Eroi tragici al tempo del default

Da Tragodìa: Oreste, Edipo, Achille, Orfeo, Eracle nella crisi ellenica

Pubblicato il 02/01/2014 / di / ateatro n. 146

Nel dicembre 2012 “Il Fatto Quotidiano” ha commissionato a Stefano Massini un ritratto mitico-tragico del primo ministro greco Samaras. A seguito del risalto di quella pubblicazione, l’autore è stato coinvolto in un progetto europeo che dalla Grecia ha visto la partecipazione di diciotto drammaturghi – uno per ogni paese dell’Unione – in una riscrittura del mito classico filtrato dal diaframma della crisi ellenica del debito sovrano.
Massini ha scritto dodici frammenti, ognuno ispirato a un eroe dei grandi cicli tragici. Il testo è stato oggetto di numerose letture, mise-en-espace e stage-reading nei teatri di Belgio, Francia, Grecia, Slovenia, Repubblica Ceca, Lussemburgo e Austria.
In Italia è stato presentato una sola volta in lettura con il titolo Tragodìa presso il Teatro Manzoni di Calenzano (Firenze). (n.d.r.)

Secondo ritratto

E’ mattina, le sette e diciotto.
Nebbia bassa, fa tutt’uno con l’asfalto.
Certo non era il momento migliore, questo, per uscire.
Tant’è.
Si guarda intorno.
Destra. Sinistra.
Passerà un autobus? O meglio a piedi?
A piedi, forse. D’accordo, a piedi. Ma per andare dove?
Scarpe di tela grigia, con tutto che è inverno.
Uno zaino, più vuoto che pieno.
Felpa verde col cappuccio in testa:
è uscito di carcere, alla fine, Oreste.
Quarant’anni chiuso.
Quarant’anni cruciverba.
Quarant’anni “pulire la cella”.
Quarant’anni walkman.
Quarant’anni separare gli albanesi dai macedoni che sennò è rissa.
Quarant’anni parlatorio una volta al mese “C’è tua sorella Elettra, avete mezz’ora”
Quarant’anni cartolina per Natale.
Ora fuori.
Ma la condanna per matricidio se l’è scontata tutta, fino in fondo.
Pagato il conto.
Ora fuori.
Coi capelli bianchi, un po’ stempiato.
Tre o quattro tatuaggi,
muscolatura da palestra,
che in carcere il tempo in qualche modo lo devi passare.
Felpa verde con cappuccio,
davanti la scritta “Football”
con due palloni da calcio al posto delle “o”.
Fuori.
Sul bordo del marciapiedi,
con uno zaino più vuoto che pieno
c’è Oreste coi capelli bianchi.
Oreste con gli occhiali da rapper, montatura grossa.
Sei libero, hai finito, fuori.
Sono libero, ho finito, fuori.
Rifarsi la vita, Oreste.
Rifarsi una vita.
Bella cosa.
Bella cosa, rifarsi la vita.
Certo non era il momento migliore, questo, per uscire.
Là dentro almeno ti davano pranzo e cena.
Qui ora fuori si fa presto a dire “cercati il lavoro”
Dove lo cerco? Come lo cerco?
Ai cantieri navali giù al Pireo gli hanno riso in faccia:
assumere? Chi? Dove? Quando? Assumere!
Ne hanno licenziati centoquaranta,
“Prova là” “Là dove?” “Là, lungo il molo, che ne so? Prova.”
Prova, Oreste.
Cammina, lungo i moli.
Non ci sei che tu.
Tu solo. Non si sbaglia.
Felpa verde con cappuccio,
davanti la scritta “Football”
con due palloni da calcio al posto delle “o”.
Cantieri chiusi,
c’è silenzio dappertutto,
i ganci di ferro che pendono così, al vento, dalle gru
c’è silenzio dappertutto,
silenzio e ruggine
la stanzetta del guardiano ha il vetro rotto,
abbandonata,
dentro si vede il calendario appeso, 2009,
merda è dal 2009 che qui c’è silenzio dappertutto,
silenzio e ruggine
davanti al cancello dei dipendenti c’è cresciuta l’erba.
Torna indietro, torna a casa. Casa dove?
Cercare un affitto? Lo paghi come?
Cercati un lavoro, prima.
Un lavoro, si fa presto a dire.
