#bp2013 Il paradosso della cuoca

Pagare per lavorare al tempo della crisi

Pubblicato il 21/01/2013 / di / ateatro n. #BP2013_Firenze , 142

Il paradosso della cuoca racconta la degenerazione (frequente) di una delle modalità classiche dei contratti di rappresentazione. Se il contratto a cachet (o pagato) non coinvolge la compagnia nei costi di promozione, il contratto a percentuale con minimo assicurato o a percentuale tout court presuppone una condivisione oltre che degli incassi anche dei costi, ovvero la SIAE (diritti d’autore e musicali) e la promozione (le cosiddette spese in borderò). Dove previsti, ovvero nei teatri superiori ai 500 posti, si condividono al 50% anche i costi dei vigili del fuoco.
Il contratto a percentuale si basa sulla consapevolezza che teatro e compagnia hanno costi diversi: la compagnia ha sostenuto i costi di produzione (e hanno anche eventuali sovvenzioni diverse); e sull’interesse a stabilire una collaborazione. Le “parti” si scelgono reciprocamente e concordano una ripartizione percentuale, soggetta a trattativa (70/30 è la più frequente, ma anche 80/20, 65/35…), che tiene conto dei costi, della tradizione, ma anche della forza contrattuale di ciascuna delle parti: la rispettiva credibilità, notorietà, la “chiamata”.
Se un teatro non può garantire un cachet ma ci tiene particolarmente a una compagnia, può concedere una percentuale più alta, o un minimo assicurato, o farsi carico in misura maggiore dei costi di promozione o di costi tecnici (le attrezzature tecniche in Italia sono a carico della compagnia). Se il teatro è viceversa un punto d’arrivo particolarmente prestigioso, o l’unico possibile in una città cui si tiene particolarmente, allora la compagnia potrebbe accettare condizioni più gravose.
Dove sta la degenerazione o la cattiva pratica?
Potrebbe stare da parte del teatro nell’assenza di chiarezza sui potenziali ricavi e sui costi di lancio (che non è difficile desumere dai risultati dei precendenti spettacoli in cartellone), nella cattiva o trascurata gestione della sala (per esempio l’assenza di abbonati o di un ufficio stampa). Ma non è priva di responsabilità anche la compagnia che sbarca incautamente in uno spazio, senza verificare con attenzione l’andamento degli spettacoli precedenti, la quota abbonamenti, l’attenzione della stampa eccetera. Sono regole elementari per un gruppo “oculato”: e se il teatro non è chiaro, esiste sempre quell’ottimo servizio del “Giornale dello Spettacolo” che si chiama “Borsa teatro”. E forse qualcuno potrebbe pubblicare un “Borsino teatro” per gli spazi minori.
Quanto alla partecipazione delle compagnie alle azioni di promozione, non è proprio il caso in quetso momento di chiamarsi fuori e delegare. Senza arrivare al volantinaggio coatto stile Edimburgo, la necessità di inventarsi nuovi modi per arrivare al pubblico è una esigenza condivisa più si riesce a essere fantasiosi, innovativi e visibili, meglio è… The more, the better!
Ci sono poi alcune deformazioni mentali e consuetudini relative alla città di Roma (cui si riferisce “Il paradosso”), che andrebbero messe in discussione. In primo luogo, perché un gruppo deve dissanguarsi per essere presente nella capitale? E’ proprio vero che “il mondo” (la critica, i colleghi, il cinema, il Ministero…) non si accorge che esisti se la tuastrada non ti pirta a Roma? (La considerazione vale per grandi e piccoli ed è ovviamente direttamente proporzionale alla capacità di attrazione del teatro e dello spettacolo). Il “biglietto operatori”, che è ormai una acquisizione nelle principali città – e nessuno si offende se viene proposto invece dell’omaggio: si evitano anzi richieste un po’ imbarazzanti o “lei non sa chi sono io” – non potrebbe finalmente attecchire anche nella capitale? Ma forse è difficile: perché il meccanismo del “biglietto operatori” funziona se non ci sono eccezioni (o se sono davvero poche).
[n.d.r.]

