica scena, da un’idea iniziale discussa insieme con Lepage, in un vortice infinito di luoghi:

“I like to transform the scenic environment by creating elements that move and turn, on stage, in full view of the audience. My main visual signature as a designer can be found in the way I sculpt the space and keep it in motion.”

Come ha notato Deborah Zoratti nella sua tesi di laurea al Dams di Imperia, la matrice della metamorfica macchina scenica di Ka (e, aggiungiamo noi, anche del ciclo wagneriano) non è altro che il dispositivo girevole ideato per Elsinore, seppur in una scala monumentale, adatta a sostenere volteggi, acrobazie, proiezioni.

Elseneur .

In Elsinore un unico elemento scenico, un dispositivo di alluminio mobile e rotante, attraverso le sue molteplici possibilità di movimento e attraverso la relazione che instaura con il personaggio che abita dentro i suoi meccanismi, mostra un’indivisibile polarità: l’empietà della corte e la lealtà di Amleto. L’unico suo attributo è la trasformabilità.
Carl Fillion ha raccontato di aver creato un prototipo basandosi dapprima sull’immagine, fornita dal regista, di un monolite, e poi sul movimento del corpo umano; la forma finale è quella di un cerchio inscritto in un quadrato (all’interno del quale si trova il rettangolo, in forma di apertura-varco): è il simbolo dell’armonia, della perfezione e dell’uomo stesso. Un pianale metallico quadrato può alzarsi in verticale a 180°, sollevarsi parallelamente al palco, diventando di volta in volta muro, soffitto o parete. Il dispositivo (chiamato “the Machine”) contiene, invisibile, un disco circolare, solidale con la parete o autonomamente mobile, che permette ulteriori rotazioni, lente o veloci. Collocato esattamente al centro del disco, un varco rettangolare che viene usato come una porta, finestra o tomba.
Alla struttura furono poi aggiunti due schermi laterali e un fondale. La scena, oltre alla struttura mobile, era così costituita da tre pareti modulari: quelle che affiancano la scena furono ricoperte di spandex e servivano per proiettare le immagini (in movimento e fisse) in diretta, raddoppiando Amleto, ingigantendolo o sezionandone una porzione del volto, producendo l’effetto di una visione stereoscopica (la visione contemporanea ma separata dei due occhi). Anche il dispositivo “monolitico” poteva diventare schermo proiettabile. La tecnologia non altera il dramma: lo esalta.

Per la regia del ciclo wagneriano, Lepage ha chiamato a collaborare, oltre al solito Fillion, anche i collaboratori tecnici, artisti, videomaker, i creatori di effetti visivi, persino i produttori esecutivi del Cirque du Soleil, forse gli unici in grado di garantire un allestimento all’altezza di un teatro dalla fama colossale come il Metropolitan di New York.
Anche Josef Svoboda disegnò le scene della tetralogia di Wagner Der Ring des Nibelungen, e addirittura per tre volte: al Covent Garden a Londra (1974-76), al Grand Théâtre di Ginevra (1975-77) e al Théâtre Antique d’Orange, in Francia (1988). La versione londinese, in cui lo scenografo cecoslovacco utilizzò il laser, è quella più vicina alla ipertecnologica versione di Lepage. E tra Svoboda e Lepage non bisogna dimenticare la versione “techno” dell’Anello dei Nibelunghi a firma della Fura dels Baus.

Per l’atmosfera del Crepuscolo degli dei, Lepage libera la scena di qualunque oggetto, per ospitare un unico monstrum leonardesco che sembra uscito dalle mani di un alchimista d’altri tempi, un erede naturale della fantasia avanguardista di Svoboda, quando diceva:

“Scenography is the interplay of space, time, movement and light on stage”.

Ecco allora il protagonista incontrastato della scena wagneriana di Lepage: l’enorme macchina progettata da Fillion per l’intera tetralogia, vera opera di ingegneria meccanica, composta di 45 elementi di fibra di vetro ricoperta di alluminio: ciascuno di questi elementi, a sezione triangolare, è lungo 9 metri ed è mobile autonomamente rispetto agli altri; può sollevarsi e ruotare di 360°, grazie a un complesso sistema idraulico che permette un gran numero di forme differenti.

Può diventare, a seconda delle necessità, la spina dorsale di un dragone, una montagna o il cavallo delle Valchirie:

Lepage spiega che:

“What happens in
Das Rheingold is that we’re in a world of mists and lightning, and fire and water, an elemental realm. That’s why the set is morphing into these elements that remind us of rocks and spines. As we move on, and the Ring tells the story of demigods and human being and eventually of society, and social classes and ranks, the set slowly moves toward architectural propositions.”

L’inclinazione variabile dei piani si presta a un gioco di voli di scale che fa ricordare i disegni di Adolphe Appia per Wagner.

Das Rheingold .

I movimenti dell’architettura di scena (costruita da Scène Éthique di Montréal) avvengono con intervalli da 5 o 10 minuti e sono controllati in parte a mano in parte da un computer.
Per le scene della foresta in Siegfried Lepage ha fatto ricorso a un uso – pare – strabiliante e fortemente realistico del 3D senza visori da parte del pubblico.

It was important that we create a theatre machine that would be similarly versatile — a set that had its own life and could actually go through different metamorphoses but, at the same time feel very organic. Very early on, we decided to create a spine to the set that allows us to move things and articulate things. So the set is actually not only illustrating some of the ideas in the Ring, but it’s also literally supporting the characters and the ideas…it was important for us that the set be very nimble, very flexible, very adaptable, and alive, so that it not only moves, but it also breathes”.

Verrà chiamata la Walhalla Machine. In azione per la Cavalcata delle Walkirie, da vera diva strappa applausi a scena aperta.

Sulla superficie di questi assi, che ricordano i tasti di un gigantesco pianoforte ma anche, nei movimenti, i mostri fantascientifici di Dune, vengono proiettate immagini in videomapping, a mostrare alberi della foresta, caverne, le acque del Reno. Sono state usate sia immagini statiche sia immagini interattive, ottenute grazie a un sistema di motion tracking.
Réalisations Maginaire inc., ha realizzato gli effetti video 3D e interattivi gestiti dal software Sensei.

La macchina scenica complessiva è di tali proporzioni e di tale pesantezza (45 tonnellate) che il Metropolitan ha fatto sapere di aver rinforzato il palcoscenico. I giornali hanno parlato di “un’affascinante combinazione di complessa tecnologia e semplicità estetica”, “tradizionale e rivoluzionario”, ma anche di una produzione “troppo simile a un musical di Broadway”, mentre il NYT è stato ancora più freddo, titolando la sua recensione: Ring vs Spiderman.
La produzione rimarrà dunque negli annali per l’impiego di una tecnologia avanzatissima e per il numero straordinariamente alto di tecnici e progettisti, e di conseguenza anche perché si tratta di uno dei più costosi allestimenti teatrali di tutti i tempi (si parla di 16 milioni di dollari). La cosa non sembra aver preoccupato molto Peter Gelb, general manager del Metropolitan, dal momento che ha venduto l’esclusiva della diretta HD ai teatri e ai cinema di quaranta paesi. Per Lepage, dunque, un sold out esteso a tutti i media del pianeta.



Anna_Maria_Monteverdi

2012-03-01T00:00:00




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