Prova a Corinto, c’è gente che gira.
Corinto.
Qui a Corinto sono tutti immigrati.
Immigrati in fila, fuori dai cancelli.
Se vuoi provare, anche solo a metterti in fila,
devi chiedere a loro: stanno qui da ore.
E non è detto che gli vada bene.
Tutte le mattine sono qui all’alba,
dormono fuori, fanno dei fuochi.
Se la mattina li assumono a giornata,
gli danno 20 euro per otto ore.
20 euro otto ore è una paga da ricchi.
C’è la fila dei curdi
20 euro otto ore è una paga da ricchi
C’è la fila dei turchi
20 euro otto ore è una paga da ricchi
più là i macedoni
20 euro otto ore è una paga da ricchi
e per finire, dopo i TIR, laggiù, gli albanesi.
Greci in giro nemmeno l’ombra:
ci sei solo tu, Oreste, con la felpa verde,
giusto tu che non puoi saperlo
che ai greci il lavoro qui non lo danno,
inutile anche provare la coda,
ai greci il lavoro qui non lo danno,
per questo ti guardano e ridono,
ai greci il lavoro qui non lo danno,
che 20 euro per otto ore
è solo mancia per turchi e per curdi.
Sarà.
Almeno è qualcosa.
Si mette in fila, Oreste.
Capelli bianchi, football, zainetto.
Si mette in fila, Oreste.
Ma gli sguardi lo fissano.
Un greco in fila.
I curdi si voltano a guardarlo.
I turchi si agitano.
I macedoni in subbuglio.
Lo prendono in cinque.
20 euro otto ore è una paga da ricchi
Lo afferrano, da sotto le spalle,
20 euro otto ore è una paga da ricchi
Fuori Oreste.
Cacciato, aria.
Fuori Oreste.
Vattene via.
Fuori Oreste.
Che ti è venuto in testa?
Vuoi fare l’eroe?
20 euro otto ore è una paga da ricchi
Fuori Oreste, fuori.
Non è per te Corinto.
Prova a Atene, è la capitale, qualcosa si muove.
Atene.
Ai lati della prima uscita della metropolitana
Oreste vede tre o quattro, appostati, in piedi.
Fermano tutti.
Gli chiedono se per caso col metrò oggi hanno finito.
Domanda strana.
Domanda geniale.
Il biglietto del metrò vale fino alla chiusura:
se lo usi una volta sola, che te ne fai, lo tieni in tasca?
Dallo a me, lo vendo a metà prezzo.
Ecco.
Questa è un’idea, Oreste.
Questo può essere un inizio.
Basta cercare la stazione giusta.
E più gente ci scende, più sarà il guadagno.
Basta cercare la stazione giusta.
Piraeus.
Ci sono tre tizi già in azione.
Kalitheia.
Già occupata.
Tavros.
Già occupata.
Petralona.
Già occupata.
Thissio.
Già occupata.
Dafni.
Già occupata.
Aghios Ioannis.
Già occupata.
Neos Kosmos.
Già occupata.
Syngrou.
Già occupata.
Akropolis.
Già occupata.
Kifissia?
Libera? Non c’è nessuno?
Così sembra.
Posa a terra lo zainetto, Oreste.
Avvicina il primo. Il secondo. Il terzo. Il quarto.
“Tu chi sei? Non ti ho mai visto.”
Dice a te, Oreste.
“Tu chi sei? Non ti ho mai visto.”
“Io? Cosa…”
“Sei uno di quelli di Gheorghios, vero?”
“Gheorghios….”
“Se non sei dei suoi, ti conviene sloggiare: il mercato è suo, lo gestisce lui.”
“Non lo sapevo.”
“Se cerchi lavoro, però, forse per te ce l’ho io.”
E adesso Oreste un lavoro ce l’ha.
Lo pagano, certo. Lo pagano bene.
Ha una divisa tutta grigia e nera.
Sulla cintura borchie di ferro.
E intorno al colletto la croce greca.
Ti pagano bene, i neonazisti.
Alba Dorata alle sue squadre ci tiene.
Attacca manifesti, Oreste.
Fa parte delle ronde, Oreste.
Sfila in parata, giorno e sera, nei mercati.
Se c’è da picchiare, Oreste picchia.
Se c’è da incendiare, Oreste incendia.