C’era nel tempo di crisi del presente una giovane cuoca di nome Winnie Pliz.
Dopo un periodo di apprendistato con grandi chef, era diventata brava e aveva lavorato in ristoranti rinomati. Il suo lavoro a volte veniva pagato molto bene, a volte male, ma comunque veniva pagato: i ristoranti dove laoraba erano sempre più o meno pieni e gli avventori amavano le sue ricette originali e saporite.
Un giorno la cuoca decise di andare a lavorare per due settimane in un ristorante della Città Eterna.
Arrivata a Roma, rimane affascinata dalla bellezza della città e dal ristorante. I padroni del locale le sottopongono un contratto e le assicurano che il ristorante è quasi sempre pieno.
La cuoca lo trova alquanto strano quel contratto, ma tutti le spiegano che usa così, nella capitale, e che saranno molte le persone che una volta provate le sue ricette ne parleranno agli amici, che verranno al ristorante. Arriveranno senz’altro anche molti i giornalisti, che scriveranno di lei su prestigiosi quotidiani.
Siamo in tempi di crisi e così, pur di lavorare, la cuoca firma quel contratto che non le piace. Perché le si chiede di partecipare alle spese pubblicitarie per l’apertura del ristorante dove andrà a cucinare. Perché le si chiedono 100 euro per ogni suo giorno di permanenza nel ristorante.
Vengono realizzati cartelloni pubblicitari e manifesti: tra i nomi dei cuochi c’è anche quello di Winnie Pliz, che è felice, emozionata ma anche molto ingenua.
Deve anche pagarsi l’’affitto delle pentole del ristorante, a meno che non si porti le sue da casa: le costerà 50 euro per ogni giorno di permanenza nel ristorante.
Il ristorante fa turno di chiusura il lunedì, e lei il lunedì non deve pagare nulla.
Il contratto non prevede uno stipendio fisso giornaliero per il suo lavoro. Siamo in tempi di crisi.
Nel contratto si parla solo di una percentuale sui guadagni: le va il 70 per cento dell’ incasso di ogni sera, tolta l’’iva e le spese dell’’elettricità, al padrone va il restante 30 per cento.
Ma Winnie Pliz è tranquilla: il padrone le ripete che il ristorante è quasi sempre pieno e ben frequentato, apprezzato dai bei nomi della televisione e della politica. Alcuni di loro sono addirittura collaboratori dei padroni del ristorante.
A dire il vero alla cuoca ingenua quel contratto sembra strano il contratto, ma siamo in tempi di crisi e pur di lavorare…
Lei cucina per passione, si inventa ricette e crea ai fornelli piatti prelibati. E’ così felice quando cucina che in passato si è spesso messa dietro ai fornelli anche senza essere pagata, in varie località del mondo: era ripagata dalla gioia di conoscere gente nuova e condividere la felicità degli ospiti.
Alla cuoca viene consigliato di fare delle cartoline pubblicitarie, dove si annunciano il suo arrivo in città e i suoi piatti speciali. Lei apprezza l’’idea delle cartoline, anche se si deve pagare anche questa pubblicità: non tutto, il 70 per cento, il ristorante pagherà il 30 per cento, per un totale di 500 euro. Circa.
Le cartoline saranno distribuite. Ma siamo in tempi di crisi: la cuoca se le distribuisce da sola, le belle cartoline.
Winnie inizia a cucinare, ma si accorge che gli avventori sono pochi: molti meno di quelli previsti dalle parole del padrone.
Talvolta non si presenta nessuno.
Chiede spiegazioni ai camerieri e alla cassiera, ma soprattutto a chi prima di lei ha cucinato in quel ristorante: le spiegano che il locale è stato quasi sempre vuoto, ma che non bisogna farlo sapere in giro, altrimenti sia la cuoca sia il ristorante perderebbero prestigio.
Lei quindi dovrà chiamare i suoi amici e invitarli a mangiare al ristorante: e sicome sono suoi amici, faranno loro anche uno sconto sulla cena. Mentre giornalisti e vip maneranno gratis…
Winnie Pliz si metteal telefono: chiama giornalisti e vip, e i padroni di quel ristorante e anche di altri ristoranti, e naturalmente tutti i suoi amici che vivono nella Città Eterna.
Va anche nel quartiere a conoscere le persone, davanti alle scuole, alla fermata della metropolitana, nei negozi: spiega a tutti che in quel quartiere c’è un nuovo ristorante e lei cucinerà lì per due settimane.
Non si scoraggia, Winnie Pliz, la passione la guida.
Ma siamo in tempi di crisi e la sera molti preferiscono stare a casa.
E poi Winnie Pliz non ha moltissimi amici in quella città, di sicuro non bastano a riempire il ristorante.
E i giornalisti, i vip e i padroni del ristorante e degli altri ristoranti hanno di meglio da fare.
Siamo in tempi di crisi.
Winnie Pliz sente dire da altri cuochi che in quella città addirittura alcuni devono pagare l’affitto del ristorante, o pagare per partecipare a bandi per cuochi e cuoche per poter lavorare. Molti, per cucinare in quella città, si sono indebitati, nessuno ci ha guadagnato, pochi sono andati in pari e molti ci hanno rimesso.
La cuoca si accorge che se non vegono i suoi amici, il ristorante è quasi sempre vuoto.
Eppure lei cucina con passione, e si siede a tavola con i commensali quando sono pochi.
Cucina, per pochi, piatti ogni giorno migliori. L’incasso, alla fine delle due settimane di lavoro della cuoca, è esiguo. Winnie Pliz, disillusa e schifata dalla gestione del ristorante, riparte: dovrà pagare per contratto, ai padroni del ristorante, oltre alle spese pubblicitarie, l’elettricità e l’affitto delle pentole giornaliero per un totale di…

Caro lettore, fai tu il conto di quanto la cuoca deve pagare per poter lavorare in quel ristorante della Città Eterna…
E se questa storia ti sembra assurda, irreale o inventata, sostituisci alcune parole e ti sembrerà normale: è la realta di artisti, attori, musicisti che lavorano non pagati e devono addirittura pagare per lavorare (e non solo a Roma).

cuoca = attrice, attore, musicista…
cucinare = recitare
ristorante = teatro
padroni del ristorante = direttori del teatro
piatti / ricette/ cena = spettacolo/ spettacoli
elettricità = Siae
pentole = service audio e luci
grandi chef = grandi registi
avventori/ospiti = spettatori
camerieri = tecnici


Mi chiamo Winnie Pliz e dico sempre la verità. Qualche volta mi sbaglio, ma di rado.
Diffondi e commenta questa storia, o raccontaci la tua.
Se sei un artista, pretendi che il tuo lavoro sia pagato
Se sei il padrone del locale, ti prego di pagare adeguatamente gli artisti che ospiti!

2013-01-21T00:00:00




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