Adesso Oreste un lavoro ce l’ha.
Ti pagano bene, i neonazisti.
Adesso Oreste un lavoro ce l’ha.
E lo rispettano.
Se c’è da picchiare, Oreste picchia.
Se c’è da incendiare, Oreste incendia.
Adesso Oreste un lavoro ce l’ha.
Adesso Oreste un lavoro ce l’ha.

Quinto ritratto

In autobus
tutte le volte
ci vogliono due ore.
Più o meno: due.
A volte col traffico anche di più.
D’estate si potrà far prima, ma in aggiunta c’è il caldo.
Ad ogni modo, metti in conto due ore.
Andata e ritorno, in un giorno, quasi quattr’ore.
Eppure. Eppure.
Meglio fare che pensare.
“La vita continua, signore.”
E sia, la vita continua: avanti.
Nelle due ore
lui sta seduto sempre al terzo sedile a destra.
E’ quello riservato.
Per sapere quando scendere basta contare le fermate.
Contarle, sì. Non distrarsi.
La sua è la diciassette.
Oppure, se perde il conto,
– mai all’andata, sempre al ritorno, con la giornata sulle spalle –
allora non c’è problema,
basta chiedere di avvisarmi, per favore,
quando siamo alla fermata Kolonos,
tanto l’autobus è sempre pieno,
questa è area metropolitana
e Ktel Attikes da mattina a sera ne fa di corse.
Kolonos.
Si aprono le porte,
si scendono i gradini,
si mette piede a terra,
poi cinque passi avanti verso il muro
fino a toccarlo,
che d’estate ci cresce l’edera
e si mette la mano sulle foglie.
Da lì a destra, poi sinistra, poi avanti,
destra, sinistra, sinistra, sinistra, destra, sinistra: casa.
La fermata dell’autobus
dista 94 passi da casa.
Possono diventare 111
se invece che andare diritto
si fa tappa in farmacia.
Senza farmacia, 94 passi.
Si procede lungo il muro,
– procedendo lungo il muro è semplice –
ci sono solo quattro strade da attraversare,
ma che ci vuole? Basta aspettare fermi al muro
e partire quando si sente il rumore delle auto ferme al semaforo:
procedendo così attraversare è facile.
Tessera di invalidità 96.74.56.beta.
Assistito dai servizi sociali.
Età: settantaquattro.
Patologia: ipovedente.
Nome: Edipo.
Una volta ogni quattro giorni
Edipo timbra il suo biglietto di Ktel Attikes,
e parte il viaggio di due ore,
da Kolonos all’ospedale,
seduto sul terzo sedile a destra,
a contare le fermate:
quindici, sedici, diciassette: ci siamo, scendere, Ospedale Nikaia.
Al ritorno, dopo il trattamento,
a volte gli occhi sono gonfi, gli fanno male.
Non importa.
“La vita continua, signore.”
Due ore e 94 passi.
Meglio fare che pensare.
La vita continua.
Semmai per sollievo
si può sempre deviare di 16 passi
e prendere il collirio in farmacia,
il collirio che passa l’assistenza,
il medico ha detto non è un collirio qualsiasi,
e infatti lo toglie, il dolore, e si respira un po’.
“La vita continua, signore.”
Può darsi. Avanti.
Fino a un anno fa era un’altra storia.
Venivano a prenderlo.
Altri tempi.
Suonavano il clacson del pulmino, davanti a casa:
da Kolonos all’ospedale ci volevano 45 minuti,
e poi durante il viaggio si parlava.
Altri tempi.
E andando ancora indietro, 18 mesi fa, straordinario,
non solo c’era il pulmino,
ma l’ospedale era più vicino di 20 minuti.
Una mattina gli dissero
“Hanno chiuso la sede: costava troppo. Da oggi Nikaia.”
“Nikaia?”
“La vita continua, signore.”
Nikaia. E sia.
Tre quarti d’ora nel traffico.
Poi un’altra mattina, era ottobre,
non suonò più nemmeno il clacson.
Edipo rimase un’ora a aspettare, vestito col cappotto, già pronto,
con in mano la tessera sanitaria 96.74.56.beta.,
ma il pulmino non si vide.
Benzina andata, serbatoio a secco.
Glielo dissero il giorno dopo, allo sportello.
Costava troppo.
Ora le infiltrazioni che deve fare agli occhi
gliele passa l’assistenza, quelle sì,
ma il viaggio su e giù, gli hanno detto allo sportello,
nell’area metropolitana
Kolonos-Nikaia,
quello no, gli hanno detto allo sportello,
quello non più, signor Edipo,
quello è un lusso, gli hanno detto allo sportello,
deve organizzarsi, gli hanno detto allo sportello,
lo fanno tutti,
c’è chi sta peggio,
faccia uno sforzo, signor Edipo,
soldi non ce ne sono più, gli hanno detto allo sportello,
i servizi non sono garantiti,
ognuno rinuncerà a qualcosa, gli hanno detto allo sportello
e poi “La vita continua, signore.”
“La vita continua, certo.”
Continua.
L’Ospedale Nikaia
è in un quartiere popolare,
certe volte sembra preso d’assalto.
Ci sono le precedenze, le urgenze, i codice rosso,
ogni volta Edipo deve aspettare due ore.
“Non è colpa nostra” dicono le infermiere
“Non è colpa nostra” gli hanno detto allo sportello.
Due ore di autobus,
due ore di attesa,
sarà forse che l’ipovedente Edipo
tessera sanitaria 96.74.56.beta.
non può vedere quegli adesivi attaccati dovunque
sulle pareti dell’ospedale
sulle sedie, sulle porte,
quegli adesivi con su scritto FAKELAKI
e una barra rossa sopra, come un divieto.
Fakelaki.
E’ la banconota da 50 euro
che nonostante gli adesivi in giro
se non compare
se non puoi darla
la vita non continua
la vita non continua, signore.
Edipo ha aspettato due ore e un quarto, oggi.
Il personale è ridotto, non è colpa nostra,
Edipo ha aspettato due ore e mezzo, oggi.
Il macchinario è guasto, torni domani.
Edipo ha aspettato tre ore, oggi.
I sanitari sono in sciopero, spiacente.
Edipo ha aspettato quattr’ore, oggi.
Due ore di autobus al ritorno: è quasi ora di cena,
16 passi di deviazione
accelerando il ritmo
che la farmacia non chiuda,
veloce Edipo, più veloce,
veloce Edipo, più veloce
veloce Edipo, più veloce
“Il suo collirio, signore, non è più gratis”.
Ora Edipo dovrà pagarlo, prezzo quasi intero:
non glielo passa più l’assistenza.
Se dovessimo continuare a pagare tutto, gli hanno detto allo sportello,
come crede resisterebbe il sistema?
C’è bisogno di uno sforzo,
la situazione generale la vede anche lei, signor Edipo,
ognuno si impegni,
ci è chiesto un sacrificio,
non durerà per sempre, gli hanno detto allo sportello,
“La vita continua, signore.”
La vita continua, sì, per quanto?
Continua, la vita, eccome: avanti.
Sono 49 euro.
Il suo collirio non è un collirio qualsiasi
Per questo 49 euro.
Oppure se le può interessare, signor Edipo,
il sabato mattina vendiamo i farmaci già aperti,
li vendiamo sottocosto, mi spiego?
c’è chi apre una confezione, la usa una volta, poi rimane lì: ora può rivenderla.
Certo, il suo collirio non è un collirio qualsiasi,
non è detto si trovi,
nuovo sono 49 euro
oppure se vuole, signor Edipo,
tenga presente che su internet vendono i farmaci scaduti, scaduti da poco,
li vendono sottocosto,
noi farmacisti lo sappiamo, guardi, che le scadenze non sono così rigide,
il suo collirio scaduto lo trova a 12 euro, un quarto, conviene.
Certo, il suo collirio non è un collirio qualsiasi,
non è detto si trovi,
nuovo sono 49 euro
E anzi, se posso dirle,
io fossi in lei
me ne procurerei tre o quattro confezioni, signore.
Mi dia retta.
E’ che, in confidenza, le ditte estere i farmaci non li mandano più.
Dice non gli conviene: non sono pagate, rischiano.
Una decina di prodotti già non si trovano.
Faccia una scorta, lo diciamo a tutti.
Tanto più che il suo collirio non è un collirio qualsiasi,
nuovo sono 49 euro,
faccia uno sforzo, mi ascolti,
non se ne pentirà dopo,
la vita continua, signore
la vita continua
la vita continua.
Purtroppo.

Settimo ritratto

Sono io, quello?
Il viso è il mio, non c’è dubbio.
Il resto… eppure sono io, sì.
Mi riconosco.
Nonostante i chili.
Gli articoli di giornale ce li ha tutti.
Conservati.
Ritagliati, ordinatamente.
Incorniciati, ognuno.
Appesi al muro della pizzeria.
Kathimerini. To Vima.
Ta Nea. Eleftherotipia.
Saranno trenta, quaranta.
Uno spettacolo.
La parete intera.
Sono io, quello.
Certe volte la notte tardi si butta su una panca
accanto ai frigoriferi
stop al televisore
alza gli occhi sulla sua parete:
guardare se stesso in fotografia.
Vale la pena.
Pochi anni fa, in fondo.
A portata di mano.
Neanche dieci anni.
L’altro ieri.
A portata di mano.
Le foto sul podio sono le più belle,
quelle mentre alza la medaglia,
perché è roba da non credere: sono io, sono io, quello.
In cornice, lì accanto, c’è anche la pergamena,
quella del Comitato Olimpico:
primo classificato
medaglia d’oro
Olimpiadi di Atene
e accanto ancora, una dopo l’altra,
innumerevoli
tutte le pergamene
innumerevoli
di tutte le altre gare
innumerevoli:
Primo classificato.
Primo classificato.
Primo classificato.
Primo classificato.
Primo classificato.
Primo classificato.
Uno dei titoli di giornale, incorniciato,
dice “L’INVINCIBILE, L’EROE”.
Uno spettacolo.
La parete intera.
L’INVINCIBILE, L’EROE.
Pochi anni fa, in fondo.
A portata di mano.
Neanche dieci anni.
Butta giù un bicchiere di ouzo.
Sono io, sì… ero io, quello.
L’INVINCIBILE, L’EROE.
Ero.
Ero.
E qui di solito si addormenta.
Perché la notte, ogni notte,
buttato sulla panca accanto ai frigoriferi,
Achille è stanco morto.
Quando l’ultimo cliente fila fuori,
mette le sedie sopra i tavoli
e le fa lui – lui, chi altro? – le pulizie in pizzeria.
Il personale è poco, pagato a stento,
Achille se non vuole chiudere
si è detto
deve aiutarsi lui.
Achille serve ai tavoli,
Achille prepara nei vassoi le metzedes,
Achille taglia a rombi la baklava,
Achille dopo che l’ultimo cliente fila fuori
mette le sedie sopra i tavoli
e le fa lui le pulizie.
Qualcuno lo riconosce, ogni tanto.
Nonostante i chili.
“Sì, sono io. Che vi porto?”
“Sì, sono io. Menu turistico?”
“Sì, sono io. Da bere?”
“Sì sono io. La cucina sarebbe già chiusa.”
“No, autografi non ne faccio più.”
Ed è vero: non ne fa più.
Neanche dieci anni fa
al nuovo Villaggio Olimpico
appena inaugurato
Achille era la star.
Lo seguivano, tutti,
aveva perfino i fans,
firmava autografi
era al centro di tutto.
L’INVINCIBILE, L’EROE.
Ora “L’invincibile” è il nome della pizzeria.
Investimento.
Tutti i soldi delle sue vittorie.
Comprare un’attività. Scommettere.
Investimento.
Tanto la Grecia è in crescita.
Tanto la Grecia con queste Olimpiadi spicca il volo.
Tanto la Grecia ora chi la ferma?
Investimento.
Il mutuo intanto si è raddoppiato.
“Vendere il locale, signore? Mi scusi: a chi?”
Il mutuo intanto si è triplicato.
“Finché non passa, cerchi di restare in piedi.”
Restare in piedi.
Achille. Il primo classificato.
Butta giù un bicchiere di ouzo.
E’ notte tardi, si butta su una panca
accanto ai frigoriferi,
guardare se stesso in fotografia
e riconoscersi
nonostante i chili.
Nei giorni di chiusura,
uno a settimana,
Achille ci va spesso, al Villaggio Olimpico.
Salta le transenne.
Conosce i buchi aperti nella rete.
Perché da quando è abbandonato,
da quando ci stanno dentro immigrati e barboni,
lo chiudono di continuo,
proibito passare le recinzioni.
Achille cammina, fa il solito giro.
ATHENS2004 Summer Olympic Games
Pochi anni fa, in fondo.
A portata di mano.
Achille cammina, fa il solito giro.
L’erba è cresciuta dappertutto, sbuca dai muri.
ATHENS2004 Summer Olympic Games
Il podio delle premiazioni è rimasto dov’era, ma è sotto l’ortica.
Un tabellone è crollato, dai quadri elettrici rubano il rame.
Achille cammina, fa il solito giro.
I campi di beach-volley sono celophan strappati.
Le piscine vuote, là in fondo la carcassa di un motorino.
ATHENS2004 Summer Olympic Games
L’ufficio stampa internazionale ha la porta sfondata: ci vivono i gatti.
Achille cammina, fa il solito giro.
Il campo di basket è un deposito ferri.
Nel padiglione ginnastica un’auto senza gomme e targa.
La scritta enorme ATHENS2004 ha perso la A e il 4:
giacciono a terra, ti ci puoi sedere.
Achille si sdraia, prende sonno, è stanco.
“Finché non passa, cerchi di restare in piedi.”
Giorno di riposo.
Domani l’invincibile ricomincia.

Nono ritratto

Ti decidi ad andare?
Un attimo ancora.
Fermo, immobile, sul marciapiedi.
Mastica chewing-gum.
E fissa la sua insegna.
Ti decidi ad andare?
Un attimo ancora.
Vediamo: ricerca di possibili consolazioni.
Perfetto. Provarci.
Tanto per cominciare:
almeno non hai chiuso per la concorrenza.
Non è poco.
Bene.
Seconda consolazione:
era peggio chiudere per decesso.
Vero, verissimo. Almeno sei vivo. E’ qualcosa.
Terza consolazione:
impossibile da trovare.
E fine della canzone.
Fatto sta: è deciso, ti decidi ad andare?
Un attimo ancora.
Mastica chewing-gum.
E guarda la sua insegna.
Peccato, però, peccato.
Fermo, sul marciapiedi.
Il motore del furgone acceso.
Mastica chewing-gum.
Fa sì con la testa al pensiero “era un bel posto”.
Decisamente: fa sì con la testa.
Giubbotto color verde elettrico.
Pantaloni a dadi, stivali texani.
Brillantina nei capelli, occhiali da sole tondi color turchese.
Mastica chewing-gum, violentemente, per il nervoso.
Perché fra l’altro è un pugno nell’occhio,
sì, sta proprio male quel cartello giallo
CEDESI FONDO COMMERCIALE
attaccato lì sulla vetrata chiusa
al numero civico 64,
sta male malissimo perchè la scritta nera
CEDESI FONDO COMMERCIALE
cosa c’entra con i caratteri cartoon
di quella bella insegna rosa “Euridix – produzioni discografiche”?
Orfeo scuote la testa.
Mastica chewing-gum.
Tanto al massimo domattina l’insegna sarà avvolta nei sacchi neri dell’immondizia.
Ogni lettera. Nascosta.
Si fa così, gli hanno detto, quando un’attività chiude:
il nome si avvolge nei sacchi da immondizia. E buonanotte.
Va bene che, certo, non è il solo.
Ecco: è la terza consolazione.
Guardarsi intorno. O no?
Per questa strada di Salonicco
scorrendo col furgone
le vetrine e i portoni
suonano sempre, tutte, un’unica nota:
affittasi
vendesi
fallito
all’asta.
affittasi
vendesi
fallito
all’asta.
E fine della canzone. Uhm.
Da oggi insomma non è che cambi molto:
ci sarà solo un cartello in più, a Salonicco, con su scritto
CEDESI FONDO COMMERCIALE.
A dir bene nemmeno ci faranno caso.
Ecco, sì, nessuno ci farà caso.
Quarta consolazione.
Quattro non sono poche.
Fa sì con la testa, Orfeo, e mastica chewing-gum.
Ti decidi ad andare?
Un attimo ancora.
Non che ci siano rimorsi.
Non c’era altra strada.
Però è un peccato.
Perché una cosa è chiudere per bancarotta.
Altra cosa è chiudere perché la banca
all’improvviso
così d’un tratto
ti ha rimangiato la carta bancomat
e ti ha sospeso le carte di credito
e ti ha proibito il prelievo
dicendo “crisi di liquidità”.
Cioè, problemi loro.
Non problemi miei: problemi loro.
Fatto sta: conto bloccato. Niente prelievi.
Strofa dopo: debiti.
Ritornello: CEDESI FONDO COMMERCIALE.
E fine della canzone.
Orfeo dà l’ultima mandata alla porta.
Mette il mazzo di chiavi in tasca, col portachiavi con la nota:
domani le chiavi le darà all’agenzia, poi facciano loro.
Ma sì, che me ne importa?
CEDESI FONDO COMMERCIALE.
Lo venderanno? Dubbi.
Se lo venderanno, bene.
Se no, lo daranno all’asta.
E fine della canzone.
Basta pagare i debiti.
E fine della canzone.
Ti decidi ad andare?
Un attimo ancora.
E’ che gli viene da ridere, a Orfeo.
Gli viene da ridere perché almeno una battaglia l’ha vinta:
è stato l’ultimo a chiudere i battenti,
l’ultimo a buttare la spugna,
l’ultimo a mettere il cartello
CEDESI FONDO COMMERCIALE.
Quinta consolazione.
Lui, sissignore, l’ultimo.
Produzioni musicali? Produzioni musicali.
Orfeo ha resistito. A oltranza.
Euridix 2000.
Più che la pizzeria al civico 75.
Più della farmacia al 37.
Più dell’edicola e più del veterinario.
“Euridix 2000, produzioni discografiche”
L’ultimo a chiudere.
E sarà il primo a riaprire.
Fa sì con la testa.
Sarà il primo a riaprire
perché ora col furgone rosa
– l’unico che gli è rimasto, con la scritta sulla fiancata Euridix2000-
Orfeo comincia la nuova attività.
Tutto calcolato.
Niente costi vivi, solo guadagni immediati.
Tutto calcolato.
Ricavi almeno 300 euro a settimana. Contanti.
Almeno per riprendere un po’ quota.
Tutto calcolato.
E’ un business, lo fanno in tanti.
Perché non io?
Il furgone ce l’ho, in fondo. Ma sì.
Tutto calcolato.
Ogni giorno, mattino all’alba,
furgone parcheggiato all’angolo del viale,
punto di ritrovo, all’edicola chiusa di Kostias.
Il furgone dentro ha sette posti.
Perfetto.
Si caricano i passeggeri.
In tre ore di viaggio – massimo a metà mattina –
hai passato il confine,
superato le montagne,
sei in Bulgaria.
Ognuno ha una ragione per andare un giorno in Bulgaria.
C’è chi va dal dentista, in Bulgaria: costa un terzo.
C’è chi va a farsi visitare, in ospedale, in Bulgaria.
C’è chi porta i soldi, in Bulgaria.
Chi va a fare la spesa, in Bulgaria, una volta al mese.
Dalla Grecia del Nord, tutti i giorni,
si muovono a migliaia in Bulgaria.
Orfeo da domani farà su e giù col suo furgone.
Andata e ritorno in giornata.
Salonicco-Bulgaria.
Bulgaria-Salonicco.
Buona idea.
Provvisoria, certo, per riprendere un po’ quota.
Tutto calcolato.
Di brutto c’è solo che, per un po’ di tempo, niente più musica, Orfeo.
Il portachiavi con la nota, almeno quello, non lo darai via.
C’è l’autoradio, nel furgone, comunque.
Tienila accesa.
Salonicco-Bulgaria.
Bulgaria-Salonicco.
Fa cenno di no con la testa, Orfeo.
Sputa il chewing-gum.
Si è deciso ad andare.
E fine della canzone.

Un epilogo

L’ultimo a destra.
In fondo all’area di sosta.
Dopo la cabina telefonica,
seguendo il guard-rail.
Contando i pali della luce:
uno, due, quattro, sei: oltre il nono.
Separato dagli altri,
distante da tutti gli altri,
l’ultimo a destra,
coi fari spenti,
separato dagli altri,
l’ultimo a destra,
parcheggiato là in fondo.
Comincia a nevicare?
Solo qualche fiocco.
Area di sosta.
Pochi chilometri a est
dopo l’uscita Alexandroupolis,
pochi chilometri a est
ancora un passo
diciassette minuti col traffico normale
diciassette minuti
e sei in Turchia.
All’alba grigia
di questo martedì di gennaio
l’area di sosta
è un parcheggio per TIR.
Le targhe sono tutte turche,
tutte tranne una,
quella là in fondo
dopo la cabina telefonica,
seguendo il guard-rail.
Inutile procedere a ovest:
lo sciopero dei camionisti
blocca l’Egnatia Odos,
corridoio europeo,
670 chilometri
dalla Turchia a Igoumenitsa,
corridoio europeo
E90
passa la Grecia da parte a parte
E90
blocca la Grecia da parte a parte
E90
paralizzata.
Sono tutti là, i camionisti greci,
tutti quanti, in mezzo alle carreggiate, a ovest,
tutti tranne uno
parcheggiato in quest’area sosta
con i camion turchi
autotreni autocisterne bisarche
uno accanto all’altro
raggruppati
uno dopo l’altro
raggruppati
un fuoco acceso fra gli sportelli aperti
qualcuno si riscalda
bevendo roba forte,
fa freddo verso la Turchia,
aria di neve oggi,
a Istanbul quattr’ore fa nevicava, io vengo da là,
dovrei scaricare a Igoumenitsa stasera alle sette,
con lo sciopero però
è la quinta volta in un mese,
conviene quasi girare alto dalla Bulgaria,
mostrami la mappa
riscendere in Macedonia
mostrami la mappa
certo poi però comunque rientri a Salonicco
non si può fare
non conviene
mostrami la mappa
intorno al fuoco
a dieci passi
Allah Akhbar
due musulmani pregano
Allah Akhbar.
L’ultimo parcheggiato a destra
coi fari spenti
oltre il nono palo della luce
è un autotreno della ditta Nemea,
motrice e rimorchio
sulla fiancata il disegno gigantesco di un leone,
chissà cosa trasporta la ditta Nemea,
motrice e rimorchio
coi fari spenti
le tendine in abitacolo abbassate.
Comincia a nevicare?
Solo qualche fiocco.
Seduto al posto di guida
le mani sul volante
le tendine in abitacolo abbassate
Eracle sta in silenzio.
Può darsi nevichi, fuori, può darsi.
Può darsi sia finito, lo sciopero, può darsi.
Può darsi che all’alba il sole oggi non nasca. Perché no? Può darsi.
Intanto io non mi muovo.
Eracle allo sciopero non ci è andato.
Sta fermo qui immobile
le mani sul volante
da sei ore,
non è mai sceso,
non ha acceso il notiziario,
i fari spenti
abbassate le tendine
Eracle sta in silenzio.
Maglione bruno alto fino al collo.
La barba rossa, a tratti bianca, come un cespuglio.
Fino a ora Eracle ha resistito.
Ha combattuto, ce l’ha fatta, ha vinto.
Ogni fatica l’ha superata.
Ha combattuto, ce l’ha fatta, ha vinto.
Ha resistito, Eracle, ha resistito.
Lo sa, lo sa bene, è questo il punto.
Di me hanno sempre detto
“non si abbatte, Eracle, è uno che lotta”
sì certo
certo che ha combattuto,
certo che ce l’ha fatta,
certo che ha vinto
ma ancora, di fatica in fatica, quanto?
Quanto?
Fino a quando?
Fino a dove?
Fino a quanto?
Quanto ancora, Eracle, quanto?
Comincia a nevicare.
Solo qualche fiocco.
Seduto al posto di guida
le mani sul volante
le tendine in abitacolo abbassate
Eracle sta in silenzio.
I turchi ridono, intorno al fuoco.
Ascoltano la radio,
c’è uno che offre carne calda,
fornello da campeggio
davanti a un radiatore.
Saranno due, tre gradi sotto zero.
Lo sciopero blocca la strada.
Impossibile muoversi.
Aspettare, aspettare,
prima o poi ripartiamo.
Prima o poi, Eracle.
Prima o poi.
Un’altra volta, Eracle.
Girare la chiave.
Rimettere in moto, Eracle.
Di nuovo. Di nuovo. Ancora.
E poi per quanto.
E poi perché?
E poi.
E poi.
E poi.
Il silenzio, Eracle.
Il silenzio.




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